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di IGNAZIO SCHINELLA
Si rimane sempre sorpresi dal fatto che non solo la politica, ma anche altre figure istituzionali, come l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) prenda decisioni estive che passano sempre sulla testa degli italiani. Sono quelle decisioni balneari, come i governi di un tempo, che ci inoltrano in nuovi orizzonti non certo di maggiore umanizzazione, soprattutto della donna. Tanto più che la stampa è tutta schierata per l’immissione nel mercato della pillola Ru486 e contro la posizione della Chiesa oscurantista. Ci permettiamo di sottoporre alla considerazione dei lettori alcune riflessioni. La Ru486 fa parte dei cosiddetti contragestativi. Sono considerati contragestativi un insieme di prodotti volti a interrompere la gravidanza dopo l’annidamento dell’embrione. Il loro utilizzo è alternativo all’aborto chirurgico, che, in tal caso, viene chiamato comunemente aborto medico, anche se, nei casi di fallimento, si associa a quello chirurgico. E ciò non viene detto. Già l’istruzione Dignitas personae del 12 dicembre 2008, annovera tra i principali metodi di contragestazione la pillola RU486 o Mifepristone, le prostaglandine e il Methotrexate. Comparsa in contemporanea con la pillola del giorno dopo, in realtà la pillola RU486 o Mifepristone è un prodotto commercializzato negli Stati Uniti a partire dal 24 settembre 2004. La sostanza attiva della RU486, il mifepristone, è un antiprogestinico, messo a punto agi inizi degli anni ’80 dai ricercatori del laboratorio francese Roussel-Uclaf, diretto da Étienne-Émile Baulieu. Il mifepristone agisce come antagonista del progesterone che viene secreto dal corpo luteo a seguito dell’ovulazione, nella fase luteinica del ciclo mestruale e fino a circa il 50° giorno della fecondazione. Permette la decidualizzazione dell’endometrio, necessaria per l’annidamento. Avvenuto l’annidamento, il progesterone, vero responsabile del prosieguo della gravidanza, rende il miometrio uterino poco responsivo a fattori stimolanti come le prostaglandine e l’ossitocina, assicura la chiusura del collo dell’utero, informando il sistema ipotalamo-ipofisario ove inibisce la liberazione di LH (Luteiningig-Hormone). Il cammino successivo della gravidanza è assicurato dal progesterone secreto del corpo luteo fino a quando ha inizio la secrezione placentare di progesterone (shift luteo-placentare). Il mifepristone penetra nei recettori del progesterone, interrompendo la loro attività e agendo come antiprogestinico. Quando ciò accade si hanno diverse alterazioni, a cominciare dalla decidua dell’endometrio, con lo sfaldamento, il sanguinamento e il distacco del trofoblasto.
Tutto ciò causa la riduzione dei livelli di hCG (human Chorionic Gonadotropin) e la conseguente luteolisi e la riduzione dei livelli di progesterone. Le cellule endometriali in disfacimento liberano le prostaglandine e in specie la prostaglandina F2_ e producono le contrazioni del miometrio determinando l’espulsione dell’embrione attraverso il canale cervicale, dilatato dall’azione del mifepristone. L’effetto abortivo del mifepristone avviene soprattutto nelle prime fasi della gravidanza quando i livelli di progesterone sono ancora bassi. Il protocollo di somministrazione prevede: il 1° giorno una singola dose di mifepristone; al 3° giorno dalla somministrazione del farmaco, un esame ecografico e/o clinico verifica se l’aborto è avvenuto; in caso negativo, si somministra una singola dose di misoprostolo, che è una prostaglandina, monitorando la donna per almeno quattro ore; al 14° giorno dalla somministrazione di minoprostolo, si controlla se l’aborto si sia verificato. Nei casi in cui l’aborto è incompleto o la gravidanza continua (tra 2-12%), la donna viene sottoposta all’aborto chirurgico per paura delle malformazioni che il misoprostolo potrebbe aver causato all’embrione. Il mifepristone viene sempre associato sia all’impiego delle prostaglandine che, in caso di fallimento, al ricorso all’aborto chirurgico. Oltre al profilo etico dell’aborto, vanno ben considerati gli effetti collaterali negativi per quanto riguarda la salute della donna. Dal punto di vista etico, restiamo nell’ambito della vita e della salute, ma in questo caso riguarda la donna stessa. Normalmente per i metodi suddetti la letteratura ama molto sottolineare i presunti vantaggi per la donna (assenza di complicanza per aborto chirurgico, maggiore privacy, maggiore disponibilità per il partner, ecc.). I contragestativi, oltre all’aborto procurato, incorrono nella stima etica negativa per gli avventi avversi che sono anche sottodimensionati o minimizzati. Una particolare attenzione va riservata alla chiarificazione etiopatogenetica delle emorragie e delle sepsi, dalle quali si sono riscontrati anche diversi decessi. Inoltre, il fatto che si tratti di aborto chimico o medico e non chirurgico, non modifica il carattere e la ricaduta psicologica dell’aborto stesso, che permane come una ferita o trauma psichico per la donna. A tutti è noto che il ricorso volontario all’aborto è una ferita grave per la donna. Purtroppo il modo scelto di abortire non esonera la donna dalla sindrome post/abortiva, i cui danni e sintomi possono manifestarsi a lungo termine, dopo diversi anni. Anzi proprio la privatizzazione può aumentare il senso di angoscia femminile a motivo dell’isolamento in cui lo vive e per il fatto che oltre a scegliere l’aborto deve anche decidere la modalità di intervento. Valgono le ottime riflessione della tesi di Giuliano Ferrara: «La Ru486 o pillola abortiva o aborto chimico o kill-pill dimostra che la legislazione pro choice è moralmente fallita nel suo obiettivo di sottrarre la salute fisica e psichica delle donne alla solitudine e alla clandestinità, [.]. La Ru486 sembra un mezzo abortivo antidolorifico, e invece è la suprema sanzione del carattere doloroso dell’aborto, è il suo ritorno al privato, al tragico casalingo. [La Ru486] consegnerà per sempre alla sola donna la condanna a considerare l’aborto come un anticoncezionale ex post o come un nuovo prezzemolo, un ritrovato della sua infelicità che è anche la nostra, collettiva, infelicità. [.]. Con la legge sull’aborto si può convivere tragicamente, con l’aborto coattivo, automatico, nascosto, di nuovo segreto e tragicamente individuale, no» .Gli studi hanno rilevato che la donna che in prima gravidanza ha abortito, è portata ad assumere sostanze d’abuso con una frequenza maggiore di cinque volte rispetto a donne che hanno regolarmente partorito e quattro volte maggiore rispetto a donne che hanno abortito per cause naturali. Tra le donne che hanno abortito volontariamente maggiore sembra essere il rischio di suicidio. Alcune donne, infine, che hanno scelto di ricorrere al mifepristono-misoprostolo, riferiscono un vissuto di problematicità per il fatto che non sanno quando e dove di fatto si avrà questa perdita emorragica, cioè l’aborto; il dato riferito più rilevante come negativo è che la donna «vede l’embrione abortito». Per cui i contragestativi non solo lasciano sul campo centinaia di migliaia di morti innocenti, ma anche le “sopravvissute”, a cui sembra di avere facilitato la vita, di fatto vivono con più intensità morale ed emotiva il trauma abortivo. Con una ricaduta negativa della loro presenza sociale nei diversi ruoli in cui la vita chiama ciascuno a svolgere e a tessere la rete delle sue relazioni.

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