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di Andrea Di Consoli

RACCONTERÒ ogni dettaglio, affinché nulla risulti sottaciuto di questa lunga intervista. Circa quindici giorni fa – siccome sto facendo una ricostruzione a puntate per “Il Riformista” sul caso Elisa Claps – ho telefonato al pm Felicia Genovese, la quale si è subito mostrata disponibile a parlare con me (quel giorno siamo stati circa tre ore al telefono).
Alla fine mi ha detto che lei e il marito Michele Cannizzaro sarebbero stati felici di accogliermi nella loro casa di Ardore (in provincia di Reggio Calabria), e che avrebbero risposto a ogni mia domanda. Perciò il giorno 6 agosto, alle 7 del mattino, sono partito da Rotonda, mio paese di origine, e mi sono diretto verso Ardore. Alle 11 ero nella villa marina di Felicia Genovese e Michele Cannizzaro. Affinché nessuno possa accusarmi di eccessiva “equivicinanza” con i due, dirò esattamente come si è svolta l’intervista. Ci siamo messi nel cortile di casa e subito abbiamo iniziato l’intervista (che ho anche registrato). Verso le due, abbiamo mangiato in tre un ottimo pranzo a base di pesce – pranzo preparato dalla madre di Felicia Genovese. Poi abbiamo ripreso l’intervista fino a sera, quando abbiamo di nuovo cenato. Dopodichè la chiacchierata è durata ininterrottamente fino alle 5 del mattino (verso le 4 la Genovese è andata a coricarsi, lasciando me e il marito da soli). Infine, verso le 5 e mezza del mattino – siccome ero distrutto, e non me la sentivo di rimettermi in viaggio – ho accettato con piacere la proposta di dormire a casa loro. Alle 8 e 15 del giorno 7 agosto il dottor Cannizzaro – su mia indicazione – mi è venuto a svegliare in camera, e dopo qualche minuto abbiamo fatto colazione nel solito cortile. Dopo mezz’ora sono quindi ripartito per Rotonda. Siccome l’intervista è stata più intensa e lunga di quel che avevo previsto – tanto che la sera prima ero stato costretto a rinunciare alla presentazione di un libro alle ore 21 a Castelluccio superiore -, aggiungerò anche due dettagli, a mo’ di autodenuncia a futura memoria. Il primo è che nel pomeriggio, avendo terminato le sigarette – nel mentre intervistavo la Genovese – il dottor Cannizzaro, anch’egli fumatore, si è gentilmente offerto di andare a comperare le sigarette, portandomi numero 3 pacchetti di Chesterfiled’s light che non c’è stato verso di rimborsargli. Il secondo è che verso sera il mio cellulare si è scaricato, e purtroppo avevo dimenticato a casa il caricabatteria. A quel punto il dott. Cannizzaro si è subito attivato con il figlio Camillo affinché io potessi passare la mia sim dal mio cellulare scarico a uno dei due cellulari del figlio. Così ho fatto. Poi, al mattino, il dott. Cannizzaro mi ha detto queste parole: “Se lo porti pure questo cellulare, ce lo ridarà quando ci rivedremo a Potenza. Lei è un giovane giornalista, e il telefono le serve come il pane”. Quindi, a conti fatti, sono rimasto chiuso nella villa della famiglia Cannizzaro-Genovese per quasi un giorno intero. Questo è il resoconto trascritto della prima parte dell’intervista.
