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CI hanno convinto che tra la fine del secondo millennio e il principio di quello che ci attraversa si sia compiuta la fine delle ideologie, rappresentate quasi come uniche cause delle sciagure occorse all’umanità. Questa mistificazione culturale – diffusa da una propaganda martellante, attraverso le armi della televisione e degli altri mezzi di ammaestramento di massa (scuola, giornali, radio, internet, etc.) – è stata accreditata e sostenuta dalla quasi totalità dei burocrati, degli scienziati e dei tecno-esperti, che si affollano alla corte dei nuovi dominatori (banche, multinazionali, mafie e massonerie di varia natura) come cani ammaestrati che scodinzolano intorno a una ricca tavola imbandita.
La fine delle ideologie – secondo quanto celebrato dal pensiero unico dominante – sostituita dalle leggi dell’economia e del libero mercato, dalla febbre della crescita e dalle infinite potenzialità delle moderne tecnologie, con il supporto delle nuove democrazie, dovrebbe assicurare a tutti una prosperità mai raggiunta nel corso della storia dell’umanità.
Questa messinscena mediatica, nonostante il disastro epocale in cui siamo immersi, è replicata con insistenza ossessiva, quotidianamente, in ogni programma televisivo, in ogni discorso istituzionale, in ogni convegno politico o scientifico.
La pericolosa mistificazione ideologica – sottesa a una rappresentazione obiettiva, inoppugnabile e univoca della scienza e della tecnica ufficialmente riconosciute, è introdotta, quotidianamente, in ogni aula scolastica, in ogni programma formativo, in qualsiasi libro di testo, in ogni corso professionale.
Questo addestramento militare indotto, a cominciare dalla scuola d’infanzia, è stato attuato, con certosina applicazione, a ogni età e campo della vita, riuscendo a convincerci delle magnifiche sorti e progressive della scienza e dell’economia, che oggi hanno assunto un ruolo dominante all’interno delle istituzioni: quali religioni incontestabili che guidano le scelte nel governo dei territori e i principi stessi delle cosiddette democrazie moderne. Persino quella pericolosa forma di “democrazia delle maggioranze” di cui Socrate diceva che “possono commettere ingiustizie gravissime e, persino, votare la propria morte”, può apparire un male minore rispetto alla dittatura globale della scienza e della tecnica, di fronte alle quali anche la maggioranza scompare.
Cosicché alla religione della scienza e dell’economia di mercato sono asservite le leggi promulgate dai governi (soprattutto quelli occidentali e quelli dei paesi cosiddetti emergenti) e i programmi politici: anzi si utilizza l’ideologia scientifica e di mercato per giustificare la depredazione dei beni comuni e dei patrimoni naturali, per rassicurare le popolazioni sulla sicurezza e sui vantaggi dei processi produttivi ed estrattivi industriali: i quali si sostengono su una menzognera analisi (scientifica) costi-benefici, che occulta i servizi forniti gratuitamente dagli ecosistemi (cioè dai cicli vitali della natura), lo sfruttamento dei lavoratori e i danni incommensurabili all’ambiente e alla salute umana (che perdureranno per centinaia di anni, compromettendo la vita sul pianeta); evidenziando, in modo ideologico e piratesco, solo i benefici economici a breve termine delle attività industriali, che producono immensi profitti e privilegi a una ristretta élite di potenti.
La deriva autoritaria e anticostituzionale (una costituzione che andrebbe modificata con il rafforzamento della tutela della democrazia partecipata e dei diritti, introducendo anche quelli di natura, e non smantellata in nome della religione del mercato), contenuta nelle leggi introdotte dai governi negli ultimi ventanni, ha operato un pericoloso passo in avanti con l’approvazione della Legge Sbocca Italia da parte dell’attuale Governo illegittimo, la quale rappresenta un vero e proprio “Colpo di Stato” preparato e attuato, appunto, attraverso l’arma ideologica della scienza e la religione del mercato, propagandate e diffuse ad arte in questi ultimi decenni.
