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di FEDERICA ROCCISANO*
Il G8 si è ormai concluso, con la promessa di fare del problema dei Paesi in via di sviluppo una priorità. È opportuno forse a questo proposito chiedersi come il Pvs stanno affrontando la crisi e cosa significa per loro. L’ultimo rapporto Ocse sostiene, infatti, che sono proprio questi i Paesi che stanno subendo le maggiori conseguenze della crisi, mentre il Rapporto Wesp diffuso dall’Onu lo scorso dicembre 2008 fotografava una drammatica situazione attuale globale. Quanto emerge è preoccupate: le economie dei Paesi dell’Occidente sviluppato sono pesantemente frenate – nonostante le ingenti somme impegnate per la risoluzione della crisi – mentre i Paesi in via di sviluppo subiscono il peso della recessione, specie quei Paesi che avevano intrapreso, con risultati anche evidenti, il percorso della crescita economica. Caso esemplare del rallentamento della crescita in seguito alla crisi è sicuramente la Cina che vede rallentata la sua crescita di circa 3 punti percentuali, dall’11,4% effettivo del 2007, a una previsione di 8,4% per il 2009. Gli alti tassi di sviluppo registrati negli scorsi anni da alcuni Pvs rendono il loro status ancora più precario, dal momento che le loro economie sono legate a fattori volatili o ciclici e, soprattutto, a causa delle possibili conseguenze sul piano sociale e politico che uno stallo della crescita potrebbe attivare. La crisi finanziaria, quindi, si ripercuote pesantemente sui Pvs per via dell’aumento del prezzo dei beni alimentari e del crollo del costo dei prodotti esportati dai Pvs sia nel caso delle materie prime sia nel caso dei prodotti realizzati dalle imprese manifatturiere per conto dei Paesi sviluppati che, data la fase di crisi, ammortizzano il crollo della domanda riducendo proprio la produzione delle imprese manifatturiere dei Pvs (buffer). A questi evidenti problemi di debolezza strutturale dei Pvs, si aggiungono le conseguenze delle fluttuazioni dei valori non solo del mercato delle materie prime o dei manufatti: l’andamento delle esportazioni e il cambiamento di direzione degli Investimenti diretti esteri, che per anni hanno costituito una base economica da cui partire per attivare processi di sviluppo e favorito la nascita e realizzazione delle imprese, si fermano. Questo dato ha come conseguenza anche la svalutazione della valuta locale e quindi il crollo del valore delle riserve valutarie accumulate e quindi il ricorso ai debiti internazionali, generalmente contratti nella valuta dei paesi donatori. In questo modo i Paesi in via di sviluppo rimangono bloccati in difficoltà sempre maggiori con un bilancio a doppia valuta: la valuta locale per i crediti e le entrate, e la valuta estera per i debiti. Molto importante è il punto di vista delle popolazioni, per cui due sembrano essere le problematiche maggiormente preoccupanti e che toccano in modo quasi uniforme sia l’Africa che l’America Latina. Il primo riguarda il problema della disoccupazione legata alle questioni fino a questo punto evidenziate. Le conseguenza di ciò possono essere molteplici dall’ingresso nei sistemi di economia informale dove la concorrenza è alta, i salari bassi e non esistono forme di tutela di salute o sicurezza sul lavoro, al sopraggiungere di economiche per la corrispondenza di politiche di “recupero parziale dei costi” che obbligano i soggetti a sostenere parte dei costi dei servizi sanitari e dell’istruzione dei figli (con conseguente maggiore esposizione all’analfabetizzazione). i vari continenti l’Africa sembra essere quello maggiormente esposto a un simile rischio per via della forte dipendenza dalle esportazioni di materie prime e dagli Investimenti diretti esteri provenienti dai Paesi occidentali. Il secondo problema legato agli effetti della crisi sulla popolazione, riguarda le rimesse degli emigrati. Nonostante, infatti, le rimesse siano considerate uno strumento anticiclico, cioè che aumenta in situazioni di crisi del Pvs ricevente, e diminuisce nel caso di crisi del paese di partenza delle rimesse, anche queste stanno registrando qualche calo. Questa volta la causa è indiretta per i Pvs e si ritrova sia nelle scelte delle imprese dei paesi sviluppati che, colpite dalla crisi, sono soggette a licenziamenti, diretti agli extracomunitari, quali manodopera poco qualificata; sia ancora nelle possibili scelte di restrizione delle politiche di immigrazione ad opera di alcuni Paesi occidentali. La diminuzione dell’ammontare delle rimesse è stata notevole in America Latina (-10%) e in Armenia (-30%), e in alcuni Paesi del Medio Oriente, mentre sembra non subire particolari diminuzioni l’ammontare delle rimesse dirette verso l’Asia meridionale, dove a destare maggiore preoccupazioni sono le possibili scosse della crisi sul sistema politico. Situazione differente per i Paesi dell’Estremo Oriente che se da un lato subiscono qualche calo nelle esportazioni delle materie prime, possono godere di una certa stabilità economica legata alle riserve valutarie frutto degli scorsi anni di crescita e che ora possono consentire a Paesi come la Cina e la Corea del Sud di attivare politiche di facilitazione creditizia (principalmente mirate alle ditte esportatrici), quali possibili dissuasori della crisi La situazione sembra essere grave in tutto il pianeta, per questo motivo occorre dare un seguito a quanto promesso durante il G8. Probabilmente diventerà un’utopia per molti Pvs raggiungere i famosi Millenium Goals, ovvero gli 8 obiettivi del Millenio che i 191 Paesi dell’Onu si erano proposti per il 2015. Facciamo in modo che non diventino utopia le promesse azioni sulla sicurezza alimentare e sul sostegno all’Africa, effettuate dai leader del G8.

*Presidente del Consiglio Comunale di Caulonia

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