«Mio padre era un collocatore comunale, mia madre era una casalinga. Avevano tre figli, e io ero l’ultimo dei tre figli. Papà ci voleva mandare a scuola, ma a Laganadi c’era solo la scuola elementare, per cui ci trasferimmo a Reggio Calabria, dove feci le scuole medie e il liceo. Poi mi iscrissi a Medicina all’università di Messina. Ho iniziato a lavorare presto, all’età di 15 anni. Avevo uno zio che faceva il costruttore, e quindi a 15 anni io facevo già l’amministratore di condomino. Ero iscritto all’università di Messina, ma siccome ero molto distratto dal lavoro, dopo due anni avevo fatto un solo esame. A quel punto sia io che i miei familiari capiamo che frequentare Messina per me significa non arrivare mai alla laurea, perciò me ne vado all’università di Pavia, dove comincio tutto daccapo. Me ne vado addirittura in collegio. Mi metto a studiare con i sacrifici dei miei genitori, e mi laureo. Quindi lascio la Calabria nel 1970 per andare a Pavia. Tenga presente che i nostri amici di famiglia erano il comandate della stazione dei carabinieri di Calanna, e molti ragazzi che lavoravano nella radiomobile di Reggio. Posso dare nomi e cognomi, se lo ritiene opportuno. Quindi la mia famiglia non è mai stata sfiorata da nessun collegamento con la malavita. Tenga anche presente che il mio paesino, Laganadi, non è un paese di mafia. È un paesino di 800 anime. Non c’erano appalti. Si figuri che non c’era neanche l’edicola. Nel 1976, da studente universitario, io conosco mia moglie Felicia Genovese ad Ardore Marina.
In questa stessa casa dove ora siamo. Poi mi sono laureato nel 1977. Venivo da una università prestigiosa. Ed ero stato per 4 anni braccio destro del professor Storti, che era il medico dello Scià di Persia. Ero assistente volontario in clinica medica. Mio suocero, che aveva una serie di incarichi, ma soprattutto aveva un grosso studio di radiologia a Potenza, mi disse: «Vieni a Potenza, perché ho bisogno di aiuto». Accettai, e quindi scelsi di andare a fare il medico a Potenza. E quindi ho iniziato a fare il tirocinio senza remunerazione in radiologia. Dopodichè, non ero ancora sposato, perché mia moglie era ancora a Bologna a studiare, praticamente io comincio a esser apprezzato nell’ambiente medico potentino.
E lavoravo con mio suocero. Dopo qualche mese, per l’apprezzamento, per il mio modo di agire, io sono stato chiamato a fare il medico legale dell’Inam, e sono andato a fare il medico legale all’Inps. In contemporanea facevo anche il medico di famiglia, perché all’epoca si poteva fare il medico di famiglia subito dopo la laurea. Il mio primario dell’Inps, il dottor Olita, era il medico del Corpo forestale dello stato. Nel 1979, questo primario, che mi aveva valutato bene e mi stimava molto, mi disse: «Siccome sei integerrimo e rigoroso, voglio che tu sia responsabile del servizio sanitario del Corpo forestale di tutta la Basilicata».
Era un incarico del ministero dell’Agricoltura. Questo mi porta a esser conosciuto e apprezzato in tutta la Basilicata. Avevo 30 anni. Lavoravo già allora non meno di 14 ore al giorno. Nel 1978 io e mia moglie ci siamo sposati. Mio suocero ci comprò una casa a Potenza con il mutuo, che poi noi pagammo in 20 anni. Cosa vuole? Postazione di prestigio, l’Inps il Corpo forestale, medico di famiglia, Potenza poi è un piccolo centro, insomma, l’apprezzamento nei miei confronti aumenta. Poi c’è stato il terremoto nel 1980, e io vado a fare anche gratuitamente per 6 mesi il volontario nei container, per dare man forte a chi aveva bisogno. Dedicavo 3 ore al giorno a fare il volontario nei container.
Dopodichè le dico anche questo: il presidente Emilio Colombo, poiché aveva avuto la casa danneggiata dal terremoto, viene a vivere vicino a casa mia. Ci conosciamo e anche le sorelle mi conoscono e mi apprezzano. Quindi io divento di fatto il medico della famiglia Colombo. Se avevano bisogno di una visita, tanto per fare un esempio, chiamavano me, perché di me avevano fiducia.
Quindi mi affermo nella Potenza bene, ma ho a che fare anche con i contadini, e non si contano le visite gratuite che ho fatto. Poi mi iscrivo alla scuola di specializzazione di Napoli, dove non mi fanno specializzare, perché c’erano delle lobby pilotate dai grandi baroni della medicina.
