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LA sconfitta del Pd a Matera rientra nel processo di involuzione non soltanto politica, ma culturale, di progetto, di guida della società regionale del partito in questione.
Non è un caso che le quattro maggiori città della Basilicata (Potenza, Matera, Melfi e Policoro) abbiano vertici che sfuggono al PD lucano.
È un fatto in particolare che Matera e Melfi che prefigurano e riassumono tra l’altro le più grandi prospettive di sviluppo regionale, con Matera capitale della cultura europea 2019 e Melfi come capitale meridionale dell’automobile siano guidate oggi da rappresentanze esterne al Pd. ll Pd è da tempo sede di lotte intestine, più che di promozione di idee, di capacità di delineare un futuro per la Basilicata. È incredibile che civatiani, unitamente ad altri dirigenti del partito, a Matera abbiano votato De Ruggeri contro la riconferma di Adduce, mettendosi di fatto fuori del partito, per poi ritornarci subito dopo, pretendendo le dimissioni del segretario regionale Antonio Lungo, attribuendogli il ruolo di capro-espiatorio. A Matera hanno perso tutti i pduini coinvolti, ma attribuire loro la responsabilità della sconfitta è praticamente impossibile, dato il ginepraio in cui si muovono. Sono saltate, in realtà, le regole minime di convivenza partitica.
Se non siamo al cupio dissolvi del Pd regionale è perché manca una credibile diversa offerta politica: non dimentichiamo che il partito in questione domina la scena politica disponendo di un legittimazione democratica molto risicata.
Il presidente della regione, Marcello Pittella, governa con un consenso che sfiora il 10% degli aventi diritto contro il restante 90% che cumula l’astensionismo, il voto antisistema dato al movimento 5S, l’opposizione interna al Pd, al netto peraltro delle diverse migliaia di giovani che andando via dalla regione a ben vedere hanno indirettamente votato contro il partito-regione e dunque contro Pittella. Con tale modestissimo consenso, Pittella si è sostanzialmente preso tutto: la Giunta regionale, l’apparato burocratico regionale, gli enti strumentali nei quali sta inserendo propri fedelissimi. Ed ha ridotto all’impotenza la sinistra, cacciandola praticamente in un vicolo cieco, avendo aderito sia pure solo formalmente alla corrente del premier Renzi . Le minacce di reazione del segretario Antonio Luongo sono patetiche, fanno parte più del gioco delle parti che altro. Luongo in realtà deve molto ai Pittella che lo hanno eletto parlamentare nel loro feudo del lagonegrese per ben tre legislature.
La lotta di potere all’interno del Pd lucano si esaurisce dunque nella conquista dei centri di spesa che ruotano intorno all’ente Regione per piegarli a logiche clientelari dei diretti interessati, perpetuando il modello lucano di sottosviluppo che garantisce la sopravvivenza di chi se ne appropria.
Tale processo si riverbera negativamente sulla economia regionale, facendo pagare un prezzo altissimo alla società regionale. Il partito-regione ha costruito un sistema di distribuzione delle risorse disponibili e di ottenimento del consenso elettorale sia pure minoritario, come si è osservato in precedenza, che è finalizzato a remunerare ceti sociali improduttivi, parassitari, rendite di posizione di ceti politici incapaci di guardare lontano, ma attenti esclusivamente all’immediato proprio tornaconto,una oligarchia che compone una classe dirigente regionale (politici, burocrati,sindacati,imprese, aree intellettuali) che si spartisce i mille rivoli finanziari nazionali ed europei, senza averne meriti particolari.
È il modello lucano, non c’è che dire. Un modello fatto per oltre l’80% di spesa corrente, di trasferimenti alle famiglie per pensioni di lavoro , indennità per invalidità, sussidi di disoccupazione e per mobilità che sono molto al disopra di quanto viene erogato nel Mezzogiorno e nel resto del Paese, come ha documentato di recente la Banca d’Italia nel suo rapporto annuale relativo alla Basilicata, di fondi comunitari che non producono crescita, ma che cristallizzano il sottosviluppo.
Gli effetti più vistosi di tale impostazione li troviamo proprio nel finanziamento di 8.400 progetti co-finanziati con fondi comunitari che hanno distribuito a pioggia tali risorse (Work esperienze, reddito ponte per l’occupazione, formazione concepita spesso come ammortizzatore sociale, ecc.), tenendo presente che soltanto l’1,7% degli stessi superava un milione di euro, alla faccia delle raccomandazioni nazionali e d europee di concentrare i fondi in pochi progetti strategici.
Così come sono evidenti nella ripartizione delle royalties del petrolio (1,3 miliardi di euro) fatta per mantenere in vita settore assistenziali nella sanità, nella forestazione e così via, non certo creare sviluppo regionale. Il profilarsi dell’idea di destinare parte delle royalties rivenienti dalla social card per pagare i debiti del comune di Potenza, oltre che essere indecente, conferma il modo di vedere di questa classe politica improbabile. È sinceramente sconcertante che si enfatizzino i dati sulle esportazioni, tentando di dimostrare che stiamo uscendo dalla crisi. La crescita dell’export che stiamo registrando è dovuta alla Fiat ed all’industria alimentare per lo più di origine esterna alla Basilicata (Barilla, Ferrero) ed appare rilevante statisticamente soltanto per la modesta dimensione complessiva dell’economia lucana. Senza la grande industria saremmo in ginocchio. Avanti a questo sistema di potere, purtroppo c’è poco da fare, sperare che possa autoriformarsi è una pia illusione. La strada per il cambiamento passa per la riforma del titolo V e per l’introduzione di macro regioni: 10- 12 enti regionali bastano ed avanzano, l’ente regione Basilicata serve soltanto per mantenere un esercito di saprofiti.

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