L’impatto devastante – culturale sociale ambientale politico – sui contesti e sulle comunità locali, che è già evidente nella profonda crisi epocale che questo sistema ha creato e alimenta, avrà conseguenze incalcolabili a seguito dell’applicazione delle norme contenute nello Sblocca Italia. In Basilicata – una regione già militarmente occupata e saccheggiata dalle multinazionali e dalle mafie del petrolio, dell’energia e dei rifiuti – la determinazione, mediante Decreti Ministeriali, della indifferibilità delle opere da realizzare e la liberalizzazione del traffico dei rifiuti (sempre in nome di imprecisati interessi nazionali e sovra-nazionali, supportati dai dogmi dei tecno-sacerdoti della scienza e dell’economia), sottrarrà qualsiasi potere di programmazione ai governi locali e aprirà nuove e più libere praterie a nuovi predoni. Le crescenti richieste di concessioni e autorizzazioni: a nuove estrazioni petrolifere e di gas, a nuovi impianti di produzione e incenerimento di rifiuti di ogni tipo, a re-industrializzazioni su siti pericolosi non bonificati, confermano la follia irresponsabile, suicida e direi “criminale” che è sottesa a questa visione politica e religiosamente ideologica.
I territori e la natura, con questa ulteriore evoluzione autoritaria, vengono definitivamente trasformati in piattaforme disponibili al mercato e la vita umana declassata a merce contrattabile (qualche lavoro precario in cambio della salute e della vita stessa).
La manipolazione culturale e genetica, attuata in questi cinquant’anni, consente oggi a una ristretta cerchia di potenti (con summit al vertice) di istaurare una dittatura perfetta (sistemi di potere centralizzati a livello politico, energetico, produttivo, agricolo, dei trasporti, sanitario e scolastico), senza utilizzare alcun esercito, se non qualche reparto antisommossa, da mobilitare per reprimere alcune isolate e “pericolose esperienze” di resistenza locale, condotte da pericolosi terroristi (in genere intellettuali, lavoratori, studenti, famiglie e nonni con bambini).
La galassia di movimenti, associazioni, comitati e gruppi di liberi cittadini, che stanno nascendo e moltiplicandosi su tutti i territori, per cercare di opporsi a questa aggressione militare, camuffata da maschere istituzionali ed esigenze di interesse pubblico, rappresenta una sostanziale presa di coscienza della necessità urgente di destabilizzare questo sistema, attraverso una rivoluzione epocale, che presuppone, però, un cambiamento radicale dei modi di pensare, di relazionarsi e di agire.
I sussulti, le idee e le azioni che si diffondono e si evolvono all’interno di uno spazio ancora nebuloso, hanno però bisogno di tempo, di percorsi di conoscenza e di riflessione collettivi: per disintossicarci dalle massicce dosi di manipolazione e asservimento ideologico, che tutti abbiamo subìto da quando la febbre della crescita e del boom economico ci hanno contagiati, senza eccezione alcuna.
Anche in Basilicata, i fermenti e le manifestazioni di resistenza alle molteplici aggressioni in atto, hanno coagulato reti di comitati e gruppi spontanei intorno alle vertenze più urgenti, senza modificare nella sostanza le strutture ideologiche e relazionali del sistema dominante. Fino a quando le alternative proposte saranno limitate a insistenti quanto banali richieste di maggiori controlli e monitoraggi ambientali sulle attività estrattive e produttive, a una generica riconversione dell’economia verso energie alternative centralizzate e alla concessione di nuovi posto di lavoro; fino a quando si continuerà a credere nell’ineludibile necessità di gerarchie, leader, scienziati ed esperti di ogni sorta, senza mettere in discussione la struttura stessa dei rapporti di potere, le nostre azioni e le nostre proposte, come ammonisce Gandhi, resteranno perle false.
