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di PARIDE LEPORACE
IL partito del mattone ha vinto ancora. Come nelle migliori tradizioni meridionali la giunta della svolta di Nicola Buccico è arrivata al capolinea su questioni urbanistiche. Troppo energico questo gran borghese. Un conservatore di tipo anglosassone. Amico di Tatarella e contiguo alla politica di Fini. Bibiliofilo. Intellettuale colto e raffinato. Un sindaco troppo innamorato della storia della sua città per venire a patti con persone e gruppi di una politica che guarda allo stesso modo irato del presidente Napolitano. Nicola Buccico nelle sue parole è animato dalla nostalgia eroica ma corretta delo scontro ideologico che lo vide giovane consigliere comunale del Msi, rifugio della sua eresia abbandonata ai tempi di Democrazia Nazionale per tornare a dare l’avvocato a tempo pieno.
Poi la gran chiamata di Fini al Csm, quindi la designazione al Senato e l’orgoglio di poter diventare sindaco della sua amata Matera strappandola con il voto al potere di centrosinistra che come un monolite vi governava da mezzo secolo.
Il sindaco dimissionario ha accettato di buon grado un’intervista per spiegarmi quello che è accaduto in città in questi 27 mesi e soprattutto annunciare che nei prossimi 18 giorni non ha intenzione di arretrare di un millimetro su quelle che sono le sue personali convinzioni su come si governa una città.
Mi riceve nel suo studio che presto lascerà per andare ad esercitare nelle stesse stanze dove operò suo padre nel palazzo di famiglia. Il registratore incide un’ora di conversazione utile a comprendere un personaggio dotato di gran carattere, ma anche riascoltare i vizi e le virtù di una straordinaria città, le difficoltà di un nuovo partito in crisi con gli esponenti più decisionisti.
Buccico legge delle mail di cittadini che sono dalla sua parte. Ovviamente è soddisfatto. Con crudo realismo parto dal fatto che la grande speranza di rinnovamento è finita.
L’analisi parte da Matera che si “aggruma” alla sua persona. La classe dirigente che impera per decenni e Buccico trova l’occasione per la scesa in campo: «L’amore per la città e la furia calunniatoria che si scatena contro di me con Toghe lucane». I materani stanno dalla sua parte e lui li arringa nei comizi con la sua nota ironia oratoria: «Sono nato qua, voi mi conoscete ma io vi devo dire che sono il mostro di Firenze». Grande ilarità di massa e in due turni si festeggia Buccico sindaco.
Il dimissionario con tecnica giurisprudenziale mi parla di una legge per i municipi incompiuta dove il primo cittadino è «ostaggio della maggioranza». Sul suo cammino l’ostacolo è stato rappresentato da liste civiche troppo spesso dotate di poco civismo.
Buccico differenzia quella di Acito e boccia in toto le formazioni di Tosto passate dall’altro lato della barricata e rispetto alle quali Buccico con tagliente giudizio afferma «faccio i migliori auguri al Pd». Affiora il trasformismo, secondo il nostro interlocutore, «endemico alle classi dirigenti meridionali». Il sindaco mi racconta di un «consenso frazionato racchiuso in perimetri di particolarismo esasperato». Una miscela che ha reso ingovernabile Matera.
Ma Buccico come ha gestito questo percorso in salita per sua stessa ammissione? «Con il collante dei numeri bisognava inseguire le particolarità del singolo. Anche un ex sindaco di sinistra oggi afferma che questa frammentazione rende difficile il futuro della città».
Ma il sindaco del cambiamento ritiene di aver comunque realizzato alcuni provvedimenti indispensabili. «L’ho fatto però con dei limiti. Le mie scelte sono state fatte senza la paura che domani me ne dovessi andare. Non ho accettato compromessi, un dato di fatto riconosciuto anche dai miei avversari che lo hanno scritto in messaggi privati».
Buccico mi racconta di aver trovato «una macchina comunale sclerotica, vecchissima. Incapace di camminare». Problema affrontato per gradi, in modo da scalfire «le aree del privilegio».
Buccico rivendica con orgoglio di essere stato l’unico ad aver stabilizzato «sessanta precari ostaggio del mercato elettorale». Non banalizza mai l’ex sindaco: cita Dorso, chiama in causa le qualità geografiche e storiche della sua Matera. E’ orgoglioso di aver promulgato un bando architettonico internazionale per una piazza della città. Ma il cardine politico nel suo fluento parlare «è la cesura forte, anzi ineludibile tra politica e potere gestionale». Non è stato facile, racconta Buccico, responsabilizzare i dirigenti, tornare a bandire appalti, ripulire il bilancio , ripensare la raccolta dei rifiuti tornando al porta a porta per differenziare. Piccoli segnali di cambiamento. Ma la grande battaglia era quella di ridisegnare il futuro di Matera.