Perciò dopo ave fatto 3 anni con tutti gli esami regolarmente superati, mi mettono nella condizione di non specializzarmi. E quindi io continuo questa mia attività da libero professionista. Alla fine degli anni ’80 assumo anche l’incarico di responsabile sanitario dei Vigili del fuoco per tutta la provincia di Potenza. Nel 1991, nel momento in cui capisco che la radiologia tradizionale, per l’avvento delle radiografie e delle tac, era un pò in declino, siccome mio suocero aveva una convenzione di fisiocinesiterapia, io amplio l’ambulatorio. Poiché la riabilitazione si affacciava in Basilicata come una innovazione, perché nel frattempo avevano aperto l’ospedale specialistico a Pescopagano, io, che avevo anche il pallino del management, amplio questa attività di fisioterapia e a quel punto, per potermici dedicare di più, lascio l’Inps, che mi occupava per 5 ore al giorno. Lo lascio volontariamente, e incomincio a incrementare queste attività di fisioterapia, fino al punto che nel 2004, quando lascio l’ambulatorio per andare a dirigere il San Carlo di Potenza, avevamo 50 dipendenti, mentre adesso sono 64. Nel frattempo, negli anni ’90, mio suocero, che era “aiuto” radiologo presso il San Carlo di Potenza, non viene nominato primario perché mia moglie, pur essendo magistrato in quella città, non aveva mai avuto rapporti con la politica, non aveva mai fatto favori a nessuno, e perciò mio suocero è stato l’unico medico anziano del San Carlo a pensionarsi da “aiuto”, anche se era il radiologo più famoso della Basilicata. E tenga pure presente che negli anni ’70, quando si presentava la dichiarazione dei redditi, mio suocero, che era una persona ligia e rispettosa delle regole, uscì sui giornali come secondo contribuente della Basilicata. Però tutte le grandi imprese, tutti i grandi professionisti, non comparvero in quella lista. Chissà perché! Mio suocero si chiamava Camillo Genovese, ed è morto nel 1999. Ma arriviamo al 2004, alla maledetta storia dell’ospedale».

L’INTUITO FEMMINILE
Interviene Felicia Genovese:
«Questa è stata una cosa che ha minato molto la nostra convivenza. Perché noi donne abbiamo una sorta di intuito. Io non volevo assolutamente che lui facesse la domanda a direttore del San Carlo. Certo, il suo curriculum era tale per cui poteva benissimo provare a farlo, ma io non volevo. La Lucania è una regione dove c’è molta burocrazia, dove ci sono molti dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ma grandi manager privati non ce ne sono. Ma io non volevo assolutamente, tanto che più volte abbiamo litigato violentemente per questo motivo».

LA COPPIA CANNIZZARO-GENOVESE
Riprende la parola Cannizzaro
«Nel 2001, proprio perché ritengo la sanità un servizio di qualità, non un servizio per fare soldi, anche per fare soldi, ma soprattutto di qualità, io ho fatto un ingente investimento, e adesso abbiamo a Potenza uno studio funzionante di circa 1.400 metri quadrati, che ritengo sia il migliore del centro-sud. Tenga presente che nel 2003, poiché mi volevo allargare, perché c’erano tanti servizi che né il pubblico né il privato fornivano, ho fatto la domanda per ampliare le mie attività per la riabilitazione più grave, per i grandi portatori di handicap. Ho quindi avuto il primo parere di compatibilità dall’Asl nel 2003, dove l’Asl dice che queste attività non vengono svolte in Basilicata, e che si è costretti a ricoverare la gente a Eboli o a Cassano Murge. Per cui chiediamo l’autorizzazione a prestare questo tipo di attività. I miei figli, che hanno ereditato la società, ad oggi non hanno ancora avuto il contratto dall’Asl. Dottor Di Consoli, è questo il grande potere della coppia Cannizzaro-Genovese? Ancora oggi ho tutto lo studio con le apparecchiature più avanzate ferme. Sono 6 anni che non riusciamo ad avere il contratto dall’Asl. Sa dove nasce la mia aspirazione ad andare al San Carlo? Nasce da qui. Allora, nel 2003 c’è il bando per Direttore generale del San Carlo. C’era uscente il dottore Pastore. Viene nominano il dottor Tosolini, ma nel marzo del 2004 Tosolini se ne va in Friuli. Il Direttore amministrativo prende le funzioni di Direttore generale e nel mese di giugno fanno il bando per questo importante incarico».
