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di DORA ALBANESEARRIVO a La Martella alle tre del pomeriggio di un sabato d’agosto, e subito mi dirigo verso il centro del borgo, mentre due anziani seduti su una delle poche panchine messe di lato allo “Spaccio” (luogo d’incontro dei giovani martellesi e della gente del borgo in generale, situato nella zona vecchia e più caratteristica del posto) mi scrutano da lontano, e subito percepisco un’inquietudine e impazienza tipiche del mondo contadino. E’ ancora forte in questa gente il sentimento di lotta per la sopravvivenza, l’obbligo di non arrendersi mai, e di portare sempre un tozzo di pane a casa a fine giornata, nonostante tutto. Diciamo pure che la maggior parte della gente del borgo vecchio è impegnata nella coltivazione del grano e nella vendita diretta dello stesso a rifornitori locali e pugliesi.
I due anziani che incontro mi guardano in faccia con gli occhi vispi e rugosi, mentre scanzonata e saltellante, e anche un poco sudata per il troppo caldo, mi avvicino a loro. Uno dei due si chiama Francesco, ed è lieto di parlarmi, mentre l’altro monta in sella ad una vecchia bicicletta femminile color rosso e subito va via salutandoci con uno “statv bun”.
«Lascialo stare a quello che sta incazzato… stiamo avendo problemi con la terra – mi confida Francesco, agricoltore come suo padre e suo nonno che questo borgo lo ha visto nascere e ne conosce tutte le trasformazioni avvenute. Lui è uno di quei materani che nel Cinquantaquattro (due anni dopo il varo della legge sullo sfollamento e sulla bonifica dei Sassi) abbandonò con i tre fratelli e i genitori (le due sorelle vennero maritate per abbattere le spese familiari) la grotta in cui vivevano vicino a San Pietro Caveoso. Forse scherzando, Francesco mi dice che pur di non vendersi i muli, che vivevano nella loro abitazione, se li mangiarono. Avrebbe perso pure ogni gesto semplice e cortese che solo la gente che è abituata a convivere tutta assieme dall’alba sino al tramonto sa avere, a breve sarebbe cambiato tutto, gli animali sarebbero andati a vivere con gli animali e le bestie con le bestie (chi sono le bestie e chi gli animali? Chi è l’Uomo e chi il Cane?).
Francesco aveva vent’anni quando abbandonò il Sasso Caveoso, l’umidità che mangiava le ossa e la malattia peggiore, quella della fame che non veniva saziata mai del tutto e che prendeva allo stomaco senza poterci fare niente.
«Si stava con la gente in quei momenti… per dimenticare i crampi allo stomaco si stava nella piazza, i bambini tiravano la coda ai muli, i grandi dicevano una chiacchiera e aspettavamo tutti assieme che il vento cambiasse – mi racconta Francesco, e mi parla con gli occhi imprigionati nella cataratta, in un materano strettissimo – alla fine di ogni sua parola segue una litania breve come una dolce ninna nanna che inciampa tra le gengive sdentate, e quasi mi commuove, quel gesto consolatorio di chi per tutta la vita è stato costretto a fare l’uomo pure a cinque anni, e adesso si culla mentre parla del passato con uno stupore nello sguardo che nemmeno la vecchiaia potrà mai portargli via .
«Voi giovani non li conoscete proprio i venti… adesso c’è la tramontana, senti… – mi sussurra, e io chiudo gli occhi e provo a sentire.
«Quando vivevamo nei Sassi non avevamo nemmeno i soldi per comprare i fiammiferi per il fuoco, e allora si andava dal vicino a riscaldarsi, oppure a chiedergli in prestito un lumino. Poi ognuno si ritirava a casa propria, pure le galline… tutte le galline del Caveoso si univano nello stesso gruppo, e poi anche loro sapevano quando si dovevano ritirare a casa propria… ognuna prendeva la sua strada, non si confondevano mai, non sbagliavano mai padrone, adesso invece, da quando sono nati i condomini, non si vive più, le porte sono blindate, la televisione sempre accesa, e nessuno parla più, il vicino di casa è un estraneo… oggi siamo tutti estranei, e i bambini vengono rimbambiti dai giocattoli… i bambini di oggi il cielo non lo guardano più e forse manco lo sanno che c’è l’hanno sopra alla testa».
A tale proposito gli domando cosa ne pensa della parte nuova del borgo, della zona residenziale chiamata Ecopolis. Francesco ride, e poi afferma che quelli di Ecopolis sono degli artigiani, e dei problemi dell’agricoltura non ne sanno niente: «La disperazione vera è solo la nostra, soprattutto ora che gli ambientalisti ci stanno facendo storie e il prezzo del foraggio è altissimo, mentre la vendita è inferiore a quanto si spende per coltivare la terra».
Getto di nuovo uno sguardo allo “Spaccio” – mentre il mio buon amico di panchina continua a parlare e sembra non voglia più smettere di dirmi la sua storia – che non è altro che una piazzetta con un tabacchino chiuso per le ferie d’agosto; un tabacchino che non ha nemmeno il distributore automatico e la gente del posto è costretta a comprarsi la stecca di sigarette da Matera per evitare di fare avanti e indietro per tutto il mese. Anche il bar dello “Spaccio” è chiuso per lo stesso motivo: sono tutti in ferie, e dei martellesi nessuno se ne importa niente.
