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CHI di noi voglia veramente cimentarsi sulla rinascita della città deve ammettere che non c’è ancora lo spirito giusto per farlo.
Gran parte del ceto politico cittadino tiene la testa rivolta all’indietro, alla ricerca di responsabilità o di giustificazioni per quello che è successo. Per uscire da queste acque stagnanti occorre un cambio di mentalità che recuperi, in ciascuno, umiltà, determinazione e voglia di collaborazione. L’umiltà di chi sa ascoltare, la determinazione di chi, fatte le scelte non si lascia invischiare in compromessi al ribasso; la disponibilità a cercare aiuti ed alleanze alla luce del sole.
Questo per dire che l’incontro con il Governatore della Regione non può esaurirsi nella ricerca dei modi per affrontare l’emergenza bilancio, ma deve costituire la pietra d’angolo sulla quale costruire un rapporto istituzionale programmatico diretto a creare futuro per la città e per la comunità potentina.
Partiamo da che cosa non è più questa città: non è più città degli uffici, perché tutte le ramificazioni statali sono state tagliate a cominciare dai lati più periferici (caserma, distretto, sovrintendenze, ecc); non è più città del lavoro perché l’attività industriale è miseramente abortita; non è più città del commercio, perché l’attività distributiva si è articolata lungo le grandi arterie, organizzandosi per bacini territoriali d’utenza.
Sono tante le ragioni che hanno portato a questa periferizzazione del capoluogo rispetto ad altre realtà territoriali, ma una su tutte va denunciata con vigore: l’abbandono delle strada della programmazione generale in favore di scelte localistiche e frammentarie, che hanno incrementato e legittimato uno sviluppo a macchia di leopardo. È prevalsa una visione di sviluppo per zone d’influenza, con lo sguardo strabico di chi guarda da una parte ma sta guardando altrove, al profitto elettorale ravvicinato, agli interessi consolidati di pochi.
Tocca oggi al Governatore Pittella tracciare la nuova rotta della Basilicata, prendendo atto della deriva che si è avuta sul piano programmatico, e dando le coordinate giuste per uno sviluppo d’insieme, dove ogni territorio assolve allo stesso tempo ad una funzione peculiare e ad una ancillare, come puzzle incastrati in uno stesso disegno.
In questa logica non possono rimanere inevasi alcuni interrogativi in ordine a quali infrastrutture viarie e ferroviarie privilegiare per rendere meno periferico il capoluogo, a quale stazione più vicina afferrare l’alta velocità, ai tempi del raddoppio della Potenza-Melfi, alle condizioni di efficienza della viabilità principale. Ridare una centralità al capoluogo, significa attrezzare l’altro lato del tiro alla fune, con funzioni che contrastino la frammentazione e la dispersione extraregionale.
Si apra dunque rapidamente una discussione su come riallocare Potenza nel progetto regionale di sviluppo. Si declinino innanzitutto i termini di una politica industriale che veda l’area di Potenza sviluppare una fortissima capacità attrattiva, con interventi che favoriscano una rete di modernità imprenditoriale capace di sfidare l’angustia demografica e fisica di una regione.
Quanto alla città dei servizi, vocazione indiscussa del capoluogo, si facciano uscire il San Carlo da una parte e l’Università dall’altra dall’angustia di centri di riferimento regionali con azioni che ne facciano centri di eccellenza meridionale, legati alle migliori esperienze scientifiche del Paese e vocati alla formazione e alla crescita dei talenti . Senza questa ambizione di attrarre nuova utenza extraregionale, la contabilità avrà il sopravvento e la consistenza demografica , sempre in calo, non basterà ad assicurare nel tempo la qualità dei servizi.
Pochi esempi insomma di quello che va fatto. Una cosa è certa. Chi pensa di uscire dalla crisi comunale senza una idea in testa di quello che tutte le Istituzioni debbono fare contemporaneamente per ridare slancio e prospettiva ad una città, e di come mettere insieme tante volontà e tante energie, coltiva il proposito di guardare la realtà dal lato sbagliato del binocolo. Sia il Sindaco capace di portare questa sfida al più alto livello culturale e politico. Sia il Presidente della Regione capace di riprendere una nuova politica di programmazione che esalti e valorizzi, in uno sguardo di insieme, le diverse vocazioni territoriali.

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