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Operazione della polizia di Stato questa mattina, che ha operato tra Rosarno (Rc) e Bologna per l’esecuzione di sei provvedimenti di fermo emessi dalla Dda reggina.
I provvedimenti emessi sarebbero a carico di presunti affiliati alla cosca Bellocco della ‘ndrangheta.
Alle sei persone che sono state fermate vengono contestati l’associazione per delinquere di tipo mafioso ed il traffico di armi.
I provvedimenti restrittivi, emessi dalla D.D.A. di Bologna e di Reggio Calabria, sono stati eseguiti tre a Granarolo dell’Emilia (BO) , dove si erano radicati di recente alcuni Bellocco, e tre a Rosarno. Nel corso dell’operazione erano già stati arrestati dalla Questura di Bologna, il 26 giugno, il capocosca, Carmelo Bellocco, di anni 53, tuttora detenuto, e il figlio Umberto, di anni 19, ora agli arresti domiciliari, per detenzione di arma clandestina.
Nella rete della Polizia, oltre al capoclan Carmelo Bellocco – capocosca reggente dell’omonima famiglia ‘ndrina dopo gli arresti degli altri parenti ai vertici dell’organizzazione – sono finiti i figli Umberto e Domenico, il nipote Domenico – detto Micu ù Longu, principale punto di riferimento dello zio in Calabria dal quale aveva avuto la legittimazione – il fratello Rocco, e la moglie Maria Teresa D’Agostino: con loro è stato arrestato anche il «socio» Rocco Gaetano Gallo, 56 anni, di Rasarono (Rc), amministratore della Veneta Frutta Srl, con sede all’intero del mercato ortofrutticolo di Bologna. Era stata proprio la ditta di Rocco ad offrire al capocosca, appena scarcerato dal carcere della Dozza nel luglio scorso, un lavoro, consentendogli così l’affidamento ai servizi sociali, come previsto dalla legge.
In realtà – hanno accertato gli agenti della Mobile di Bologna insospettiti che la famiglia o si fosse trasferita a Granarolo, nel bolognese – era proprio nell’ambito dell’attività lavorativa che Carmelo Bellocco sbrigava gli incontri malavitosi più importanti, ricevendo anche le vittime dell’usura provenienti da varie parti d’Italia: di fatto, continuava a svolgere la sua attività di capocosca nell’ambito dell’’ndrangheta di Rosarno, in particolare nella piana di Gioia Tauro, dove la famiglia Bellocco ha un ruolo di preminenza da una quarantina d’anni nel controllo del territorio e nelle attività estorsive, anche attraverso accordi con organizzazioni criminali analoghe.
E proprio nel bolognese – il cui territorio era probabilmente destinato, nelle intenzioni future, alle attività di riciclaggio del clan ad esempio con l’acquisto e la gestione di supermercati- qualcuno – non di pari importanza criminale – dalla Calabria era già venuto su per incontrare il capocosca e chiedergli di avere «giustizia» nell’ambito di un regolamento di conti per fatti avvenuti 20 anni prima.
A Bellocco era stata in sostanza chiesta la vita di un parente a lui vicino coinvolto in un omicidio dell’89. «Io questa vita non gliela posso dare», spiegava Bellocco ai familiari affiliati al clan, aggiungendo che questo affronto andava prima chiarito nell’ambito degli equilibri degli altri clan, e poi «regolato». «Una volta che siamo inguaiati, ci inguaiano tutti: o noi o loro, vediamo chi vince la guerra» , diceva uno dei figli con la mamma, Maria Teresa D’Agostino, 50 anni, di Rosarno, finita anche lei tra gli arrestati per il suo ruolo attivo nell’occultare le armi e nel portare avanti gli «affari» di famiglia.
Alle rimostranze del giovane a tenere fuori «le femmine», era lei che dettava le regole: «Nessuno escluso, non mi interessa». La Squadra Mobile di Bologna, nell’ambito dell’attività di prevenzione e controllo delle infiltrazioni criminali, è riuscita tuttavia a bloccare i piani, facendo scattare i fermi per associazione a delinquere di stampo mafioso, disposti dalle Dda di Bologna e Reggio Calabria (pm Elisabetta Melotti e Beatrice Ronchi). La famiglia intanto pensava già ad organizzarsi, cercando di reperire armi, interrogandosi se era il caso di andare a cercare auto blindate o giubbotti antiproiettile. Il questore di Bologna, Luigi Merolla, ha definito l’operazione estremamente importante : «Non è la prima volta che ci si imbatte in una presenza mafiosa in regione – ha commentato il Questore di Bologna – ma è la prima volta che viene accertata non indagando a ‘montè, ma a ‘vallè, ovvero direttamente sul territorio bolognese».

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