Francesco mi fa notare che un forastiero che si trova a passare da queste parti per caso non può comprare nemmeno una bottiglia d’acqua e nemmeno dissetarsi al fontanino, che purtroppo è stato chiuso perché perdeva acqua e l’amministrazione comunale ha preferito toglierla l’acqua invece che sistemare il servizio pubblico.
Vicino alla grande e importante chiesa – il cui orologio posto in cima al campanile fa da faro illuminando il cammino di tutti coloro che da Matera arrivano nel borgo – sono state montate pure delle giostrine dove i bimbi vanno con le loro madri a passare le vacanze in un’estate che pare non tocchi affatto La Martella, sempre impigliata, specialemnte nella parte vecchia, in una eterna sospensione tra passato e presente.
«Vai a vedere – dice Francesco – vai a vedere come vivono nella zona residenziale, se lì l’estate è arrivata oppure no». Annuisco e, dopo aver stretto la sua mano callosa, entro in macchina e metto in moto, e mi dirigo nella zona degli artigiani (in alcuni casi semplicemente piccolo-borghesi alla ricerca di un paradiso sintetico e di un terrazzo grande quanto basta per arrostire in compagnia dei parenti il capretto quando il tempo è buono).
Sì, mi dico, nella zona nuova l’estate è arrivata, e come se è arrivata!
Ad accogliere le macchine che arrivano all’entrata del residence ci sono due sbarre comandate a distanza da un guardiano che sta nel gabbiotto poco distante dalle stesse. Subito un sentimento claustrofobico e di panico mi prende alla gola. Come si fa, mi chiedo, a vivere sotto controllo? Come si fa ad accettare di essere spiati giorno e notte, ad allentare i freni e a vivere lontano dallo scorrere del tempo e della vita?
Ad Ecopolis regna un silenzio senza echi. La maggior parte delle villette ha le persiane abbassate. «Saranno andati tutti a Metaponto – penso, e mi avvicino al guardiano delle sbarre chiedendogli se è vero che queste sbarre vengono abbassate la notte, se Ecopolis diviene davvero un’isola irraggiungibile dopo la mezzanotte. E lui, un signore magrolino e brizzolato che vive a Matera, mi dice che dal primo agosto, in seguito al cambio di gestione, le sbarre non vengono più abbassate. Gli domando quindi com’è l’estate a La Martella, e perché secondo lui i turisti che vengono a visitare i Sassi poi non vengono a vedere il resto della storia, dove cioè vennero messi i materani sfollati dai Sassi, che si trasformarono, improvvisamente, da materani in martellesi.
Il guardiano mi risponde, distratto e annoiato, che a La Martella non c’è proprio niente da vedere. Gli chiedo pure se ci sono delle differenze sociali, se chi ha una Mercedes e vive in una casetta unifamiliare in un residence è invidiato da chi invece può permettersi solo una Panda sgangherata e vestiti marcati “r.d.m.” (rob’ du’ mercat’). Gli chiedo pure se i bambini del borgo vecchio giocano con i bambini del residence, se la semplicità degli agricoltori mette in imbarazzo “l’èlite” martellese, e se “l’èlite” vive situazioni di ostilità e di rabbia da parte della gente più povera. Il guardiano mi risponde come mi risponderebbe ogni buon materano che si rispetti, e cioè: «No, no, signorina… qui vanno tutti d’accordo, la povertà che dice lei non c’è più, anche nella zona vecchia ci sono gli impiegati, è solo che vivono in case più vecchie, i bambini giocano assieme… é sicuro, non ci sono differenze». Lo saluto e vado avanti. Trovo lungo la strada un supermercato, una banca e un ristorante; c’è pure una lavanderia, e pare che in questo piccolo paese non manchi proprio niente. Parcheggio la macchina ed entro nel ristorante “Il poeta contadino”. Subito mi accoglie un uomo, un giovane ragazzo che mi dice di sbrigarmi a fargli le domande, perché ha da fare, deve cucinare per la sera, anche se sono solo le tre del pomeriggio. Gli faccio le solite domande: gli chiedo perché il turismo non arriva in questo borgo, e la risposta è sempre la stessa: «A La Martella non c’è proprio niente da vedere, questo è solo un borgo nato cinquant’anni fa e basta. Che c’è da vedere a La Martella scusami?”
Poi, alla domanda sulle sbarre, sull’orario in cui venivano abbassate e riaperte, e se ci fosse un controllo sulla gente che entrava nel residence, lui mi risponde: «O, ma che sei della polizia in borghese»?.
Mi chiedo allora il perché di questa paura: cosa temeva il poeta contadino con cui stavo parlando? Forse è proprio vero che in questo posto non c’è proprio niente da vedere, e che la gente non ha più voglia di parlare in assoluto. Lo ringrazio e vado via.
Il mio viaggio in questo piccolo borgo è finito. Mi dirigo verso la zona vecchia de La Martella che, nonostante tutto, tiene ancora negli occhi il tufo bianco e brillante dei Sassi, l’immenso strapiombo della Gravina, e le carrozze trainate da cavalli bianchi (quando moriva un bambino), e da cavalli neri (quando moriva un adulto, oppure un anziano, perché soldi per le bare colorate non ce n’erano proprio).
Dicono che a breve verrà inserita una farmacia fissa nel borgo, e che avrà i medicinali di primo soccorso. Ma quando ci sarà una farmacia per curare i mali dell’anima e le asprezze di questa gente, che ogni giorno che passa diviene sempre più estranea alle sue stesse origini? Del resto hanno proprio ragione loro: a La Martella, purtroppo, non c’è più niente da vedere.

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