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Lo scambio degli auguri natalizi viene spesso vissuto come un rito banale, un omaggio alle buone maniere, un educato cascame conviviale. Accade tuttavia che talvolta esso si trasformi in una rappresentazione raffinata, plastica ed efficace almeno quanto alcuni reperti della pittura fiamminga così ricca di volti, posture e ritratti di famiglia che tramandano storie, tradizioni, intrecci quasi sempre carichi di una misteriosa complicità.
Osservavo, qualche sera fa, Gianni e Marcello Pittella nel corso dell’incontro a Matera con la nutritissima platea dell’Associazione “Iniziativa Popolare” e riandavo con l’immaginazione alla singolare raffigurazione di un registro familiare nel quale due fratelli, interpreti di ruoli assai significativi nella vita pubblica, complementari e paralleli, declinavano una comune versione dello spirito pubblico.
Silenzioso e discreto Gianni, raccolto nella riflessiva osservazione del mondo da un quadrante più largo della minuscola provincia nella quale ci tocca disputare, vivace ed assertivo Marcello alle prese con la definizione del ciclo innovatore nel quale vede iscritta la sua azione di riforma e con la confutazione di quel tenace e ricorrente riflesso giacobino che punta a spingere sempre più avanti gli obiettivi del possibile e del perfettibile. La saga dell’Art. 38 dello “Sblocca Italia” e delle sue modulazioni affidate alla capacità della politica di regolare i conflitti in luogo di rinviarli all’imponderabile contenzioso fra Regione e Stato, ha così preso forma nel racconto delle asperità e vischiosità della vita amministrativa, delle difficoltà delle relazioni fra partiti e gruppi, della terribile divaricazione fra bisogni e risorse pur a fronte di alcune significative conquiste (ancora da completare tuttavia) sul fronte delle relazioni con le compagnie petrolifere e con il Governo centrale. E così i paradigmi della sicurezza ambientale, dello sviluppo e dell’occupazione, delle azioni rivolte al sostegno alle condizioni di povertà e di emarginazione hanno man mano conquistato una centralità marcando anche qualche novità rispetto ad esperienze già vissute per quanto utili e significative.
Osservavo i due fratelli, i frequenti richiami ad un sodalizio operoso fra loro e alle affinità che si andavano svelando nell’azione politica : innanzitutto con Speranza, il cui ruolo veniva lealmente riconosciuto anche per la valenza morotea del suo costume politico e intellettuale e poi verso la funzione di cerniera, assai complessa e delicata esercitata fra il turborenzismo e l’intendenza bersaniana. E intuisco con Luongo come capace interprete di quel centrismo governante che regge la bussola della vita regionale.
Osservavo i due fratelli e riandavo alla letteratura, non sempre, anzi quasi mai, oggettiva, che li ha talvolta raccontati e definiti. Una letteratura da “sottosuolo” dostojevskiano, con i due Karamazov vittime dell’enigma dell’esistenza, impegnati nell’impresa di sopravvivere e di portare a termine la missione in nome di quella “libertà costitutiva dell’uomo da cui discende ogni bene e ogni male possibile”.
Difficile negare che ai fratelli Karamazov si sia talvolta negata la legittimità ad esistere da parte di una ragione di partito o di “Stato” spesso impietosa quando non crudele. Quindi i Pittella come i fratelli Karamazov?. Farà sorridere questa allegoria tutta letteraria, tragicamente più grande della modestia delle nostre dispute e dei nostri affanni quotidiani. Tuttavia anche sorridere, a Natale, può aiutare a recuperare quel senso lieve della vita e quella surreale banalità dei gesti che consentano di rimettere a posto, dentro gerarchie finalmente realistiche, le cose vere, i valori che contano e le storie che durano.

 

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