IL SASSOLINO CHE FA CADERE LA MONTAGNA: IL CASO PANIO
Prende la parola Felicia Genovese:
«Il bando lo fanno dopo che io avevo concluso l’attività di indagine sulla denuncia di Panio, dopo che avevo sottoposto al Procuratore della Repubblica la richiesta di archiviazione per il caso Panio. Perché ho archiviato? Perché non ritenevo ci fossero elementi per sostenere l’accusa in giudizio. E le spiego perché. Dunque, l’indagine nasce nel 2001, con una denuncia di Panio, e viene assegnata a me dal Procuratore, perché io ero il magistrato designato, insieme a un altro collega, per i procedimenti contro la pubblica amministrazione. Mi viene assegnato questo procedimento e io svolgo le indagini. Tutto quindi nasce dalla denuncia di Panio, che espone tutta una serie di circostanze, sostenendo che il suo licenziamento da parte della giunta regionale fosse determinato dalla volontà del presidente Bubbico di mettere un suo uomo al posto di Panio. Si consideri che Panio era stato nominato 3 mesi prima dallo stesso Bubbico. Quando mi determino a presentare la richiesta di archiviazione? Nel momento in cui ho sentito tutti quanti, anche alcuni componenti del consiglio regionale, e costoro mi dicono che la decisione è stata presa nell’ambito del consiglio regionale. Tra i tanti, il dottor Gennaro Straziuso mi dice: «Guardi, il licenziamento di Panio è maturato nell’ambito del consiglio regionale dopo una lunghissima discussione. E’ stato il consiglio regionale intero ad adottare questo provvedimento». Questo mi ha fatto ritenere che non si trattasse di una volontà singola dell’architetto Bubbico, ma che fosse una questione politica, che a mio parere (e continuo a pensarla così) non rivestiva gli estremi di un fatto penalmente rilevante. Esiste una norma del codice di procedura penale che non tutti conoscono evidentemente, e che dice che lì dove il Pm ritiene non ci siano elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio, e quando la prognosi è una prognosi di assoluzione, il Pm deve chiedere l’assoluzione. Per cui ho ritenuto di fare una richiesta di assoluzione, anche perché ognuno può curarsi dove ritiene più opportuno. Questo è un diritto garantito dalla Costituzione. Quando c’è stato il dibattimento sul caso Panio, tutti i giorni sui giornali c’erano notizie delle indagini e delle perquisizioni. Si metta nei panni di un magistrato che deve valutare equamente un fatto che è stato il punto di partenza di una indagine che ha messo a soqquadro l’intera regione. C’era un clima orribile. Eppure, malgrado questo, il Tribunale di Potenza ha assolto tutti perché “il fatto non sussiste”, che è la formula ampiamente liberatoria. Questo significa che se si fosse andati avanti sulla denuncia di Panio non si sarebbe arrivati a niente, e si sarebbe perso altro denaro. Perché i processi costano, e costano molto. E’ successo di tutto, mi creda. I colleghi del Tribunale sono stati costretti a lavorare in un clima pesantissimo. Senza contare poi il provvedimento del Tribunale del riesame di Catanzaro sulla vicenda Panio, perché guardi, il dato obiettivo è questo: io sono stata indagata dal dottor De Magistris, e sono stata perquisita insieme a mio marito, per un delitto di abuso di ufficio, cioè per non essermi astenuta dal processo Panio malgrado l’interesse di mio marito, che poi è stato nominato Direttore del San Carlo. Questo è il fatto per cui sono stata indagata e perquisita fuori dal termine delle indagini preliminari, cioè a termini scaduti, e lei sa bene che le indagini non possono essere compiute a termini scaduti, sennò sono inutilizzabili. Per questa vicenda sono stata trasferita di ufficio come misura cautelare dal CSM, tutto il resto non esisteva, anche se Carlo Vulpio, guarda caso, il 26 febbraio aveva anticipato questi scenari apocalittici che poi sono emersi nell’avviso di conclusioni delle indagini, e nelle dichiarazioni dei magistrati di Potenza. Allora perché le dico questo? Perché questa è la vicenda che mi vede protagonista, e su questa vicenda il Tribunale del riesame di Catanzaro ha messo la parola fine con un provvedimento della Cassazione che ha confermato il provvedimento, e in questo provvedimento si dice che non c’era neanche un sospetto per potere effettuare le perquisizioni. E lei sa che la perquisizione non richiede neanche un grave indizio di colpevolezza. Richiede solo che esista un’ipotesi di reato. Questi sono i fatti”.
