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di ULDERICO NISTICO’
Il 3, dico tre per cento dei maturandi ha scelto la traccia di storia: niente di meno! E, attenzione, mica era sulle diverse interpretazioni delle narrazioni antiche sulla battaglia di Canne del 216 a.C.: era sulle vicende italiane tra regime liberale (1861-1922), fascista (1922-43 o 5), e regime democratico parlamentare, cioè oggi; come dire fatti che qualche ancora vivente potrebbe raccontare come personali. E sorvoliamo se la parola “regime” sia adatta o meno a tutte e tre le fasi, e dunque dovrebbe aprirsi un dibattito di filosofia della storia e ideologia. E invece quasi nessuno dei circa cinquecentomila fanciulli ha dimostrato di interessarsene, e, secondo me, neanche ne sapeva nulla. Congratulazioni vivissime ai miei colleghi di storia e filosofia; e ai loro libri di testo. Pigliatene uno a caso, dei libroni più adottati e lodati, e contate quante paginette dedicano all’Italia e quante a qualsiasi altro più o meno insignificante evento forestiero: con legittimo sospetto di scopiazzatura, o di mentalità provincialotta. E siccome la maggioranza, ahimè, fa “sottolineare con intelligenza il testo” (sentita con le mie orecchie!), cioè a braccio non sa la storia nel senso più ovvio, accade che i ragazzini di Cromwell, di Roberspierre qualcosa sentono, scusate, leggono: di Garibaldi, Cavour, quasi niente; e figuratevi di Pio IX e Ferdinando II. Questi, in quest’anno 150esimo di morte, da me nominato, ho scoperto che si ignorava l’esistenza. Mussolini è un tantino più noto, sia pure malamente. Ma dal 1943 in poi, incombe il buio più assoluto. Quelli che studiano la storia all’università, poveracci, la odiano, ridotta a noia abissale di numeri senza umana vita. Tali le colpe della scuola. Ma questa un tempo perfezionava conoscenze che, in tempi di analfabeti, erano però in possesso di chiunque, per modi naturali di trasmissione della memoria: il nonno che aveva fatto la guerra; le passioni del padre quando gli Italiani si dividevano in guelfi e ghibellini, laici e cattolici, comunisti e fascisti; i monumenti a grandi, e non necessariamente “buoni”, di un dì; la letteratura popolare, i bruttissimi versi su Sapri, l’opera lirica, il cinema; e quei partiti oggi defunti e oggetto di disprezzo, ma furono anche trasmissione di immaginario collettivo e cultura. Oggi, ahimè, se dite “eventi”, quasi tutti i ragazzi pensano ai concerti. E anche i padri. La storia del Meridione, infine, è molto più ignota; quella della Calabria, giusto la Magna Grecia generica senza alcun particolare e data e nome, e la fucilazione di Murat chi era costui. Dimenticavo i bizantini, ovviamente tutti eremiti. È banale ma vero che chi sconosce il passato non si rende ragione del presente, e tanto meno pensa l’avvenire. C’è stata una rimozione collettiva della storia italiana, quasi ce ne dovessimo vergognare nei confronti di popoli che invece quando noi avevamo archiviato già sei o sette civiltà, ancora non sapevano farsi la barba! A qualcuno fa gioco, per non dover confrontarsi con la verità. Ma solo la verità fa liberi, e non solo quella del Vangelo, anche quella della storia seriamente e criticamente conosciuta. Urge scrivere libri di storia italiana e meridionale e calabrese non per forza piagnoni e di pettegolezzi. Girare film, affidandone sceneggiatura e regia a chi la storia la sa non appiccicata per l’interrogazione.

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