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FUOCO incrociato di ben tre ricorsi: sul Parco nazionale “Appennino lucano – Val d’Agri – Lagonegrese” incombono le armi (legali) dei cacciatori. Il minimo comune denominatore dei tre tentativi di sciogliere l’ente è proprio un fucile da caccia.
I tre ricorrenti sono accomunati dalla passione per la dea Diana: il partito “Caccia – Ambiente” nato in Campania (se n’è parlato sul Quotidiano della Basilicata del 4 settembre scorso), la Federcaccia di Potenza e l’atto portato avanti dall’avvocato Filippo Rautiis di Tramutola. Quest’ultimo patrocina il maggior numero di soggetti: innanzitutto nove associazioni venatorie (l’Enal Caccia di Tramutola, le sezioni Federcaccia di Grumento Nova, Moliterno, Sarconi, Spinoso 1 e 2, Tramutola, l’Arci Caccia di Paterno e Libera Caccia di Castelsaraceno); poi gli imprenditori boschivi di Spinoso e infine gli imprenditori agricoli dello stesso comune. «Ma, al di là delle associazioni che hanno sottoscritto il mandato – spiega Rautiis – centinaia sono i cittadini che hanno contribuito anche solo con un euro alle spese legali del ricorso».
Tutti hanno deciso di muovere guerra alle seguenti controparti: il Presidente della Repubblica, la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero dell’Ambiente, la Conferenza unificata, la Regione Basilicata e il Comune di San Martino D’Agri.
La richiesta è la sospensione del decreto del Presidente della Repubblica con cui venne istituito il Parco il 5 marzo dell’anno scorso. Sta tutto scritto nelle sedici pagine presentate al Tar Basilicata e adesso al vaglio del Tribunale amministrativo del Lazio (che è competente per questioni nazionali, e il parco lo è).
Il motivo di fondo è che i cacciatori si sentono privati di ettari ed ettari in cui potevano andare a caccia e su cui oggi, data l’esistenza del Parco, non possono più tirare fuori i fucili. Il legale tramutolese illustra quelli che considera i motivi per cui i cittadini della Val d’Agri non crederebbero al parco come opportunità di sviluppo economico: «Innanzitutto – dice – c’è il sostanziale fallimento del Parco nazionale del Pollino che non solo non è stato volano di sviluppo, ma ha contribuito a un lento e progressivo spopolamento delle zone interessate».
Si passa poi a un tema caldo: «Il secondo motivo – prosegue Rautiis – è collegato all’attività di ricerca ed estrazione del petrolio in Val d’Agri, dalle cui attività le popolazioni si erano illuse di trarre un sostanziale vantaggio in termini di sviluppo economico della zona, e ciò per la corresponsione delle royalty da parte delle società petrolifere. A oggi invece nessun beneficio strutturale ne ha tratto la Val d’Agri né in termini di realizzazione di nuove opere, né in termini di nuove strutture economiche. Inoltre l’estrazione del petrolio non può conciliarsi con il Parco. Delle due l’una: o bisognava sfruttare la ricchezza dei giacimenti petroliferi attraverso una seria ed efficace politica di sviluppo o bisognava puntare su di un parco concepito in modo assolutamente diverso da quello del Pollino e che potesse essere fonte di iniziative economiche».
Dunque un motivo socio-economico e uno ambientale.
Ma ce n’è ancora un altro che cita l’avvocato, pur considerandolo «più ristretto agli addetti ai lavori»: «Nessuna specie arborea, floreale o faunistica ha un particolare pregio o valore scientifico». In pratica, secondo i ricorrenti nel nuovo Parco non ci sarebbe nulla da proteggere.
L’avvocato conclude l’elenco di motivi con una questione di diritto: «C’è la palese violazione degli articoli 10 e 21 della legge 152 del ’92, nella parte in cui si è abbondantemente superata la quota del 30 per cento su scala provinciale destinata alla protezione della fauna selvatica. In buona sostanza oggi con la creazione del Parco della Val d’Agri le zone sottratte all’attività venatoria superano di gran lunga, nella provincia di Potenza, la percentuale fissata dalla legge. Ed è proprio sulla base di questa violazione che è stato annullato in Campania il Parco dei Monti Lattari».
Esattamente lo stesso esempio che aveva tirato fuori l’avvocato Angelo Dente, presidente di “Caccia – Ambiente”.
Chi ha proposto il ricorso si sente preso in giro – aggiunge Rautiis – anche perché la Regione, su pressioni della Federpesca, avrebbe modificato le leggi regionali e oggi si può lanciare l’amo in tutti i laghi e i fiumi del Parco. Perché i pescatori sì e i cacciatori no?
Le doppiette attendono che il Tar del Lazio fissi l’udienza per decidere dell’eventuale sospensiva.
Rocco Pezzano

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