L’inconsistenza culturale e le patologie edonistiche e autoreferenziali, che caratterizzano tristemente anche molti dei cosiddetti leader dei movimenti in Basilicata e non solo, non li rendono affatto diversi dalle elite politiche ed economiche che pretendono di combattere, se non per la circostanza di non essere ancora al loro posto. Le relazioni di antagonismo e competitività, che contraddistinguono tutte le strutture gerarchiche e gli spazi relazionali del sistema dominante, sono parimenti presenti all’interno delle reti dei movimenti, ancora alla ricerca (quando lo ricercano) di un sistema orizzontale, cooperante e solidale di relazioni.
Allo stesso modo non è ancora chiaro che il problema di fondo consiste nella redistribuzione del potere e nella creazione di una democrazia insorgente e diffusa, nella
disponibilità di tecnologie conviviali (come ci ricorda dagli anni ’70 Ivan Illich), cioè controllabili e riproducibili per tutti, e non, banalmente, nel ricambio della classe politica o in una semplice riconversione verde dell’economia e delle produzioni.
La stessa pretesa di voler emulare le manie di grandezza del sistema dominante, da parte di numerosi attivisti e associazioni, all’interno della biodiversità e dell’articolazione lillipuziana dei movimenti, li spinge a cercare di ricondurre percorsi e azioni all’interno di dimensioni nazionali o trasnazionali, contraddicendo quei principi di rete orizzontale e diffusa, per cadere in tentazioni centralizzatrici (gli ormai famosi e consunti coordinamenti dove alcuni pretendono di rappresentare tutti gli altri).
Purtroppo da questo empasse, nel quale si sono impaludati quasi tutti i gruppi, le lotte e le proposte che nascono dai territori, se ne può uscire solo scrollandosi di dosso la polvere dell’autoreferenzialità, aprendosi con umiltà e capacità di ascolto alle comunità, a ciò che queste sentono come problemi e necessità urgenti; acquisendo credibilità con l’impegno e la coerenza delle azioni, e capacità di immaginare e realizzare altre forme di convivenza, di politica, di economia e di lavoro; dove hanno pari valore le relazioni e le attività remunerate e non, quelle produttive e quelle di tutela e di cura della vita (uomo e natura).
E’ urgente costruire gruppi e reti che siano espressione collettiva di resistenza, di opposizione e di proposte destabilizzanti, e che siano capaci di immergersi nei problemi e nei conflitti locali, di esserne parte ed elaborare soluzioni creative e alternative, continuando ad agire al di fuori di queste istituzioni, fino a quando non riusciremo a trasformarle, perché è proprio all’interno delle situazioni conflittuali contro i poteri locali (quelli alla portata, da smascherare e da porre in contraddizione), che è possibile attuare i cambiamenti più radicali di una società, come ci ha dimostrato la vittoria del movimento di Syriza in Grecia.
“I regimi totalitari e dittatoriali” echeggia Vandana Shiva “si combattono a partire dalle realtà locali, perché i processi e le istituzioni su larga scala sono connotati dal potere dominante. I piccoli successi sono invece alla portata di milioni di individui, che insieme possono dare vita a nuovi spazi di democrazia e libertà. Su larga scala le alternative che ci vengono concesse sono ben poche. Per converso la realtà quotidiana ci offre mille occasioni per mettere a buon frutto le nostre energie”.
Dunque bisogna scendere alla piccola scala, perché è lì, negli spazi locali di democrazia, di socialità e di azione che tutti possono ritagliare un proprio percorso, realizzare azioni concrete e ottenere risultati tangibili, che siano la dimostrazione che le cose possono cambiare, generando nuove energie.
La rivoluzione comincia così: da piccoli passi, da luoghi reconditi e piccole comunità solidali, libere da bandiere e pifferai magici sempre pronti a condurre danze suicide … e può contaminare il mondo.

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