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di GIUSEPPE SCOPELLITI
La nuova stagione della Calabria non può che partire, secondo noi, da un progetto condiviso e partecipato di governo, che sia finalizzato non solo alla vittoria contestuale nel momento elettorale, ma a innescare un lungo processo di cambiamento, di discontinuità netta e profonda rispetto al recente passato, di coinvolgimento reale ed effettivo di nuove generazioni.
Ho assistito personalmente agli stati generali dell’Udc svoltisi in Calabria e ho ascoltato con attenzione la relazione di Pierferdinando Casini, apprezzandone il taglio di modernismo e di socialità dedicato al Meridione e la strategia complessiva di un partito che vuole rappresentarsi come valore aggiunto sulla strada del rinnovamento.
L’Udc è consapevole che le Regioni del Sud siano state male amministrate, gestite secondo una logica di eterna emergenza e di assenza di programmazione. Credo sia possibile poter costruire insieme una piattaforma che parta dalle idee e si rafforzi lungo la linea retta della trasparenza, sapendo identificare non solo i problemi da mettere a bersaglio, ma un modello complementare di sviluppo e di simbiosi politica che vada oltre l’appuntamento elettorale. Sia noi che l’Udc abbiamo dimostrato di anteporre i bisogni della gente alla pretesa di egemonia e di potere e questo è un buon punto di partenza. Ma è necessario, per citare un meridionalista autorevole come Giuseppe Zanotti Bianco, che si incarnino nel Mezzogiorno fatti concreti e non vane speranze. Noi immaginiamo un minimo comune denominatore che sia contrassegnato proprio dal voltare pagina rispetto all’idea comune che l’opinione pubblica ha del sistema Regione. Vogliamo una sanità dove non ci siano sovrapposizioni tra pubblico e privato, ma una competizione di qualità, che garantisca centri di eccellenza, freni l’emigrazione costante verso altre realtà del Paese, sia in grado di poter curare le gravi patologie e di realizzare una riabilitazione integrale dell’ammalato. Vogliamo che la meritocrazia nelle classi di accesso concorsuale non sia qualcosa di altero o immaginifico, ma venga preordinata attraverso precondizioni che assegnino ai medici più bravi la possibilità di lavorare. Proponiamo che i manager vengano scelti fuori dalle griglie di chi ha amministrato negli ultimi anni. Chiediamo che si cancellino le consulenze esterne aumentate del 400% nell’ultimo biennio in un settore che deve fare i conti con un debito miliardario e che si ricorra all’esterno in caso di professionalità eccellenti e realmente funzionali. Pensiamo a un sistema fiscale, nelle parti di competenza derivata, che contemperi il quoziente familiare e venga in soccorso dei nuclei numerosi. In questo quadro non potrà mancare un’attenzione sia verso la natalità, attraverso la nascita di nuovi asili nido, che la fine della discriminazione verso le scuole private formative, molte delle quali di origine cattolica e saldamente legate alla storia della regione. Riteniamo fondamentale poter rivedere l’assetto infrastrutturale dei lavori pubblici all’interno del quale, per esempio, ci sono le Aterp, diventate agenzie immobiliari, incapaci di poter assolvere al compito istituzionale che è quello di costruire alloggi popolari. In questo senso sarebbe importante ricordare le possibilità perdute con centinaia di milioni di euro a cui non si è fatto accesso nel quinquennio, che avrebbero potuto dare sollievo parziale alla domanda di abitazione e rivitalizzare il settore edilizio. E poi ancora, la questione aperta dei rifiuti, con un’interazione tra sistemi integrati, che porti alla trasformazione in energia il cui abbattimento dei costi sarebbe capace di far contenere le spese per l’approvvigionamento delle acque con la riduzione possibile delle tariffe . Non voglio elencare un programma che, invece, va scritto insieme alle forze dinamiche della politica e della società e, spero, insieme all’Udc. Ma quello che è altamente innovativo e che sintetizza la nostra volontà di approccio comune proprio all’Udc nella ridefinizione della Calabria è la fine della politica autoreferenziale . Non più un uomo solo al comando, che accresce il suo potere e confonde gli strumenti di governabilità che la legge gli concede con un assolutismo gestionale, ma una profonda alleanza che abbandoni l’idea dei compartimenti stagno, ambendo nella realtà a trasformare socialmente il sistema nell’arco di un decennio L’esempio più clamoroso e immediato proviene proprio dai fondi strutturali, da sempre indicati come il salvacondotto per accompagnare la Calabria fuori dalla marginalità. Ricordo a me stesso che l’Irlanda, che pure doveva affrontare una situazione sociale pesantissima e non certo meno cruenta di quella della nostra regione, riuscì a modificare completamente il suo asset in una legislatura e mezza, attraverso un’idea di governo limpida, calata nelle necessità e non nelle lungaggini, sottraendo potere contrattuale a chi pensava di poter trarre vantaggio da speculazioni ignobili. Vogliamo una Regione che programmi, che condivida le proposte , che discuta partendo dal basso, con un’assemblea che legiferi settimanalmente e sia a tutti gli effetti un parlamento federale, con cinque grandi bacini provinciali a cui conferire la stessa dignità. L’esperienza del centrosinistra, il suo presente, sono un fallimento tangibile. Proprio perché il consenso ricevuto quasi cinque anni fa dai calabresi era un invito a cambiare registro. A non assegnare alla Regione il potere di supremazia sull’economia, ma a essere invece soggetto di mediazione istituzionale tra culture e segmenti diversi. Pensare di delegare questi stessi uomini e soggetti a fare ciò che non hanno nemmeno iniziato, in sessanta mesi, sarebbe utopistico. Il futuro appartiene a chi ha dimostrato di saper leggere il presente e sa coniugare le sue idee e i suoi programmi con ciò che è riuscito a fare. Noi e l’Udc abbiamo le carte in tavola per dare un’altra stagione alla Calabria.

*Candidato del PdL alla Regione

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