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di GIUSEPPE PIERINO
Ci dev’essere una ragione se le navi dei veleni venivano affondate lungo le coste calabresi e i rifiuti tossici interrati nei greti dei torrenti o a ridosso delle colline; se la ‘ndrangheta ha trasformato la Calabria in una inesauribile discarica per materiali speciali smaltiti a costo zero; se del sogno industrialista non ci resta che l’incubo dei tumori a Praia a Mare e gli edifici avvelenati di Crotone. E ci deve pur essere una ragione se il Governo se la prende così comoda e tarda ad accertare che non ci sovrasti l’immane catastrofe che temiamo; se malgrado la buona volontà di alcuni sindaci e dell’assessore Greco la giunta regionale e la classe politica e quella dirigente non hanno ascolto, né autorevolezza, né la risoluta volontà di tutelarci. E ci dev’essere infine una ragione se la Calabria è lasciata sola con le sue angosce quasi un’isola appestata ma lontana, estranea al Paese e alla sua coscienza civile. Domande fastidiose che alludono a situazioni gravi e inquietanti e denunciano, accanto allo sfascio calabrese, l’assenza di una strategia nazionale e l’appannarsi di valori etici e civili posti a fondamento della Repubblica quali l’unità, la solidarietà, il rispetto. Dacia Maraini ha scritto l’altro ieri che gli italiani non percepiscono il pericolo che “grava sui loro mari e di conseguenza sull’economia e la salute del Paese”. Né se ne preoccupano i paesi mediterranei che a Reggio hanno discettato di tutto fuor che dell’inquinamento radioattivo del mare nostrum. Tiriamo avanti nel segno della casualità e del lassismo poiché, dice Saramago, “siamo i difetti che abbiamo, non le qualità”. Laddove sorsero un tempo le grandi civiltà ora si registra una regressione profonda, una caduta di civiltà. E se la Calabria tocca il punto più infimo del suo secolare declino, si avverte un più generale distacco dalla realtà, una diffusa miseria culturale e morale ed una sconcertante sottovalutazione del rischio. Si dirà che il governo ancora una volta è in sintonia col sentire comune e i timori potranno forse apparire esagerati. La stampa del resto non ha dato un’informazione adeguata e se il caso non si è subito chiuso come cinque anni addietro, è grazie al procuratore di Paola Bruno Giordano e al Manifesto, a Repubblica, all’inchiesta di Lucarelli e alla stampa locale, Quotidiano in primis, che nell’inanità dei partiti e, duole dirlo, nel silenzio degli intellettuali ha suscitato il movimento di protesta oggi in piazza ad Amantea per tenere aperta una speranza. Abbiamo consumato nel tempo risorse ed opportunità preziose e potremmo trovarci ad un passaggio strettissimo. Non è in gioco un’economia di sussistenza che pure meriterebbe una diversa attenzione, ma la vita stessa, la sua qualità e la sopravvivenza in una regione una volta considerata l’eden e resa via via inospitale, ora ferita a morte e destinata all’abbandono e alla desertificazione senza un mutamento radicale. Non possiamo permetterci altri sconti o ingenuità. Allarma infatti il comportamento dilatorio e sfuggente del governo potendo nascondere le responsabilità di pezzi importanti e ancora attivi dello Stato e, soprattutto, le dimensioni del disastro, le difficoltà di una effettiva bonifica e la riluttanza a rimediare. Tuttavia ha un senso che mentre il governo programma la costruzione di centrali nucleari, si riapra clamorosamente la questione dell’’impossibile smaltimento delle scorie radioattive e la cronaca richiami le coscienze al senso del limite, al principio di precauzione che dovrebbe guidare i governanti allorché un processo sfugge alla conoscenza umana, invece di perlustrare nuovi siti di stoccaggio che, come a Scanzano, nessuno accetta più o ricorrere a fraudolenti e banditeschi sversamenti come quelli appena emersi. Indispensabile e assolutamente prioritario è l’accertamento della verità che costituirebbe il primo passo verso una bonifica integrale del mare prospiciente la Calabria e degli altri siti inquinati. Ma la vicenda presenta implicazioni enormi, di varia natura; potrebbe investire responsabilità di altri paesi e la ricerca della verità non è affatto agevole, occorre conquistarla con la lotta. E’ necessario cioè considerare realisticamente il ruolo del governo (e dello Stato) che nella vicenda è dall’inizio la nostra vera controparte. La ’ndrangheta, infatti, ha potuto curare direttamente il business dei rifiuti tossici e nocivi per l’assenza dei controlli pubblici previsti da una legislazione in sé rigorosa ma elusa in relazione allo smaltimento. E ha avuto invece una funzione strumentale, su commissione e copertura del potere politico, nell’inabissamento delle navi e nell’inquinamento radioattivo. Siamo dunque all’inizio di una partita difficilissima dal cui esito dipenderanno aspetti rilevanti della nostra democrazia, della vita civile e politica del Paese ed in buona misura il destino della Calabria. Da qui la necessità di una vertenza articolata, di una iniziativa a misura della posta in gioco che richiede una rottura coi costumi, i vizi e le pratiche del passato; una rivoluzione culturale morale e politica; la scesa in campo di forze popolari, di nuove classi dirigenti, di altri soggetti politici più aperti, sensibili, incorrotti. Una partita disperata per l’umiliazione subita e la rabbia; per lo stato penoso in cui la Calabria è ridotta per colpa delle sue classi dirigenti e di governo; per la scarsa solidarietà che può venirci. Senza il sussulto di oggi non sarebbe neppure cominciata. Ma è solo il primo passo del cammino irto e insidioso che ci aspetta per liberare la regione, darle una prospettiva dignitosa ed evitare in definitiva la barbarie.

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