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POTENZA – Il modello lucano di gestione della spesa pubblica ha introdotto da tempo una variante al cartesiano cogito ergo sum, che si può sintetizzare in ”gestisco la spesa pubblica, dunque sono” , ossia se non ho la materiale disponibilità di ciò che lo Stato allegramente ed in base ad un patto scellerato come vedremo tra un attimo,mi mette a disposizione, se non posso fare favori, distribuire privilegi, fare clientelismo, non sono nessuno.
La finanziaria, approvata di recente e definita giustamente su questo giornale spezzatino, rispecchia questo modo di essere e di operare del ceto politico: cercare di accontentare quanta più gente è possibile anche se si tratta di misure non risolutive, autentici palliativi somministrati ad un malato grave. Più di questo la classe politica non può fare.
Che tale approccio non faccia altro che rinviare se non peggiorare i problemi è di tutta evidenza: ogni anno perdiamo circa 2 mila giovani. È come se scomparisse dalla cartina della Basilicata annualmente un piccolo comune e paradossalmente ci possiamo ritenere fortunati, avanti ad una crisi economica che colpisce anche il Centronord. Se non saremo capaci di uscire dalla crisi in tempi brevi e in presenza di una ripresa delle aree più avanzate del paese nei prossimi anni i piccoli paesi scomparsi diventeranno veri e propri paesoni e la cartina geografica lucana tenderà ulteriormente a mostrare nuove sacche di deserto demografico ed urbano.
A questo punto c’è da chiedersi se l’ente regione Basilicata così com’è abbia senso, con la sua continua richiesta di risorse pubbliche da far gestire ad una istituzione storicamente estrattiva, cioè parassitaria, con un sistema politico-amminstrativo indiscutibilmente inefficiente ed inefficace, ma molto costoso per la collettività nazionale. La difesa dello status quo ha una sua logica e un suo sostegno da parte della società regionale, il sottosviluppo garantisce il potere dominante, la crescita è temuta perché implica nuovi equilibri politici, economici e sociali.
Il sistema politico lucano va quasi in automatico, ha regole informali stringenti e fa scelte come dire autistiche che non necessitano di idee. Keynes diceva che la difficoltà non era tanto nell’avere nuove idee, quanto di liberarsi delle vecchie. Ebbene la classe dirigente lucana in un sol colpo ha risolto questo problema: non ha idee vecchie di cui disfarsi e non sa che farsene di idee nuove che implicano cambiamenti, discontinuità, progetto, visione del nuovo. Tutte cose che aborrisce.
A proposito che fine ha fatto l’opera di spending review annunciata oltre un biennio fa? Abbiamo un sistema sanitario tra i più costosi d’Italia, di tipo ospedali centrico che comunque genera una emigrazione consistente verso il centro-nord , ma non ci sogniamo minimamente di riformarlo, anzi lo rafforziamo con interventi frammentari. Di contro la Lombardia, una delle regioni di eccellenza sanitaria di questo Paese, discuterà a breve della proposta di riforma della Giunta Maroni che prevede cambiamenti radicali, basati su meno cure in ospedale e più medicina di base, finalizzato a risparmiare spesa sanitaria, chiudendo chirurgie e sale parto dei piccoli ospedali di provincia che sono un pericolo per gli stessi pazienti. Morale della favola: una area di grande eccellenza avverte la necessità di riformarsi, una che non brilla certo di grandi capacità operative si attiva per mantenere e consolidare i suoi vizi strutturali.
Si può ben dire che siamo in una strada senza uscita: chi detiene le leve del comando non ha alcuna intenzione di introdurre cambiamenti, perchè metterebbero a repentaglio la sua sopravvivenza, eppure il cambiamento sarebbe l’unico modo per uscire dal sottosviluppo, ma non ha massa critica su cui contare. L’aporia è evidente.
L’unico modo per affrontare il problema è andare alla sua radice e cioè al patto scellerato richiamato all’inizio che ha condizionato l’intera questione meridionale e che concerne l’intesa tacita tra l’asse nordista e il blocco parassitario meridionale in base alla quale il sud portava e porta il consenso ai vari governi nazionali ottenendo in cambio spesa pubblica da impiegare acriticamente.
Sciogliere questo patto è fondamentale per riportare in un’ottica veramente unitaria l’azione della classe dirigente meridionale.
Passaggio ineludibile è rivedere da cima a fondo le regioni: 20 sono troppe, le più piccole molto costose e inutili se non dannose dati i risultati fin qui conseguiti.
In secondo luogo, vanno riveste le loro funzioni, non più tanti staterelli, ma organismi con al centro della loro azione l’insieme degli interessi del Paese, di qui la necessaria revisione del titolo \/ della Costituzione, eliminando possibili elementi di contenzioso.
Che la Basilicata venga inserita in regioni più grandi non deve scandalizzare, nascondendosi dietro scudi identitari di dubbia fattura.

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