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di ROBERTO LOSSO
Possiamo restringere il campo della ricerca dei farabutti che ammorbano l’aria che respiriamo, le campagne rigogliose e fertili, il mare che per noi doveva essere fonte di prosperità. Non è necessaria la sfera di cristallo né particolari attitudini divinatorie. Volendo, si può. I fanghi tossici e le scorie radioattive, di certo, non provengono dai paesi del terzo mondo. Non hanno né industrie pesanti né centrali nucleari. Possiamo anche escludere che quei bidoni maledetti abbiano attraversato gli oceani e che siano, pertanto, un grazioso regalo a stelle e strisce. Canada e Australia comprese. Allo stesso modo, è ragionevole pensare che a disfarsi della spazzatura velenosa che producono in grande quantità non siano le economie emergenti (India e Cina, innanzi tutto). Nel loro modello di sviluppo, infatti, non esistono regole così stringenti e puntuali da rendere necessaria e conveniente l’esportazione clandestina dei rifiuti tossici. Li smaltiscono a costo zero nell’ambiente. Come succedeva nel nostro Paese negli anni del miracolo economico. Al petrolchimico di Porto Marghera o all’Ilva di Taranto e, più recentemente, alla Pertusola di Crotone o alla Marlane di Praia a Mare. Seguendo questo ragionamento, dovrebbe essere possibile dare in tempi brevi un nome e un volto ai farabutti che hanno chiesto alla ’ndrangheta di “smaltire” i veleni che avrebbero dovuto mettere in sicurezza. Dentro a quei bidoni, infatti, dovrebbero esserci gli scarti di lavorazione della industria pesante e delle centrali nucleari dell’Unione Europea. Ai livelli alti della presidenza del Consiglio e dei servizi segreti che da essa dipendono, sempre che non sia già disponibile, dovrebbe essere agevole mettere a punto una mappa degli stabilimenti in cui si producono rifiuti speciali e scorie nucleari compatibili con quelli che avvelenano la Calabria. Tra l’altro, non parliamo di grandi numeri. Un recente studio su scala europea, infatti, ipotizza che siano meno di duecento i siti che rilasciano rilevanti quantità di rifiuti ad alto rischio da assoggettare a trattamenti di decontaminazione o di stoccaggio in depositi di interesse nazionale (tipo quello che, negli anni scorsi, si voleva costruire a Scanzano Jonico). È una impresa impossibile controllare “come”, “quando” e “dove”, negli ultimi venti anni, le multinazionali hanno depurato i residui tossici (insediamenti industriali) e gli enti pubblici hanno stoccato i combustibili esausti (insediamenti nucleari)? Quello che sembra normale, però, diventa complicato. Specialmente quando si intravedono pericolose zone d’ombra e conflitti d’interesse. Normalmente elevati al rango di “segreti di Stato”. Allora, si alzano invisibili muri di gomma, che danno copertura ai pescecani del capitalismo d’alto bordo e ai mascalzoni che depistano le indagini. È già successo. Per le stragi di Portella della Ginestra, dell’Italicus, di Ustica. Quasi certamente anche per l’assassinio di Ilaria Alpi. Che, in Somalia, indagava proprio sulle triangolazioni che favorivano il traffico internazionale di scorie radioattive e porcherie varie. Nel frattempo, nelle zone contaminate della nostra regione, in controtendenza rispetto agli indicatori statistici, i giovani muoiono di cancro. Anche i ricercatori più prudenti segnalano come anomala l’incidenza dei tumori alla tiroide. Come a Chernobyl. Dove, a distanza di venti anni, si misurano scientificamente gli effetti dell’esposizione a sorgenti radioattive. In particolare al cesio 137. Certo. Oggi abbiamo un motivo in più per dire che la ’ndrangheta è il peggior nemico della Calabria. A tutti i livelli. Non possiamo, però, limitarci a questo. Sarebbe riduttivo. Oltre che funzionale al tentativo dei mandanti di rendersi invisibili. Non sarebbe la prima volta che i poteri forti, per difendere se stessi, offrono su un piatto d’argento la testa della manovalanza che ha messo in atto il loro disegno criminale. Anche il pentito Francesco Fonti evita di entrarci in rotta di collisione. Come Tommaso Buscetta parla molto del ruolo delle ’ndrine, ma è evasivo sulla cupola che ha gestito l’intera operazione. È questo, invece, il livello che deve interessarci. Alla ’ndrangheta, infatti, il conto lo presenterà la magistratura. A noi, invece, come comunità regionale, tocca la responsabilità di incalzare i farabutti che hanno progettato di avvelenarci. Facendo nostra, per esempio, la proposta del premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel che ha chiesto all’Onu di istituire un tribunale penale internazionale per i crimini ambientali. Anche quei bidoni che ammorbano la Calabria sono un crimine contro l’umanità.

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