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di LEO AMATO
POTENZA – La richiesta dei magistrati: «Ma lei poi, l’ha fatta la campagna elettorale a Blasi?»
La risposta del boss: «Ma quando mai. A Blasi non ho fatto né campagna né niente. manco a mia madre ho detto di votarlo».
Mancano meno di due settimane all’inizio del processo “Iena due” sui rapporti tra politica, imprenditoria, e malavita in Basilicata. Nel novembre del 2004 vennero arrestati in 52. C’è chi si ricorda gli elicotteri sopra Potenza, chi non ha potuto dimenticare quella coda infinita di lampeggianti davanti al carcere di Betlemme, e chi è stato detenuto ingiustamente. Gli avvocati scioperarono per mostrare solidarietà a un collega. C’è chi dice da quell’inchiesta nacquero i veleni che sarebbero finiti a Catanzaro, dando vita al fenomeno “Toghe lucane”.
A distanza di quattro anni il Quotidiano è riuscito a entrare in possesso dell’unico verbale con le parole di Renato Martorano, considerato il «capo di una lobby affaristico-mafiosa» che dal 2000 al 2004 avrebbe fatto affari in tutta la regione. Martorano ha il curriculum criminale di un padrino, per i Ros è «il massimo esponente della ’ndrangheta in Basilicata».
Come un vero capo, lui non parla mai, non tradisce, non fa dichiarazioni, e non risponde alle domande dei giudici. Solo nell’aprile del 2005 chiede ai magistrati di telefonare al padre molto malato. Henry John Woodcock e Vincenzo Montemurro sono i magistrati che hanno condotto l’inchiesta. Vanno in carcere a Livorno per incontrarlo.
Martorano prova a difendersi dalle loro accuse. Parla per tre ore. Riempie cento pagine di verbale, secretate a lungo. Poi ripiomba nel silenzio.
Lo scorso 7 settembre sono scattate le manette per tre persone. Sono accusati di essere i finanziatori di un presunto giro di usura. Ma c’è altro. Martorano ha rapporti con diversi uomini politici. Di centrodestra, come l’onorevole Gianfranco Blasi. E di centrosinistra.
«Lei a Blasi gli ha promesso i voti».
«Ma proprio. se è capace che gli ho detto che gli ho promesso dei voti, l’ho promesso a chiunque me li chiedeva. Se venivano i comunisti: sì. Se venivano i fascisti: sì. Se venivano i democristiani: sì».
«Anche a Potenza. Ad Antonio Potenza». Il pm Vincenzo Montemurro gli chiede dell’attuale assessore alla sanità della Regione, segretario regionale dei Popolari uniti.
Tra i due si era già parlato di una relazione qualche anno prima.
«Promessi, ma mai dati – gli risponde Martorano – . per tenermeli tutti buoni».
«Senta, e con il consigliere comunale Ginefra?». Gli domanda allora Montemurro. Vuole sapere dei suoi rapporti con Giuseppe Ginefra, del partito democratico, assessore alle attività produttive del comune Potenza. A quei tempi aveva delega allo sport.
«No, Ginefra. Di Ginefra? Io. via dei Ligustri 20.».
Il pm: «Lasciamo perdere che siete tutti amici di infanzia, su quello non c’è dubbio».
Quando gli hanno chiesto della sua amicizia con Gianfranco Blasi, Martorano aveva detto che erano cresciuti assieme perché abitavano nello stesso quartiere. Sembra un ritornello che si ripete, e il magistrato si spazientisce.
«Qua si parla dei nomi delle ditte da inserire per i lavori di somma urgenza (sono quelli per cui l’amministrazione ha il potere di aggirare le regole sugli appalti ndr)»
«Eh, dottore – è risposta di Martorano – se vinceva una di quelle ditte io facevo la fornitura. Vi spiego una cosa: l’iscrizione al comune per poter partecipare alle somme urgenze non è una cosa che una ditta può fare solo se è raccomandata. E’ una cosa che possono fare se sanno che ci sta quel canale introduttivo».
«E perché va da un consigliere comunale a dirgli: “Inserisci questi nomi di ditte”?».
«Perché se mi inserisce queste ditte che io conosco forse posso avere la possibilità di vendere una polizza, un materiale, qualche cosa. Questo è il mio scopo. Vendere materiale per l’edilizia».
Il pm: «L’onorevole Luongo dove ha abitato?».
Il boss: «A Santa Maria».
Il pm: «Quindi vi conoscevate da bambini?».
Questa volta Martorano ha una storia un po’ diversa, sorprendente.
«Facevamo le riunioni. Ero in Potere operaio da ragazzo, e lui era in Lotta continua. Facevamo le riunioni quando eravamo ragazzi. Questo è Antonio Luongo».
Più che del comune trascorso nell’ultrasinistra i magistrati vogliono sapere perché chiese con insistenza di incontrare il deputato del Pd ai suoi più stretti collaboratori. Sono stati tutti rinviati a giudizio per corruzione per un appalto nella Asl 4 di Matera, e un presunto contributo elettorale dell’ammontare di 15 milioni delle vecchie lire.
«Stavano costruendo il Motel Park a Potenza, e volevo sapere se lui mi poteva dare una mano per inserirmi là nelle assicurazioni. Giuzio non mi ha mai fatto fare un lavoro».
L’impresa dei fratelli Giuzio era la responsabile dei lavori e per questo episodio sono stati coinvolti anche due dei titolari, Francesco e Antonio, ma per loro dopo poco è stata disposta l’archiviazione delle accuse.
«Luongo era amico di Giuzio, si frequentavano, stavano sempre insieme, dalla mattina alla sera. Per poter vendere qualcosa, per fare una polizza al Motel Park. ma io veramente. mi sbattevo a destra e sinistra e alla fine non ho fatto niente. Con Luongo mica ho fatto qualche cosa? Con Giuzio? Non ha comprato neanche la maniglia di una porta. E questo è Renato Martorano il mafioso? Se ero veramente mafioso gli dicevo: come? Tu stai facendo un albergo dove devi fare un miliardo, due miliardi, tre miliardi di lavori, e da me non ti fornisci neanche di un tubetto di colla?».
3 continua

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