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di PAOLO RUSSO*
LE cronache di questi giorni rendono ragione di una vulgata diffusa circa l’affondamento multiplo di navi a perdere nel mar Mediterraneo. Decine sarebbero le navi che, complici le organizzazioni criminali rivierasche, si sarebbero inabissate con l’intero carico di veleni. Prima erano solo supposizioni, articolati ragionamenti che traevano spunto da una serie di strane coincidenze, fortuite circostanze che gettavano ombre sinistre su tanti sospetti affondamenti. Finalmente (sic!) un riscontro oggettivo ai riferimenti di un collaboratore di giustizia. Questa rivoluzionaria ed amara novità spero renda tutti consapevoli di quanto sia grande il traffico illecito di rifiuti e di come siano lucrose queste attività criminali. La camorra campana ha governato e gestito negli anni ‘80 il traffico illecito dei rifiuti speciali nelle tradizionali rotte Nord-Sud garantendo il controllo e la pace sociale dei territori dove sversare i veleni. I trasporti erano tutti su gomma, con centinaia di tir che nottetempo attraversavano lo Stivale, tappa intermedia utile a modificare i codici dei rifiuti rendendoli, senza alcun trattamento, innocui e quindi sostanzialmente assimilabili agli urbani od addirittura al compost e giù via a rimpinzare le viscere della terra….. Migliaia di tonnellate di rifiuti speciali prodotti prevalentemente dal sistema delle imprese del Nord, attratte in una logica perversa e delinquenziale del profitto tout court, son finite così nei laghetti artificiali del Casertano, preventivamente svuotati di quella sabbia utile ad alimentare il business illegale del calcestruzzo e dell’abusivismo: la camorra sì che governa “virtuose” economie di scala e di processo. I veleni hanno anche devastato i campi lungo l’asse Nola-Villa Literno che comprende tutti i Comuni delle terre dei fuochi. Liquidi tossici sono anche stati sversati nelle fogne bypassando i rari depuratori o “miscelati” all’acqua dei pozzi agricoli inquinando così falda superficiale e profonda. La fantasia criminale non ha avuto limiti: greti dei fiumi, spiaggiamenti, grotte ed anfratti in un caleidoscopio mortale che le cronache giudiziarie di questi anni hanno ripercorso con lucido tratto. Per una sorta di meticolosa ripartizione tra holding criminali il mare è toccato alla ndrangheta che, complice un carente apparato collaborativo internazionale fra gli organismi deputati al controllo della movimentazione delle merci nelle aree portuali, ha governato questo business appestando il mare nostrum. Appare indispensabile, pertanto, metter mano subito a protocolli operativi – quali ad esempio il cosiddetto Seaport Project – che siano in grado di colmare quel gap comunicativo di cui i circuiti illeciti hanno da tempo approfittato . Ma un serrato controllo deve, a monte, impedire l’uso, evidentemente fraudolento di navi, spesso non in perfette condizioni, per effettuare trasporti di rifiuti che si concludono troppo spesso con l’inabissamento di natante e carico. Lo dicevamo già nei primi mesi del 2006 quando approvammo all’unanimità la relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse: “La Commissione ha, inoltre, registrato la sopravvenienza di ulteriori elementi, rappresentati in larga parte da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, provenienti dalla criminalità organizzata calabrese, i quali hanno riferito dell’esistenza di un pactum sceleris fra le cosche della ndrangheta ed affaristi del settore dei rifiuti, in virtù del quale furono programmati e realizzati numerosi affondamenti di navi cariche di rifiuti tossici nei tratti marini calabresi e soprattutto nello Ionio, che per le sue caratteristiche di profondità, meglio si presta a far definitivamente sparire le tracce della criminale impresa. In particolare, i recentissimi avvistamenti di navi inabissate e di sagome, verosimilmente di natanti, anche a notevole profondità, come riferito nel corso dell’audizione resa alla Commissione dagli inquirenti della Procura di Paola, costituisce indiscutibile dato di riscontro, rilevante, se non per attribuire attendibilità probatoria alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per affermare l’esistenza di un fenomeno, sulle cui cause, e sui cui effetti, soprattutto per l’ecosistema interessato, deve essere fatta al più presto chiarezza. Anche su tale versante, pertanto, questo organismo di inchiesta auspica che gli inquirenti, convergendo in una proficua sinergia investigativa, giungano ad individuare i luoghi oltraggiati e l’intera filiera criminale coinvolta, per consentire le opere di bonifica necessarie per la salute pubblica e l’integrità ambientale dei siti interessati e, finalmente, affinché, oltre alle navi, non si perda anche la memoria.” Criminali veri, insomma, capaci di avvelenarci tutti, in Calabria come in Campania. Una mafia predatoria e stracciona irridente nei confronti delle istituzioni e drammaticamente violenta nei confronti della terra e del mare che la bagna. Figli degeneri irriguardosi ed irrispettosi delle loro stesse famiglie e della salubrità dei luoghi. Pusillanimi criminali, ladri di quel futuro di cui vogliamo tutti riappropriarci. Ci tocca mettere in campo ogni sforzo per scandagliare quei mari e giungere ad un totale, macabro censimento, presupposto indispensabile per quella verità giudiziaria e per il recupero e la necessaria bonifica di fondali e dei siti su terra. Occorreranno molte risorse. Un grande piano Marshall che coinvolga le migliori esperienze accademiche e tecniche internazionali utilizzando magari anche metodiche innovative ed a minor costo. Solo così si potrà riconciliare quel Sud con i propri luoghi e con le istituzioni democratiche.

*parlamentare Pdl già presidente commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti

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