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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – «Signora, quando sarà non è che dovete venire in questo marciume qua… pigliate e andate da Michele e fate una cosa come dio comanda per vostro padre… a parte che poi vedrete la pulizia e tutto il resto». La «signora» è la figlia di un paziente dializzato. «Questo marciume qua» è riferito al reparto di dialisi dell’Ospedale San Carlo. E chi parla è un infermiere professionale dell’unità operativa di nefrologia che gioca a carte, è indebitato e per arrotondare fornisce informazioni riservate all’imprenditore Enzo Basentini e al suo socio Michele Santangelo che, a Potenza, gestiscono un centro per la dialisi convenzionato con l’Asl.
La telefonata è stata intercettata dagli investigatori della quarta sezione della Squadra mobile di Potenza ed è finita tra i faldoni dell’inchiesta sulla sanità condotta dal sostituto procuratore Henry John Woodcock.
Secondo il magistrato, «l’infermiere Manco dirottava i dializzati dell’Ospedale San Carlo verso il centro per la dialisi privato». E’ il mese di settembre dello scorso anno quando mette nero su bianco queste valutazioni: «Il complesso degli indizi fin qui raccolti evidenzia in maniera nitida e inconfutabile che l’infermiere rivela indebitamente a Basentini e a Santangelo, in palese violazione del segreto d’ufficio e delle norme che tutelano il diritto alla privacy dei pazienti, le informazioni utili ad avvicinare i pazienti destinati a sottoporsi a dialisi di cui egli viene a conoscenza proprio in ragione delle mansioni che ricopre nel reparto ospedaliero in cui presta servizio».
Solo notizie? C’è anche altro. L’attività degli investigatori continua finché non viene alla luce che «sfruttando la quotidiana vicinanza con i pazienti, Manco collabora con Santangelo e Basentini nell’opera di convincimento e di pressione psicologica esercitata nei confronti dei pazienti e dei loro parenti, al fine di indurli a preferire la struttura privata». C’è una telefonata che Woodcock definisce «emblematica». Basentini chiede a Manco se abbia già provveduto a prospettare al paziente la possibilità di eseguire il trattamento di dialisi nel suo centro. L’infermiere risponde di non esserci ancora riuscito, ma gli suggerisce «il sistema» per entrare in contatto con il dializzato. Basentini: «Chi è?». Manco: «Oh, sono Alfredo». Basentini: «L’hanno fatto stamattina? Gli hanno fatto la cosa?». Manco: «La fistola (un’operazione chirurgica che prepara il paziente alla dialisi e che può essere eseguita solo in ospedale ndr)». Basentini: «Ma tu non ci hai parlato, allora?». Manco: «Ma come cavolo facevo? Ti ho detto che ieri abbiamo operato due volte e poi me ne sono andato a casa, mi hanno portato a casa che tenevo 40 di febbre». Basentini: «Ma ora sei in ospedale?». Manco: «E’ venuto stamattina…». Basentini: «E’ quindi è rimasto là stasera?». Manco: «E sì, per forza, gli hanno messo la fistola».
E’ questo che interessa a Basentini. Perché è solo dopo l’operazione di fistolizzazione che un paziente può scegliere tra strutture pubbliche e private. La conversazione riprende. Basentini: «Senti, ma allora che dici, se lo chiamo in ospedale me lo passano?». Manco: «E perché no?». Basentini: «E gli dico se me le passano». Manco: «Esatto… te lo devono passare per forza». Basentini: «Mo lo chiamo, dai. Ma questo qui quando sarà pronto?». Manco: «Dagli dieci giorni di tempo, almeno». Basentini: «Ah, dieci giorni di tempo… e il commendatore a che punto è?». Manco: «A lui è stata già fatta la fistola. Ora sta tenendo in mano qualche altro giorno… però ha parlato, ha fatto, ha detto… penso che comincerà a fare una dialisi al giorno». Stesso tono per la telefonata seguente. Questa volta è con Santangelo. L’infermiere segnala nome e indirizzo dell’anziano ricoverato nel reparto di nefrologia. Specifica in modo dettagliato anche il suo stato di salute: «…è anziano, però sta bene… non ci sono problemi… è già fistolizzato…». Poi incita Santangelo a entrare in contatto con il paziente «il prima possibile», garantendo da parte sua l’impegno a esercitare la solita opera di convincimento. «Io… faccio strada… faccio strada…», dice. Santangelo segue il suggerimento del complice e telefona al nipote del paziente segnalato per invogliarlo a scegliere la struttura privata. Ecco il testo della telefonata: «…e siccome hanno detto che, insomma, ha fatto la fistola e deve cominciare a dializzare… eh, eh… invece di andare in ospedale, dove comunque non viene trattato in una certa maniera… se… io spero che non sia tuo nonno, insomma, voglio dire, perché questa comunque è una brutta cosa, uno che deve dializzare e roba varia. Però se insomma tu mi confermi che è stato in ospedale… quindi invece di venire a dializzare volevo dirgli se viene al centro, viene a vedersi il centro e tutta la madonna santissima… è più tranquillo, più pulito, viene controllato diversamente…». Forse, però, parlare con il nipote del paziente non basta. Perché la realtà, al San Carlo, è un’altra. L’altro giorno i cronisti del Quotidiano sono stati nel reparto e hanno verificato che era tranquillo, pulito e controllato da una equipe di otto medici che segue i pazienti dalla diagnosi alla fistolizzazione, alla terapia.
L’infermiere, però, insiste. E racconta a telefono quello che ha fatto con la figlia di un paziente, «enfatizzando – secondo gli investigatori – le condizioni di estremo degrado in cui verserebbe il centro di dialisi pubblico e invogliando la donna a preferire il centro privato, giungendo addirittura a suggerirle i pretesti da accampare con i medici del San Carlo per giustificare la scelta». E’ in questo momento che Manco dice: «Ho detto… signora, quando sarà, non è che dovete venire in questo marciume qua. Pigliate e andate da Michele e fate una cosa come dio comanda per vostro padre… problemi non ce ne sono proprio». E consiglia al suo interlocutore: «Tu ora vai e fagli una pianificazione… dicesse una palla in questo modo qua… c’è mio cugino che… che c’ha il centro e a quel punto preferisco andare là».
f.amendolara@luedi.it

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