LA STAMPA CONTRO
LA MALASANITA’
Riprende la parola Cannizzaro:
«Tenga presente che la giunta regionale, invece di bandire subito il concorso a marzo, quando va via Tosolini, aspetta la scadenza di altre due Asl per fare un unico bando. Precedentemente la data della domanda, i giornali della Basilicata, tutti i giorni, facevano articoli sulla devastazione del San Carlo, su come erano disastrati i bilanci, e sull’emigrazione sanitaria. La stampa come non mai aveva smosso le acque della sanità in Basilicata, scagliandosi anche contro le solite nomine politiche all’Asl. Arriva il 17 luglio».
UNA PRECISAZIONE
Interviene la Genovese:
«Aspetta Michele. Arriva il 17 luglio. Ma la richiesta di archiviazione sul caso Panio era stata fatta da me il 17 di giugno e subito mandata al Procuratore per il visto».

IL MALEDETTO CONCORSO
Parla Cannizzaro:
«Quando mia moglie fa la richiesta di archiviazione il 17 di giugno, che cosa fa il Gip? Chiede ulteriori indagini. Le ulteriori indagini le effettua da solo il Procuratore della repubblica, il dottor Galante, che poi diventa teste di De Magistris. Il dottor Galante fa le indagini e ripropone l’archiviazione.
Quindi non è più la Genovese, ma è Galante che chiede l’archiviazione! Dopodichè il dottor Iannuzzi, diventato teste di accusa di De Magistris, fa l’imputazione coatta, e poi fa il processo che finisce con l’assoluzione di tutti.
Ma torniamo alla questione dell’ospedale. Io vengo ad Ardore il 17 di luglio a trovare la famiglia, ad archiviazione già fatta. E mai e poi mai a casa si era parlato della possibilità che io partecipassi a quel bando. Né ho mai avuto contatti con i politici prima del mio incarico. Hanno fatto le indagini anche su questo.
Niente, non hanno trovato niente. Neanche un “buongiorno” con Bubbico, con Chiurazzi, o con De Filippo. Mai visti! Mai! Hanno visto i tabulati, ci hanno intercettati. Allora, vengo qui ad Ardore.
C’erano due miei terapisti. Ci mettiamo a cenare e, parlando di malasanità in Lucania, io dico: «Quasi quasi faccio io la domanda, e vediamo se riusciamo a mettere a posto questo benedetto San Carlo». Mia moglie mi aggredisce. Mi aggredisce per una ragione molto semplice: perché i nostri guadagni più grossi venivano dall’ambulatorio, e quindi mia moglie si schiera contro questa possibilità.
Il 18 luglio torniamo a Potenza. Il giornalista che all’epoca faceva una battaglia contro la sanità lucana era Nino Grasso, che aveva fatto una campagna mediatica contro la giunta Bubbico. Tenga conto che il dottor Grasso aveva difeso Panio contro Bubbico.
Leggo quindi un fondo di Grasso contro la sanità, dove parlava del disastro della sanità lucana. Torno a casa e riparlo a mia moglie della possibilità di impegnarmi in prima persona. Cosa faccio, a quel punto?
Vado a prendere il bando, per vedere anche se avevo i requisiti, anche perché non avevo mai partecipato a un concorso pubblico. Leggo attentamente, e ritengo di averli tutti. Il mio avvocato storico è l’avvocato De Bonis, persona molto conosciuta a Potenza.
