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di LUCIA NARDIELLO Non è una questione di campanile, né di partito preso. L’ampliamento della discarica di Atella “non s’ha da fare”.
E’ questa la posizione delle 15 famiglie, tutte rioneresi, residenti sui terreni periferici del comune di Atella, limitrofi a quello su cui dovrebbe sorgere la nuova parte della discarica. Non che la zona sia stata scelta appositamente perché popolata da cittadini del comune di Rionero, ma i conti non tornano.
La lotta per difendere la propria terra dall’inquinamento va avanti ormai da più di cinque anni. Giovedì qualcosa si muove, gli operai si mettono a lavoro recintando la nuova area di costruzione, iniziando i lavori. Ieri mattina pronta la risposta dei cittadini. Una delegazione va dal sindaco di Atella, Roberto Telesca, con la richiesta di fermare i lavori, ma torna senza risultato.
Così si decide di bloccare l’attività di espansione con un presidio: puntando i piedi con tanto di striscione.
Sul tavolo delle accuse la perizia geologica fatta dagli enti preposti che non corrisponderebbe alla controperizia fatta fare a proprie spese dai cittadini. Proprio loro, che non sono riusciti ad esprimere il loro parere sfavorevole sulla costruzione, perché all’oscuro della scadenza dei termini entro cui fare ricorso.
Ad intervenire anche il sindaco di Rionero, Antonio Placido: «E’ necessario un approfondimento tecnico che fughi le perplessità legittime sui rischi di natura geologica – dice – Vogliamo chiarezza».
Per lunedì, intanto, è previsto un tavolo tecnico con i rappresentanti di Provincia e Regione: la speranza è che si trovi un accordo. «Non è giusto», è lo sfogo delle famiglie sulla questione, che alla notizia della convocazione dell’incontro hanno sospeso la protesta. Le loro motivazioni sono così fondate: la prima discarica non è più in funzione perché satura e già da sola ha creato innumerevoli problemi agli abitanti. Una discarica che, su carta, doveva contenere solo i rifiuti di tre comuni è stata poi adibita a ricettacolo di tutti i rifiuti comuni del circondario, riempiendosi prima del tempo e producendo introiti considerevoli al comune proprietario. Saturata la prima discarica si è pensato all’ampliamento.
E la querelle è continuata. Documentazioni fotografiche precise e numerose dei cittadini abitanti dimostrano il grave stato di inquinamento in cui versa l’area, soprattutto quando piove. Il terreno su cui sorge la discarica si presenta palesemente argilloso e soggetto a frane anche a un occhio non esperto. La discarica è situata proprio sul punto più alto della collina mentre i terreni e le abitazioni sono tutte a valle. Così durante le piogge tutto il materiale inquinante scende, irrompendo nella proprietà privata dei cittadini. Ci sono foto che mostrano laghi neri e schiumosi di percolato, creatisi a seguito di questi eventi. Ci sono stati morti sospette di animali da fattoria come mucche e pecore. La falda acquifera è inquinata e i proprietari dei pozzi non attingono più ad essi nemmeno per uso irriguo.
Un segnale del profondo inquinamento che segna tutta l’area. «Negli anni 80 – raccontano “la spazzatura veniva ammassata all’aperto proprio qua vicino in contrada Pesco. A valle, dall’altro lato ci sono le sorgenti». La zona è registrata come bacino idrominerario.
«Per la salvaguardia del bacino hanno deciso la costruzione della discarica», spiegano i cittadini. In effetti è ancora ben visibile il cartello apposto dalla Regione in cui si motivano i lavori della discarica. «Però nel 2007 qualcosa è cambiato – proseguono – Con l’approvazione del progetto di ampliamento della discarica il confine del bacino idrominerario è stato spostato, guarda caso, 200 metri più in la, in modo tale da non includere i nostri terreni».
Più volte ci sono state ispezioni da parte dei carabinieri del Noe e dei tecnici dell’Arpab. «Hanno fatto tutti i rilevamenti ma non ci hanno mai fornito i dati – dicono i cittadini – sappiamo solo che a seguito di questi controlli la discarica è stata chiusa».

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