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di ANTONELLA CIERVO
Tra poche settimane festeggerà i suoi primi tre anni a Matera. Mentre l’Italia si interroga sugli strumenti migliori per affrontare il tema-sicurezza, il Questore di Matera traccia un’immagine che fa il paio con i risultati della ricerca pubblicata qualche giorno fa dal Sole 24 ore e nella quale Matera emerge come città più sicura del sud.
Che città ha trovato al suo arrivo, tre anni fa, e che città c’è oggi?
«Non ci sono particolari cambiamenti, sotto il profilo della sicurezza. La trasformazione dipende dall’alto tasso di disoccupazione. Quando sono arrivato a Matera, tre anni fa, c’erano ancora posti di lavoro, le grandi fabbriche del salotto. I fenomeni predatori erano da ricondurre alla Puglia.
Tutte vicende che abbiamo potuto seguire con attenzione e hanno indicato alla criminalità organizzata, della regione vicina una realtà rischiosa da affrontare. I nostri mezzi di investigazione e controllo dei personaggi che gestivano queste attività, ci hanno consentito di tenerli sotto controllo, rendendo difficili le loro trasferte».
L’attività di controllo capillare effettuata in questi anni, ha dato i risultati voluti?
«Controllare tutti i reati, riuscire in poco tempo a rintracciare i colpevoli, riduce molto la presenza di chi delinque. Credo che, in questo senso, il sistema di videosorveglianza che abbiamo perfezionato a Matera è stato fondamentale. L’ingresso, l’uscita e i movimenti che riguardano il nostro territorio, ormai, descrivono oggi una mappa ben precisa che ci aiuta a lavorare meglio per garantire la sicurezza ai cittadini, come accade anche nelle aree della provincia, vedi il Metapontino».
Matera ha un territorio sano ma l’emergenza legata a tossicodipendenza e alcol è sempre più alta.
«Si tratta di elementi che potrebbero alimentare la criminalità diffusa e dunque devono essere tenuti sotto controllo. Matera vive un aumento del consumo di stupefacenti e in particolare dell’eroina, una droga per così dire nuova per le ultime generazioni.
Non possiamo sottovalutare, in questo senso, il disagio sociale che tutto questo indica, l’allarme sociale per contrastare il quale siamo chiamati ad agire, ad impegnarci. I reati legati alla ricerca degli stupefacenti e a tutto ciò che ruota intorno a questo fenomeno, richiedono azioni rivolte soprattutto all’offerta, ovvero al mercato che rischia di svilupparsi intorno ai consumatori. Sulla domanda, invece, devono lavorare le istituzioni, gli enti, le parrocchie. Le famiglie, poi, devono prendersi cura dei propri figli. I due materani arrestati qualche giorno fa a Taranto, infatti, avevano acquistato eroina che avrebbero dovuto spacciare».
Matera, comunque, è ancora un’area di transito?
«Prevalentemente sì. In città arriva la parte finale del mercato, le dosi pronte per essere spacciate. Il traffico degli stupefacenti è in mano alle grosse organizzazioni criminali campane e calabrese. Matera ha lo spaccio al dettaglio, quello minimo, che non produce conseguenze penali importanti.
Naturalmente la guardia resta alta e tiene in considerazione la vicinanza alle regioni vicine».
Ronde, sicurezza nelle città, lotta all’alcolismo giovanile. L’Italia può fare fronte comune o è ancora divisa geograficamente?
«Credo che l’alcol rappresenti un elemento comune. In quanto alle ronde, al nord esistevano già ed erano composte da cittadini comuni, gli stessi che chiamavano le forze dell’ordine per segnalare dei reati, al sud invece ci si disinteressa del fenomeno.
Al profondo sud si tende a lasciar perdere, al nord c’è maggiore voglia di collaborare con le forze dell’ordine. Credo che, comunque, si debba garantire un metodo che assicuri ronde “pulite”, ovvero che non vengano scelte dalle organizzazioni criminali per controllare i territori.
Il nord vive la realtà della criminalità straniera dai Paesi dell’Est e per questo sente il peso della necessità di sicurezza. C’è, però da sottolineare che i reati in Italia sono diminuiti e sono aumentati gli arresti. Stiamo rispondendo con prevenzione, coordinamento e azioni di polizia valide, giunte perché si riesce a scoprire “l’odore” dei reati, applicando una repressione valida».
Un’attività che deve “incastrarsi” con tempi della giustizia più veloci?
«Alla Procura di Matera c’è il 50% dei magistrati che avevano due anni fa. I reati sono diminuiti ma anche i magistrati. Per questo i tempi della giustizia sono importanti, così come la certezza della pena. La giustizia deve rispondere in questo senso con celerità, altrimenti si rischia di instillare il senso dell’impunità nei soggetti che delinquono. La pena deve recuperare il soggetto, non deve essere solo espiativa».
Avete promosso spesso incontri con gli studenti per approfondire i temi della legalità. Che idea si è fatto delle giovani generazioni? Esiste il senso dello Stato, della giustizia?
«Siamo sempre tentati di dire che i giovani di oggi sono meno attenti di quelli di una volta, ma non è così.
I ragazzi navigano su internet, settore su cui manteniamo una forte attenzione, e dunque sono perennemente informati, aggiornati.
Molti ragazzi a Matera fanno gli scout e tra di loro il senso della legalità è molto forte. Sanno quali sono le regole e come si devono rispettare. Ci lasciamo spesso impressionare dai ragazzi che disturbano per strada, ma i dati sui reati sono positivi. Naturalmente il bullismo c’è e non va sottovalutato, ma non è il caso di diffondere allarmismo. C’è chi deborda, ma si tratta di fenomeni isolati».
Come sta funzionando la figura de poliziotto di quartiere?
«Matera è una piccola realtà e questa figura deve rappresentare il senso di fiducia nello Stato.
Un rapporto che già c’era e che oggi si è trasformato in un rapporto fra cittadino e amico della porta accanto. I segnali di preoccupazione, in questo caso, si trasformano in un rapporto diretto ancora più proficuo».
Quanto incide la presenza degli stranieri in città?
«Molto poco. Le comunità come quelle cinesi o nordafricane non si sono rese protagoniste di particolari reati.
Il nostro intervento è stato chiesto, a volte, a causa di liti familiari, ma niente di più. Gli stranieri a Matera, in qualche modo, riesce a trovare un’occupazione e dunque la sua permanenza in città non diventa elemento di rischio ma, al contrario, va verso l’integrazione sociale».

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