Vado da lui e gli dico: «Decifriamo questo bando». E Lui: «Ma chi te lo fa fare? Tu hai l’azienda che va bene, perché te ne vai in quella bolgia? Però se lo vuoi fare, poiché sarai attaccato se sarai nominato, mettiamoci a posto». Mi dice quello che devo fare. E fa cedere la mia quota della società.
E facciamo l’atto di trasferimento della quota societaria. E quindi mi dimetto dai miei incarichi di Direttore sanitario. Chiamo il direttore dell’Aias di Melfi e gli dico: «Giulio, mi serve un fisiatra, perché voglio fare la domanda al San Carlo». E lui mi manda un fisiatra che prende il mio posto.
E perdo ogni incarico e ogni quota della mia società. Il 22 luglio, dopo aver ottemperato a tutto questo iter amministrativo, vado alla Regione e presento la domanda. Il giorno dopo prendo la macchina e me ne vengo in Calabria. E’ il 23 luglio».
I PROCESSI CONTRO
LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
Precisa la Genovese:
«Il 23 luglio, dopo che lui presenta la domanda, il giorno dopo io vado in ufficio, perché sapevo di aver avuto in trattazione alcuni procedimenti contro la pubblica amministrazione. E cosa faccio? Faccio una lettera al Procuratore e gli chiedo di astenermi da tutti i procedimenti che riguardavano la giunta regionale in vista di questo concorso che comunque sarebbe stato valutato dalla giunta. Lui presenta la domanda il 22 luglio e io faccio questa richiesta il 23.
E dò l’incarico alla mia segretaria di andare a consultare il Rege per vedere quali erano i procedimenti che riguardavano la giunta e l’ospedale San Carlo. Premetto che al Rege, che poi poteva essere consultato solo dalla segreteria, vengono fuori solo i procedimenti che non sono stati definiti (il procedimento Panio era stato definito, perché per la Procura della repubblica la richiesta di archiviazione chiude le indagini). Su questa storia hanno fatto un ricamo che non le dico! Il 5 agosto ho preso questi procedimenti che io dovevo lavorare e li ho portato fisicamente al Procuratore, chiedendo e ottenendo di non occuparmene più».
LA NOMINA
Cannizzaro riprende il suo discorso:
«Allora, io me ne vengo in Calabria, dopodichè ricevo una telefonata dall’attuale presidente del Consiglio Regionale, dott. Prospero De Franchi, anche lui in corsa per la direzione del San Carlo. E mi dice: «Sono contento che hai fatto questa domanda». E mi tiene un quarto d’ora al telefono e mi dice che sono la persona giusta. Poi però mi chiede: «Michele, politicamente ti sei mosso? Ti devi far proporre da qualcuno». Io gli rispondo che la mia domanda è tecnica, e non voglio che la politica intervenga. Chiudo il telefono e aspetto. Dottor Di Consoli, lei poi può scrivere tutto quello che vuole, ma io le devo dire la verità, la verità totale: il venerdì convocano la giunta alle ore 14, invece la mattina, alle 10, mi chiama l’assessore Gaetano Fierro dell’Udeur. Mi chiama e mi dice: «Alle due devo andare in giunta per le nomine. Ma come nasce questa sua domanda, perché non ne parliamo?». Io gli rispondo: «Professore, sono in ferie al mare, la mia è una domanda tecnica, voi politici fate quello che ritenete più opportuno fare». E lui: «Quindi non vuole tornare a Potenza a parlarne?» E io: «Ho detto che non mi muovo da Ardore marina». Il sabato mattina, alle 10, mi richiama il professor Fierro, e mi dice: «Dottore, ieri sera abbiamo fatto direttivo dell’Udeur, e le devo dire che noi condividiamo questa sua domanda, e la appoggeremo.
