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Che la questione meridionale non fosse (solo) problema di risorse non erogate, ma di assenza di una vera classe dirigente è ampiamente dimostrato da quanto accaduto (e accade) in questi ultimi mesi.
Mi riferisco, in particolare, alle dichiarazioni fatte dal premier Matteo Renzi che, all’indomani della presentazione del rapporto Svimez, si era allarmato a tal punto da convocare una apposita direzione del Pd per affrontare la grave crisi del Mezzogiorno. In quella occasione, presenti tutti i parlamentari del Sud,  Renzi aveva giurato che entro la prima metà di settembre avrebbe messo a punto un piano straordinario capace di invertire la tendenza negativa che accompagna il destino del meridione.
Tutti ricorderanno quel “masterplan” che, affidato ad una cabina di regia, avrebbe dovuto rimuovere i maggiori ostacoli che connotano l’arretratezza economica di questa parte del Paese.
Settembre è trascorso. E siamo di nuovo agli annunci e alle promesse: l’apertura dei cantieri per l’Alta Velocità o l’avvio dei lavori per la banda larga, già sollecitati dalla buonanima di Antonio Maccanico, nel suo ruolo di ministro delle Poste. E poi, di tanto in tanto, si annunciano provvedimenti che hanno più il valore assistenziale che quello dello sviluppo.
Priva di senso è anhe l’Agenzia per la coesione nazionale che avrebbe dovuto svolgere un ruolo di coordinamento e di controllo delle azioni per il rilancio di una politica per il Sud.
Nella sostanza la realtà meridionale continua ad essere una palla al piede per l’intero Paese che fa uso dell’alibi della presenza della criminalità organizzata per scrollarsi di dosso le proprie responsabilità.
C’è da dire, però, al contrario di quanto affermano alcuni cosiddetti intellettuali, studiosi del problema meridionale, che se è vero che la malapianta è connaturata con la stessa esistenza del Sud (come ha recentemente affermato la presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi, provocando la reazione delle sudici vestali meridionali), è altresi vero che tutto ciò è anche ( se non soprattutto) dovuto al vuoto di gestione democratica che si è avuto per l’assenza di una vera classe dirigente.
Purtroppo quella clesse dirigente politica che avrebbe dovuto curare i mali del sud o è compromessa con i poteri criminali, o gestisce il territorio con le logiche clientelari o, ancor peggio, è malata di trasformismo, pronta a salire sul carro dell’ultimo vincitore.
Se ne deduce che anche le risorse che dovrebbero servire a infrastrutturare il Mezzogiorno, per diminuire le distanze dal nord, entrano a far parte di quel circuito vizioso che impera e domina sulle disavventure meridionali.
Così si spiega anche il fallimento della Cassa per il Mezzogiorno, che nata con l’intento di promuovere il sud, dopo i primi anni di serio impegno, è poi miseramente fallita allorchè le risorse necessarie all’ammodernamento strutturale sono finite in quel circolo vizioso clientelare che s’infilava nella relizzazione di marciapiedi, fontenini, opere cimiteriali, contributi a sagre varie e così via. E i protagonisti di questo malaffare sono stati gli stessi che hanno rappresentato il Mezzogiorno nelle aule parlamentari. Ma questo nostro Paese ha memoria corta ed è facile ad entusiasmarsi ogni qualvolta qualcuno, di fronte allo sfascio di molta parte del Sud, si mostra falsamente indignato, affidandosi a parole e promesse.
Perchè sia chiaro, la mancata soluzione della questione meridionale (o le questioni come oggi si aggiorna la vexata questio) non è nè di destra, nè di sinistra. Nel luglio del 2009, quando il dibattito sul mezzogiorno si accese intorno alla creazione di un partito del Sud, come proponevano alcuni parlamentari in netta contrapposizione all’allora premier Silvio Berlusconi, questi per tutta risposta decise di intervenire personalmente con una nota scritta: ‘Questo governo non ha mai trascurato i problemi del sud. Mi sembra che abbiamo fatto molto, anzi moltissimo, per Napoli e per la Campania, per l’Aquila e per l’Abruzzo, per Catania, per Palermo’,    affermava l’ex cavaliere di Arcore intervenendo in Parlamento. Aggiungendo: “ Ora stiamo lavorando con i ministri delle Infrastrutture, dello Sviluppo e dell’Economia, dell’Ambiente e delle Regioni per mettere a punto un Piano innovativo per il Sud, la cui modernizzazione e il cui sviluppo ci stanno da sempre a cuore perche’ significano maggior benessere per tutta l’Italia’.
Era il 26 luglio del 2009. Che cosa si è verificato in questo lasso di tempo lo ha spiegato, con cifre e accurate analisi, il Rapporto dello Svimez. E da questa denuncia senza appello del presidente Giannola sono scaturite le nuove promesse di Renzi che, guarda caso, proprio nel luglio del 2015, sei anni dopo dalle dichiarazioni di Berlusconi, ha rinverdito la vecchia abitudine di proporsi come salavatore della patria meridionale.Per ora, solo a parole.
Un auspicio per il cambio di passo era venuto all’indomani delle elezioni regionali che hanno visto rinnovarsi la classe dirigente politica degli enti meridionali. Per dirla con Pino Soriero, che ha magistralmente descritto i mali del Mezzogiorno, nel saggio “Venti anni di solitudine del Sud”, la fortunata coincidenza che vede le Regioni meridionali a guida di esponenti del centrosinistra, potrebbe rappresentare una rara occasione di unicità della questione meridionale.
Non più solo delega al governo nazionale per affrontare i mali del sud, ma anche per promuoverne le eccellenze, ma nuovo protagonismo degli attori meridionali che seguendo la logica delle macroregioni, potrebbero dare vita a nuovi e diversi strumenti per aggredire gli antichi mali e potenziare le vocazioni esistenti nel Mezzogiorno.
Purtroppo, e dispiace constatarlo, dopo i primi tentativi di un comune impegno, sono riemerse le logiche della separatezza, del regionalismo conservatore, dell’agire per proprio conto. Riemnerge, cioè, l’antica radice del male che legittima l’abbandono.

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