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di ANTONELLA CIERVO «IN un momento straordinario occorrono misure straordinarie». Non nasconde nessuna delle difficoltà che la crisi economica continuerà a provocare. Giuseppe Moramarco, presidente vicario di Confindustria ha la “cattiva” abitudine di non usare parafrasi nè mezzi termini.
Carrefour, precari della scuola, aziende che continuano a chiudere, Ferrosud in difficoltà. Matera vive una difficoltà seria sotto il profilo occupazionale, mentre il ministro Tremonti assicura che ci sono soldi più che sufficienti per gli ammortizzatori sociali. La soluzione è quella di immaginare un futuro sostenuto solo dai fondi dello Stato?
«Se dovessimo condannare i lavoratori a vivere solo con gli ammortizzatori sociali faremmo un grave errore. Il primo sarebbe quello di pensare che questi strumenti siano sufficienti a ridare dignità a queste persone. Il secondo errore sarebbe quello di non riuscire a reggere l’impatto economico di questa misura. Si sta aspettando di agganciare la ripresa annunciata un giorno e smentita un altro. Non so, però, fino a che punto realmente il nostro Paese sia nella condizione di farlo. Anche se dovessero riprendere i consumi a livello mondiale e non si è fatto nulla per migliorare la competitività del Sistema Paese, rischiamo di rimanere al palo».
Tornando al contesto locale…
«Carrefour, i precari della scuola…In tutti gli altri territori fanno carte false per ottenere le licenze per gli ipemercati che sono bloccate. Qui, invece, un gruppo come Carrefour, leader a livello mondiale, abbandona il territorio. Questo vuol dire che il calo dei consumi è ridotto e che anche i territori murgiani non rispondono come ci si sarebbe aspettati. E’ un ulteriore segnale, qualora fosse necessario, che conferma che questo è un territorio non esprime nulla. Un elemento che dovrebbe preoccupare, ma segnali di reazione non ce ne sono».
Una delle ipotesi avanzate in questi giorni, è quella legata allo sviluppo della chimica fine che potrebbe consentire la rinascita della Valbasento. Quali soluzioni si potrebbero immaginare per il rilancio delle politiche industriali?
«Noi non siamo ancora nella condizione di essere considerati territorio in cui conviene investire. Bisogna comprenderne le motivazioni. Due imprenditori sono sbarcati in Basilicata con i migliori progetti e che a distanza di anni decidono di andare via, non perchè vogliano, ma perchè le unità produttive sono risultate inefficienti e perchè fare impresa è problematico. Parlo della Lasme e della Basind. Il nostro territorio non è ancora conveniente per le imprese. Intanto si resta a guardare».
Le cifre, intanto, sono drammatiche. Nel solo polo del salotto si contano quasi 4000 posti di lavoro persi e gli altri settori registrano nuovi disoccupati nell’ordine dei centinaia alla settimana. Non resta nient’altro da fare che guardare?
«Non direi, ma l’esperienza mi dice che non si tratta di un problema che si risolve dalla sera alla mattina. Questo territorio deve superare un problema culturale. Le imprese vengono considerate meno che nulla, salvo poi in caso di chiusura essere pronti a fare comunicati di solidarietà. I lavoratori recentemente assumono posizioni che sembrano, per alcuni versi, indicare una tendenza ad assicurarsi gli strumenti di sostegno piuttosto che il posto di lavoro».
L’edilizia privata e pubblica non indicano, intanto, alcun segnale di ripresa.
«E’ un settore che soffre. Quella privata perchè le banche hanno difficoltà ad erogare mutui, d’altro canto il livello medio dei salari e degli stipendi è stato eroso. E’ il cane che si morde la coda. L’edilizia pubblica è anche peggio: le pastoie burocratiche bloccano la cantierizzazione delle opere e questo la dice lunga».
Il credito resta ancora l’imputato numero uno. Le banche tengono ancora troppo stretti i cordoni della borsa o le banche devono comunque tutelarsi.?
«Abbiamo visto cosa è successo quando le banche hanno erogato oltre il consentito. Non nego che ci siano situazioni in cui gli istituti hanno imposto parametri stretti, ma sarebbe un errore oggi costringere le banche a dare credito che non sia meritato. Per allentare il rapporto fra banche e impresa segnaliamo da tempo che non servono i Tremonti bond, ma bisogna utilizzare i fondi di garanzia che devono essere implementati e applicati in modo adeguato. Abbiamo già chiesto che il fondo di garanzia, decurtato nel dicembre 2007, (da sei milioni di euro diventarono tre) venisse implementato, ma non se ne è mai fatto nulla».
Confindustria si appresta a vivere una fase molto importante in autunno, con il cambio dei vertici. In che maniera si vive la vigilia di questo momento?
«Siamo in una fase interlocutoria. Entro novembre si terrà l’assemblea che deciderà i nuovi vertici di Confindustria. Nel frattempo non c’è nessuna vacatio. Si gestiscono senza difficoltà l’ordinaria e la straordinaria amministrazione».
Il presidente Marcecaglia ha riaperto il dialogo con la Cgil. Come giudica questo passo?
«Molto positivamente. Ci possono essere momenti di difficoltà nei rapporti con le parti sociali, ma credo che arrivi il momento in cui si devono trovare soluzioni. Queste divergenze non possono durare nel tempo. Bene ha fatto la Marcegaglia a trovare un punto di contatto».
L’aggancio alla ripresa dalla crisi nel nostro territorio è sostenuto secondo lei dalle istituzioni?
«E’ come se nulla fosse accaduto. E’ tutto fermo. Occorre velocizzare i processi, stare fermi equivale ad andare indietro».

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