E poi noi siamo amici da tanto tempo». E io: «Professore, che sia molto chiaro! Una cosa è l’amicizia, ma io politicamente non sono amico di nessuno, quindi non pensate di accreditarvi con questa telefonata. Andate in giunta e fate quello che ritenete più opportuno». Poi incomincia la giunta. Nel pomeriggio del 31 ricevo due telefonate da due consiglieri regionali dell’opposizione, che si chiamano Agatino Mancuso, all’epoca di Forza Italia, e Egidio Digilio, all’epoca consigliere regionale di An. Mi chiamano e mi dicono: «Siamo in consiglio regionale, la giunta è riunita per le nomine della sanità, circola il suo nome, siamo veramente contenti, speriamo che questa volta facciano una nomina non politica ma tecnica». Il 31 sera mi arriva la telefonata del Presidente della regione Bubbico che mi annuncia che ero stato nominato Direttore del San Carlo di Potenza. Bubbico poi mi passa al telefono il dott. Chiurazzi, assessore alla Sanità, che io non conoscevo, che si congratula con me. Io gli dico: «Non la conosco di persona, ma passerò a trovarla nei prossimi giorni». Dopodichè vado a Potenza, e vado a trovare Chiurazzi, che mi dice: «La sua è stata una nomina tecnica, certo condivisa dalla politica». Il dott. Chiurazzi mi tiene a colloquio due ore, e mi illustra tutti i disastri del San Carlo, e siccome il San Carlo è il traino di tutta la sanità lucana, mi dice: «Lei deve governare con mandato ampio e deve rimettere a posto l’ospedale». Dopo due o tre giorni vado a trovare Bubbico. Mi presento e lui mi fa sedere, e dice: «Ho visto il suo curriculum, lei conosce bene il San Carlo di Potenza». Perché conoscevo bene l’ospedale? Perché dal 1980 al 2004 io ero il medico fiscale di tutto il personale medico, paramedico e amministrativo dell’azienda San Carlo. Quindi conoscevo tutti. Questo è un passaggio importante. Io vengo nominato medico fiscale quando l’assenteismo era di circa il 60%. Quindi avevo anche questo bagaglio di esperienze. Bubbico, che avevo incontrato solo un’altra volta molti anni prima, mi dice: «Che pensa di fare per il San Carlo?». Io gli espongo un programma verbalmente, e Bubbico, dopo avermi ascoltato con molta attenzione, mi dice: «Mi fa piacere quello che dice, perché molto di quello che lei vuole fare non siamo riusciti a farlo in tutti questi anni. Vada avanti.
Ha mandato ampio. Non senta nessuno. Provveda al risanamento, all’efficienza e soprattutto argini l’emigrazione sanitaria». Io le dico questo, dottor Di Consoli, senza timore di essere smentito: su tutto quello che dicono e hanno detto sul mio conto, io sono pronto a sfidare chiunque. Se trovano una virgola nei miei confronti o nei confronti della mia famiglia, io mi vado a impiccare, perché mi vergognerei dei miei figli, ché del resto non m’importa niente».
IL COGNATO
DI GAETANO FIERRO
Si arriva così a un punto delicato della vicenda. Parla di nuovo Cannizzaro: «Da direttore del San Carlo guadagnavo circa 7.000 euro al mese, senza tredicesima e senza buonuscita. I primari di ospedali guadagnano il triplo. Non solo, la mia dichiarazione dei redditi negli ultimi anni non era mai sceso al di sotto dei 200 mila euro. Mai! Non ho mai utilizzato né macchina né cellulare aziendale. Ho sempre usato la mia macchina personale.
Tenga presente che durante la mia permanenza in ospedale, il giorno della festa della donna, tutti gli anni io regalavo le mimose a tutte le donne dell’ospedale, a spese mie. Lo facevo per motivare le donne del San Carlo, che ha circa 2.700 dipendenti, di cui la maggioranza donne. Il giorno dopo la nomina esce un articolo a firma Nino Grasso che è intitolato: “La presenza ingombrante”, dove il Grasso dice che ho dimostrato il mio valore di manager, ma che purtroppo ho la moglie magistrato, e quindi fa un articolo molto critico, soprattutto perché c’era Bubbico che mi aveva nominato. Quando vanno in giunta, per tornare all’Udeur e a Fierro, non è vero che Fierro va in giunta e sponsorizza la mia candidatura. Loro, molto semplicemente, pretendevano una postazione all’Asl. Bene. Appena nominato Direttore, io metto mano alla cardiochirurgia.
