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di FABIO AMENDOLARA
C’era un’altro comitato d’affari nell’inchiesta sulle toghe lucane dell’ex pm Luigi De Magistris. Era una lobby che aveva un solo progetto: portare a termine la costruzione di un megavillaggio vacanze abusivo. C’era il capo della procura di Matera Giuseppe Chieco, il procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano, l’ex sostituto procuratore antimafia Felicia Genovese, suo marito Michele Cannizzaro, il colonnello dei carabinieri in pensione Pietro Gentili, il patron di Marinagri Enzo Vitale, suo figlio Marco, il presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo, il senatore del Pd Filippo Bubbico, la moglie di Marco Follini, dirigente del demanio, Elisabetta Spitz, il sindaco di Policoro Nicolino Lopatriello, il presidente del consiglio comunale Nicola Montesano, il dirigente del settore urbanistica dell’ufficio tecnico del Comune di Policoro Felice Viceconte, il dirigente del demanio di Matera Giuseppe Pepe, il segretario generale dell’autorità di bacino della Regione Basilicata Michele Vita. L’ex pm De Magistris ipotizzava che il capo della procura di Matera, per favorire Enzo Vitale, contribuiva all’archiviazione di un procedimento penale su Marinagri. Si ipotizzava che lo facesse, gestendo le indagini condotte dal pm Paola Morelli, in cambio dell’utilità che si sarebbe concretizzata nell’interessamento di Chieco all’acquisto di un immobile nel villaggio Marinagri. Secondo il sostituto procuratore Vincenzo Capomolla, che ha ereditato l’inchiesta Toghe lucane, «sulla base degli elementi acquisiti non ci sono elementi per sostenere che ci siano state interferenze di Chieco nei confronti della collega Morelli». Inoltre, «si rivela sfornita di significato indiziante la circostanza che lo stesso Chieco, per un certo periodo si fosse interessato a Marinagr, vicenda che lo stesso magistrato aveva ampiamente illustrato, proprio quando il procedimento penale era ancora in corso, al procuratore generale Tufano, in termini che non risultano smentiti dalle acquisizioni investigative». E ancora: «Altrettanto priva di valenza indiziaria – scrive Capomolla – si rivela la ulteriore circostanza per la quale circa due anni prima il procuratore Chieco contattasse telefonicamente la collega Genovese, nel giorno della richiesta di archiviazione per Marinagri, contatto del quale non è noto il contenuto, il che non autorizza alcuna incontrollabile deduzione sul presupposto che anche lei fosse interessata, unitamente al marito, giacché lo stesso Cannizzaro aveva investito nel complesso turistico la somma di 180 milioni di lire. Fatto questo che non rivesta un significato anomalo». Ci sono poi le dichiarazioni, raccolte da De Magistris, dell’ex sindaco di Scanzano Mario Altieri e del boss di Policoro Salvatore Scarcia. Scrive Capomolla: «Le dichiarazioni di Scarcia, coinvolto in procedimenti penali e condannato a pena definitiva anche per associazione di stampo mafioso, investono numerosi magistrati che frequentavano i terreni di Vitale anche per incontri conviviali. Scarcia riferiva di essere stato minacciato dall’ex capo della procura di Potenza Giuseppe Galante e dal giudice di Corte d’appello Vincenzo Autera, di non farsi vedere in quel luogo in quanto lo avrebbero distrutto. L’intima incoerenza delle dichiarazioni, ne minano la intrinseca attendibilità, ulteriormente screditata dalla circostanza, riferita dall’allora capitano dei carabinieri Salvino Paternò, che Vitale era vittima degli Scarcia». Mario Altieri lamentava di essere stato sottoposto dalla procura di Potenza a insistenti indagini per traffico d’armi, anche attraverso prolungate intercettazioni telefoniche e ambientali, indagine che riteneva inventata dalla Genovese e dal colonnello Gentili al solo fine di neutralizzare la sua opposizione al progetto Marinagri che si era realizzata anche con atti formali. Osserva Capomolla: «Introduce un forte elemento di dubbio in ordine alla credibilità delle dichiarazioni di Altieri, che le rendono intrinsecamente fragili sul piano della sostenibilità dell’ipotesi di accusa, la natura allusiva, generica, che si rivela anche come esposizione di una ipotesi ricostruttiva dei fatti, e che introduce dati per alcuni profili incontrollabili».
Poi aggiunge: «Alcuna consistenza indiziaria assume la cordialità dei rapporti tra la Genovese e Chieco, e tra Chieco e Tufano… né può connotarsi in termini indiziari la natura dei rapporti esistenti tra Chieco e il senatore Bubbico. Analogamente privi di valenza si rivela la circostanza che, dalle rubriche telefoniche di Marinagri, si desumevano contatti con la Genovese». Ecco le conclusioni: «Deve escludersi che nella vicenda in esame vi siano elementi tali da giustificare anche a livello indiziario l’ipotesi per la quale la conduzione del procedimento su Marnagri, per il quale deve ritenersi esclusa alcuna indebita interferenza di Chieco, la condotta connessa all’esercizio dei poteri di vigilanza di Tufano, le condotte del colonnello Gentili e della Genovese, con il mediato coinvolgimento dei coniuge di quest’ultima Cannizzaro, siano stati strumentali alla realizzazione degli interessi dei Vitale per assicurargli il finanziamento pubblico relativo alla realizzazione del progetto Marinagri, mediante il danneggiamento di coloro che vi si frapponevano, nonchéa garantirgli la concreta realizzazione delle opere, il che implica la insostenibilità della fatispecie corruttiva ipotizzata. Le considerazioni che precedono consentono, già in questa fase, di escludere qualsiasi partecipazione di Chieco, Tufano, Genovese, Cannizzaro e Gentili». E Bubbico? «La sua partecipazione – scrive Capomolla – risulta correlata sostanzialmente all’adozione di atti formali». «La posizione di Vito De Filippo, così come dell’ingegnere Vita, nell’ambito di ipotesi di accusa è legata al ruolo di presidente del comitato istituzionale dell’autorità di bacino e di segretario generale dell’autorità di bacino». Per tutti Capomolla chiede l’archiviazione. Tranne che per la truffa e il reato di abusivismo edilizio di Marinagri. «Per quei reati – spiega Capomolla – si procede separatamente».

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