Buccico interrompe il flusso e mette sul piatto che l’Udc di Cappella ha sempre tenuto a cuore l’urbanistica materana non ottenendo grande ascolto dal sindaco. L’avvocato costruisce con logica giureconsulta la risposta alla mia domanda delle cento pistole: «Sulle ragioni dell’Udc ho scritto nella mia lettera che sarà il tempo a definire le astuzie della Storia. So che i dirigenti del mio partito, io no, avevano sottoscritto un accordo programmatico cui abbiamo dato il nostro assenso. Si vedrà quali sono le loro ragioni. Percorsi congetturali non ne faccio».
Chiedo ragione dei fatti e Nicolino, come lo chiamano gli amici, risponde: «Il problema di Matera è uguale a quello del Sud. Noi abbiamo un piano regolatore datato e fermo. Una città cresciuta bene ma anche con le sue anomalie, che adesso saranno ingigantite dalla legge regionale sulla casa. Ma il vero problema è stato rappresentato dalla grandi aree. Io ho detto che area Barilla e campo sportivo sarebbero rimaste zone pubbliche. Non so se chi ha posto questioni avesse qualche retropensiero. La commissiona urbanistica diretta da un consigliere di minoranza ha visionato tutte le pratiche. Eravamo arrivati allo snodo del Piano regolatore. Io ho detto chiaro che avrei consultato la mappa catastale dei trasferimenti di proprietà e non ci sarebbe stato nessun abuso. Tutti sanno che la mia intenzione era di privilegiare l’edilizia sociale in tutte le sue articolazioni. Io penso di aver perorato un percorso di legalità diffusa».
E’ questo il nodo gordiano della vicenda. Il regolamento urbanistico avrebbe dato regole certe contro le mani sulla città. Buccico per sua ammissione è contro «l’edilizia contrattata» che piace anche a certi intellettuali di sinistra. Per il sindaco dimissionario non è questione invece di destra o di sinistra. Lui dichiara di aver messo in campo «progettualità e onestà» parole semplici e forse decisive.
Si dipinge invece di sinistra per i soldi che ha speso in “politiche sociali”. Inattaccabile sui comportamenti istituzionali: ha rifiutato l’indennità, ha adoperato due volte l’auto blu, non ha telefonino del Comune. Tra i suoi ricordi più belli un ragazzo di estrema sinistra che lo ringrazia per aver vinto il concorso comunale dell’ufficio del piano meravigliato di tanta democrazia e aver istituito la zona franca. Si compiace dei rapporti istituzionali corretti con gli avversari.
La prima telefonata di solidarietà è giunta dal presidente della giunta regionale De Filippo. E’ lieto di aver creato uno spazio culturale come la Cava del sole. Voleva dare risposte moderne senza inseguire fantasmi sull’isolamento dei trasporti. Un uomo che coniuga l’“estetica” con l’“etica”. A 68 anni rimpiange la politica delle sezioni. Per farmi capire come culturalmente è con Fini mi cita la legge del 1865 della destra storica italiana che concedeva il diritto d’asilo a tutti gli stranieri.
Matera città da sempre invasa è per lui città d’accoglienza e quindi libera nelle sue fondamenta civili. Un conservatore liberale che teorizza un 1799 sacro per tutti chiamandosi fuori da sanfedismo reazionario. Non ama la politica dell’insulto, come Napolitano. Voleva dimettersi prima. Il suo grande amico Viti ha consigliato di far passare la visita del presidente della Repubblica e lui si è lasciato convincere. Disdegna i «rumori popolari materani troppo diffusi».
Con la sua amica Poli Bortone in questi giorni parlerà di futuro? «Prenderò al massimo un caffè». Sa che il Pdl rischia molto. Anche l’ennesima sconfitta regionale. La sua componente finiana materana lo segue con fedeltà. I big del partito verranno a parlargli, ma lui afferma che «ha poco da cambiare». Ammette di avere un caratteraccio ma sostiene che da buon borghese ha avuto «un contatto molto forte con i cittadini». In Italia è difficile parlare con uno che si dimette.
Mi confida: «Sono borghese di nascita, qualcuno ha tentato di farne una colpa parlando di mie ricchezze, ma io non sono diventato ricco con la politica». E’ contento di tornare ai suoi libri. Riprovo a chiedergli se nei prossimi diciotto giorni medierà con la sua vecchia maggioranza. Tutto sommato la politica è l’arte del possibile. E lui di rimando sorridendo mi risponde: «Le manderò qualche articolo culturale per il suo giornale». Gli aspiranti pontieri avranno molto da lavorare per rimettere in ordine il quadro politico del dopo dimissioni a Matera.

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