Sa perché la cariochirurgia è sempre stata all’avanguardia a Potenza? L’idea nasce da Emilio Colombo, che porta a Potenza il professor Tessler a dirigere il reparto di cardiochirurgia, e diventa il primo centro cardiochirurgico al Sud. Poi il professor Tessler va via e, dopo l’andata via di Tessler, ci sono 10 anni di vuoto nella cardiochirurgia. Il mio predecessore, Pastore, fa un contratto con un tale professore Minale, che veniva da Genova, un contratto di circa 400 milioni di lire all’anno (su chiamata, senza concorso), e durante la reggenza di questo Minale, in cardiochirurgia è successo di tutto: processi, migrazione, disavanzo. Arrivo io e, poiché Minale era in scadenza di contratto, il primo problema che mi pongo è la cardiochirurgia. Bandisco il concorso per il Direttore di cardiochirurgia, dopodichè si presentano a questo concorso tantissimi cardiochirurghi da tutta Italia. La commissione di concorso mi fa le schede di valutazione, che mi arrivano sul tavolo. Che cosa succede nelle more, cioè nell’arco di tempo che va dall’atto del concorso all’espletamento del concorso? Partecipa al concorso anche il cognato di Gaetano Fierro, il dottor Biagio Tomasco di Potenza. Quindi ricevo una visita in ospedale da parte dell’assessore Fierro, il quale mi dice che il cognato aspirava da tanto tempo a fare il primario di cardiochirurgia, e che sarebbe stato preferibile fare questa nomina anziché, così come riportato dalle voci di corridoio dell’ospedale, nominare il professor Gaeta (che poi è stato nominato Direttore di cardiochirurgia dal mio successore, sei mesi fa). Questa era la voce. Questo Tomasco era un aiuto storico della cardiochirurgia, e non aveva mai fatto una formazione altrove. Nel momento in cui Fierro viene in ospedale per perorare la causa del cognato, io gli rispondo che sono tutte stupidaggini quelle che si dicono, perché non ero ancora in condizione di sapere che avrei nominato come primario di cardiochirurgia. E quindi mi rifiuto di accontentarlo. Lui mi risponde che questa questione è politica e che l’avrebbe portata all’attenzione della giunta regionale. Lo ha detto con disappunto, diciamo così. Io appartengo a quella cultura che dice: “Male non fare, paura non avere”, e perciò che cosa ho fatto? Ho preso carta e penna e ho fatto una lettera personale a Bubbico e a Chiurazzi, raccontando in dettaglio la visita di Fierro. Di questa lettera hanno parlato tutti, ma la mostro solo a lei. Mi hanno pregato in ginocchio per averla. A lei la voglio mostrare, di lei mi fido. Il direttore amministrativo, quando gli dico della lettera, mi dice: «Michele, pensaci bene». E io: «No, non mi faccio intimorire, la nomina della cardiochirurgia è una cosa seria». E ho fatto quella lettera proprio in virtù dell’autonomia che Chiurazzi e Bubbico mi avevano garantito, tanto che non mi hanno mai, dico mai, chiamato per fare pressioni o chiedere qualcosa. Infine nomino a primario di cardiochirurgia il dott. Sergio Caparrotti, che operava a Bari e a San Giovanni Rotondo. A parte l’indiscussa professionalità, il dott. Caparrotti operava il 50% dei lucani in Puglia. Quindi mi prendo un mago della sala operatoria, e abbatto l’emigrazione sanitaria. C’è una terza cosa: Caparrotti a Potenza porta anche molta utenza del salernitano e dell’alta Calabria. Io quindi faccio questa nomina e i giornali dicono: “Colpo grosso di Cannizzaro al San Carlo”. La politica seria plaude. E consideri che il mio contratto con Caparrotti (su concorso) era di appena 105.00 euro all’anno lordi! A differenza dei 400 milioni dati al professor Minale!».
1/continua

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