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di FRANCO CRISPINI
Non è di poca importanza cercare di spiegarsi, con sufficiente approssimazione,
quel che caratterizza il corso politico italiano negli ultimi quindici anni che ha avuto in Berlusconi un protagonista quasi unico il quale ne ha sicuramente
determinato la direzione preminente.
Ed è quel che conta molto specialmente per chi resta ancora sorpreso per come sono andate le cose nella politica italiana fino allo strepitoso successo ottenuto dal Pdl (ancora un semplice partito “del predellino”) nell’aprile 2008. Se lo si vuole, oramai è anche possibile ricorrere a buone e serie analisi che potrebbero orientare se non proprio guidare la lettura di tanti particolari momenti ed accadimenti che hanno prodotto mutamenti ma anche rivelato tendenze radicate nella mentalità, nel costume, nella tenuta etica del nostro Paese. Se non ci è sfuggito tutto quello che ha dato un’impronta alla politica, al suo modo di farsi e di essere praticata dai partiti e dai tradizionali attori, ed ha fortemente inciso in Italia dal 1994 ad oggi sui rapporti di forza, sulle scelte elettorali, sui programmi di governo, viene facile vedere una peculiarità italiana, quella che fa scrivere così a Marc Lazar (“L’Italia sul filo del rasoio – La Democrazia nel Paese di Berlusconi”, Rizzoli, 2009): «Il cambiamento in Italia non corrisponde ad un taglio netto con la tradizione, in cui questa ultima sarebbe irreparabilmente gettata a mare.
No, esso genera una “modernità tradizionale”: l’irruzione dell’innovazione e del nuovo è legata indissolubilmente alla persistenza della tradizione e del vecchio»(p.17)
Quella che appunto il politologo francese considera una “anormalità nazionale” è proprio la composizione di cambiamento e continuità implicita nel modo stesso in cui il Paese conosce la “modernità”. Non c’è perciò solo una specie di “glaciazione culturale” di cui sarebbero vittime l’Italia e gli italiani, la quale consisterebbe in quei noti e perenni fenomeni delle “beghe di campanile, familismo e mancanza di senso civico”, vi sono anche dietro la permanenza ed immobilità dei comportamenti politici, novità ed elementi di rottura da non lasciarsi sfuggire.
Il quadro va guardato nella sua completezza e perciò nel sistema politico nazionale bisogna considerare come basilari alcuni elementi: cambiamenti e
costanti, il manifestarsi di una asprezza della politica fino ad una
“sindrome della guerra civile”, le “mutazioni” della democrazia. Una tappa decisiva nella storia italiana di data più recente è la “transizione” cominciata agli inizi degli anni Novanta e culminata nel 2008: un anno questo ultimo che per Lazar «incarna perfettamente la coesistenza contraddittoria di cambiamento e immutabilità», rivelata dal voto elettorale. Ma quel che è più importante è che questa caratteristica della “transizione” italiana fatta di cambiamenti e costanti («un fiume impetuoso che ogni tanto straripa, ma che segue uno stesso corso»), si ritrova nel «cuore del processo di modernizzazione». Occorre allora chiedersi quali segni di valenza politica lasciano i quattordici-quindici anni cui si sta guardando più che per avere materia di un giudizio storico, per capire come è possibile andare oltre, avere aperte le porte ad altri processi politici, dopo quella “rottura del 1994” che è stata di ampia ed incalcolabile portata: è entrata in scena una figura politica inedita ed emblematica, che detta nuovi stili e nuove regole, che è, direbbe Machiavelli, “volpe e lione”, prodotto egli stesso di modificazioni che stanno avvenendo con la fine dei partiti tradizionali.

Sarebbe lungo ripercorrere tutte le varie congiunture attraverso cui sono passati in Italia partiti e culture politiche per arrivare a quell’affievolimento e alla regressione di fiducia e attaccamento ai partiti che è poi l’ultimo dato del divario società e partiti politici. Più in rapida sintesi possiamo dire che tra le pieghe di tante trasformazioni e persistenze di tendenze radicate dentro e fuori il sistema partitico, nel mezzo di cambiamenti di psicologia collettiva,
fallimenti di politiche, eventi nello scenario mondiale, nuove illusioni, trova posto tutto quello che Berlusconi sa irradiare dai suoi messaggi e dal suo appeal comunicativo.
A voler trarre però fino in fondo profitto dalle analisi del politologo francese, sempre al fine di stabilire se quella contro Berlusconi deve essere una battaglia contro i mulini a vento oppure se è del Paese che ha prodotto il fenomeno che bisogna occuparsi ricavandone conoscenze più dirette, vanno meditate le considerazioni relative a «il decennio berlusconiano: la guerra civile simulata», al clima di scontro, di radicalizzazione, di demonizzazione, alla predicazione dell’anticomunismo; e poi le riflessioni che Lazar dedica alle metamorfosi della democrazia in Italia, la quale viene “destabilizzata” dal convergere di alcuni fenomeni quali l’aumento di potere della democrazia mediatica, la “riattivazione della democrazia rappresentativa”, l’antipolitica, la «comparsa della democrazia partecipativa». Per tutto questo, la democrazia italiana si rivela «un caleidoscopio in continua fase di ricomposizione».
A parte comunque questi nodi teorici tutti da chiarire, a parte la veduta sociologica della “modernità” come rottura-continuità, una lettura politologica e socioantropologa come quella che Marc Lazar fa della grande impresa berlusconiana in un Paese che «non cambia per non cambiare» (rovesciamento della tesi del
“Gattopardo”!) può valere ad aprire meglio gli occhi sulla complessità del problema italiano che vede una democrazia indebolita al punto da rendere possibile a chi ha enormi ricchezze di costituire un blocco egemonico di potere che la comprime, per cui diventa davvero necessario ed urgente aiutare il sistema democratico a ricostituire le sue difese naturali.

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