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di ENZO QUARATINO
ROMA – In primo piano le attività nucleari svolte in un sito italiano e il sospetto di traffici illeciti di armi e materiale strategico e di rifiuti radioattivi; sullo sfondo, lo spionaggio svolto da agenti segreti di mezzo mondo intorno a quel luogo; nel mezzo, gli interessi della ‘ndrangheta per il business legato a quel traffico illecito.
Sembra la trama di un film di spionaggio ed, invece, è il contenuto di un’inchiesta svolta dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Potenza Francesco Basentini che ha riguardato il centro Enea Trisaia di Rotondella (Matera), dove, a partire dagli anni Settanta, è avvenuto il riprocessamento di combustibile nucleare. In quel centro del materano, riconverito ad attività di ricerca per l’ambiente e l’agro-alimentare, sono tuttora presenti, con elevato livello di protezione, 64 elementi di combustibile irraggiato, mai trattati, provenienti dal reattore nucleare americano di Elk River. L’inchiesta giudiziaria ha determinato una richiesta di archiviazione (tuttora all’esame del gip) per diverse persone, compresi alcuni dirigenti del Centro, succedutisi negli anni, ed esponenti della ‘ndrangheta: gli accertamenti – si rileva dalle motivazioni del provvedimento – non hanno consentito di raccogliere prove, ma neppure di fugare i sospetti, sia per quanto riguarda l’ipotesi di traffico di armi e materiali strategici (in particolare plutonio, elemento base della bomba atomica, che l’Enea sostiene di non aver trattato nel Centro), sia per quanto riguarda il traffico di rifiuti radioattivi attraverso le cosiddette «navi dei veleni». A quasi 30 anni di distanza – ha osservato il pm Basentini – «è oggettivamente quasi impossibile ricostruire fedelmente cosa i vari organi, i tecnici e i soggetti titolari della politica nucleare abbiano fatto all’interno del Centro Trisaia nel corso degli anni» L’indagine ha fatto riemergere particolari già conosciuti su vicende note (tra le quali l’omicidio della giornalista Ilaria Alpi); ma, soprattutto, l’interesse dei servizi segreti di diversi Paesi per le attività nucleare che avvenivano nel Centro della Trisaia. A parlare al magistrato dell’intrigo internazionale è stato Guido Garelli, il quale ha detto di essere stato ammiraglio di un non meglio precisato esercito dell’Autorità Territoriale del Sahara Occidentale e dignitario di un servizio d’intelligence che avrebbe operato nell’interesse del Regno Unito, con base a Gibilterra. In possesso di tripla cittadinanza – iugoslava, italiana e del Sahara Occidentale – egli, proprio per conto dell’intelligence del Regno Unito, avrebbe spiato le attività del centro Enea di Rotondella, nel periodo durante il quale si svolgevano attività di ricerca e scambio informativo in ambito nucleare da parte dell’Italia e di Paesi mediorientale, con stages di tecnici iracheni e pakistani che frequentavano il centro. Gli anglosassoni – a dire di Garelli – ipotizzavano l’esportazione di armi, tecnologie e materiali radioattivi dall’Italia verso il Medio Oriente, che avrebbe consentito a Paesi di quell’area – Iraq e Pakistan in particolare – di dotarsi di armi nucleari. Garelli, peraltro, non sarebbe stato il solo a condurre attività informativa sul sito nucleare, in quanto – è emerso dalle indagini – anche la Cia, il Mossad e il Sismi (strutture di spionaggio rispettivamente di Stati Uniti, Israele e Italia) hanno svolto analoghe attività di intelligence per monitorare l’eventuale trasferimento di materiale strategico nei Paesi mediorientali. Ma il Centro della Trisaia non avrebbe interessato solo gli 007. Ha raccontato il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti (che di recente, con le sue dichiarazioni, ha fatto ritrovare nel mar Tirreno il relitto di una nave probabilmente carica di rifiuti) che il clan Musitano, che operava nella Locride, si sarebbe servito dello stesso Fonti per mantenere i contatti con il Centro di Rotondella, nel quale sarebbero stati stoccati moltissimi fusti contenenti scarti di lavorazioni di materiale radioattivo. La gran parte di quei fusti, con l’intervento dello stesso Fonti – ha raccontato quest’ultimo – sarebbero stati poi caricati a bordo di navi, con destinazione Somalia. Un’altra parte di quei bidoni sarebbe stata interrata in alcuni siti a ridosso della statale 407 «Basentana», nel materano. I riscontri operati dai Carabinieri del nucleo tutela ambiente alle dichiarazioni di Fonti e di Garelli hanno dati risultati di segno opposto: nei siti materani indicati dal pentito della ‘ndrangheta non è stata trovata traccia dei fusti interrati; le dichiarazioni di Garelli hanno, invece, trovato diversi riscontri, uno addirittura insperato. Egli ha raccontato che una sera, sul finire degli anni Ottanta, in occasione di una delle missioni in Basilicata per conto dei servizi segreti inglesi, era rimasto in panne alla periferia di Potenza mentre era a bordo di una Fiat Croma targata ETS 015 EM (ETS indicava Excercite Territoriel du Sahara). La vettura – ha riferito – era stata depositata in un impianto di un soccorso stradale ubicato nella periferia del capoluogo lucano per essere avviata alla demolizione. Quasi 20 anni dopo, i carabinieri hanno individuato quell’impianto e, quasi increduli, hanno avuto in consegna dal titolare una targa straniera: ETS 015 EM.

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