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AVIGLIANO – C’era Antonio Boccia, già parlamentare del governo Prodi e presidente della Regione Basilicata. Era atteso. L’aveva evocato, la mattina, un altro ex, il parlamentare Nicola Savino: “Un verrastriano”, si era definito l’esponente socialista, perché reduce di quelle intese tra i Settanta e gli Ottanta tra socialisti e democristiani per il governo della regione. E soprattutto per quelle “radici in comune con Verrastro per il bene collettivo e l’interesse generale”. “Dopo Verrastro – dice polemico Savino – dove sono finiti i suoi amici? Non sono venuti con noi, oggi li troviamo con i comunisti”. Il riferimento è chiaro ai democristiani finiti nel Pd, con alcuni “antiverrastriani”.
Al centro del dibattito c’è il racconto degli ospiti circa l’operato di Vincenzo Verrastro, primo presidente della Regione Basilicata e senatore per due anni, segretario Dc, presidente della deputazione di storia patria, dell’Istituto di Mediocredito, dell’Acquedotto pugliese.
La figura del “presidente per antonomasia” non viene mai meno negli interventi, affatto. La sera è proprio Boccia, che con un sorriso accenna involontariamente alla polemica di Savino dicendogli che a raccontare la storia di quegli anni ci vorrebbe un altro appuntamento, a ricorda che il padre del regionalismo in Basilicata è stato Vincenzo Verrastro. “Già nella campagna elettorale per il Senato, quando si dimise da presidente della Provincia, elaborò il tema del regionalismo”. Era il 1967, racconta Boccia con una lucidità politica come pochi. Allora Verrastro gettava le basi per la futura regione. “Tre erano i punti programmatici sui quali lavorava: il regionalismo, la programmazione di sviluppo regionale e la scuola”. Poi nel 1982, aggiunge Boccia, la sua presidente cadde proprio su un aggiornamento del suo programma regionale di sviluppo”. E anche per capire le ragioni di quelle dimissioni “occorrerebbe un nuovo incontro”.
Vincenzo Verrastro è stato un politico con una robusta statura etica; un uomo di fede, di cultura e di lungimiranza amministrativa che deve essere esempio per tutti. Oggi più che mai. Su questo tutti sono stati d’accordo. Lo stesso Romualdo Coviello, che a un certo punto lo abbandonò per aderire alla corrente della sinistra di base della Dc, lo ricorda senza mezzi termini: “Vincenzo gestì vicende assai complesse in quegli anni, un grande uomo”.
Il riconoscimento dell’abnegazione di Verrastro per la sua terra, la Basilicata, arriva anche da chi a quel tempo giunse a guidare il Partito comunista in Basilicata. Gli avversari storici, insomma. Umberto Ranieri racconta l’esperienza della solidarietà nazionale alla Regione Basilicata. “Una prima volta difficile – dice Ranieri – per un’esperienza di governo in comune con Dc e Pci seduti allo stesso tavolo. Durò poco, tre anni, perché le intese nazionali erano cambiate, e perché il Pci ancora non era pronto all’alternanza di governo. Tuttavia facemmo delle cose importanti, un buon assestamento finanziario, buona programmazione sulle infrastrutture. In questo conteso ricordo che Verrastro era intento a risolvere i problemi della Basilicata. Era un galantuamo, disinteressato agli interessi di parte”.
Dopo l’intervento di Nicola Lapenta, presidente della provincia di Potenza che subentrò a Verrastro nel 1968, e prima delle conclusioni affidate all’assessore Vincenzo Viti, il sindaco Tripaldi legge i messaggi dei due assenti eccellenti: il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo (motivi politici), e il senatore a vita Emilio Colombo (motivi familiari).
Quando si va via rimane, tra le altre, una riflessione di Gerardo Coviello, discepolo e collaboratore di Verrastro, che accosta il digiuno degli esponenti aviglianesi in cariche importanti a una sorta di “patto” sancito tra potenti Dc: “Dopo Verrastro c’è stato un ostracismo brutale nei riguardi degli esponenti aviglianesi. Si era creato un altro ordine politico. Si appannava la politica del progetto per le posizioni personali. Quella impostazione ancora si riflette oggi, e denota una povertà sostanziale di quella politica”.
Gianni Sileo

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