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di ENZO ARCURI
C’è da giurare che la verità non si saprà molto presto su queste maledette navi, cariche non si sa di che cosa e fatte affondare da una banda di criminali in combutta con la ’ndrangheta qua e là al largo delle coste calabresi e chissà dove ancora nel Mediterraneo. Probabilmente, c’è da giurarci, questa verità, come le tante altre mai accertate (almeno finora) su vicende anche drammatiche che hanno segnato i momenti più tormentati e torbidi della nostra storia recente, da Ustica alle stragi degli anni 70, resterà un altro angoscioso mistero, insabbiato dagli omissis e dalle trappole che hanno finora impedito alle Procure di mezza Italia divenirne a capo.
Sono troppo oscuri e inquietanti gli intrecci che ne hanno segnato le varie fasi per pensare che oggi sia più agevole una positiva conclusione delle indagini. Peraltro, secondo ipotesi sempre più verosimili, la caccia a queste navi e all’organizzazione criminale che si è incaricata di affondarle nel Mediterraneo, sarebbe costata la vita alla giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e al suo operatore, uccisi in un agguato in Somalia e all’ufficiale della Capitaneria di porto De Grazia, morto in un misterioso incidente della strada. Se si è arrivati a uccidere, evidentemente è una storia che scotta troppo e chi tenta di esplorarla si imbatte in muri invalicabili e può anche rischiare la vita. E dunque la strada verso la verità è tutta in salita e probabilmente trascorrerà chissà quanto tempo ancora perché si chiarisca il mistero di queste navi, sempre che si arriverà mai a sciogliere questo maledetto enigma.
Un passo importante e decisivo potrebbero essere la localizzazione e il successivo recupero dei relitti o almeno dei loro carichi tossici. Ma non sembra che ci sia tanta voglia di individuarne i siti né di metterci le risorse necessarie per riportare in superficie quello che il mare da anni nasconde sui suoi fondali. E allora è presumibile prevedere tempi lunghi, forse lunghissimi. Ma può la Calabria,che ha un’economia fortemente legata al mare, tollerare che chissà per quanto tempo ancora si continui a sospettare della salute dei suoi mari? Certo che non può. Si è già visto che cosa è accaduto e accade da quando si è cominciato a parlare di queste navi. La pesca è bloccata, finora a Cetraro e lungo il Tirreno cosentino, ma probabilmente la crisi colpirà anche le altre marinerie visto che navi a perdere sono segnalate in altre aree delle due coste. Non solo, l’intera economia dei centri costieri che si regge sul turismo, rischia di andare a picco.
Si parla di rifiuti radioattivi che giacerebbero in fondo al mare, un sospetto che non incoraggia certamente l’afflusso di turisti. E si sa quanto il turismo incide sul prodotto interno lordo della regione. E allora non c’è tempo da perdere per fugare dubbi e sospetti e dare certezze sulla qualità del pescato e sulla salute del mare. E’ vero che queste navi sono state affondate negli anni 90 e che per anni abbiamo consumato pesce cresciuto nei nostri mari e fatto il bagno lungo le nostre coste, senza che ci sia stata un’impennata, almeno a leggere le statistiche, nella diffusione dei tumori, nessuno aveva fatto caso alle denunce degli ambientalisti e non c’era allarme. Oggi, di fronte ai fatti nuovi nel frattempo venuti alla luce, la gente si è giustamente allarmata e purtroppo si è innescata una pericolosa psicosi che potrebbe avere conseguenze disastrose per la nostra economia. E’ una spirale che va interrotta, facendo chiarezza sulla salute del mare e dei pesci. Occorre farlo subito con certificazioni qualificate e credibili. I mezzi non mancano, ci sono i laboratori dell’Arpacal e quelli dell’Università della Calabria che sono in grado di svolgere tutti gli accertamenti e le verifiche necessari.
Ci sono in Italia laboratori che possono verificare la radioattività dell’acqua. Per favore chi ha il potere e la responsabilità di compiere queste verifiche non perda altro tempo e chiarisca, con una imponente ed efficace campagna di comunicazione, tutti i dubbi e i sospetti. Sembrano l’uovo di Colombo, iniziative scontate, ovvietà. Ma intanto si continua a scontrarsi sulle navi e sulla loro localizzazione, i sindaci dei Comuni rivieraschi si sbracciano a denunciare e protestare, i pescatori chiedono interventi di sostegno, si scatena la bagarre politica e nulla si fa per dare certezze alla gente. Mi raccontava l’altro giorno un docente di chimica dell’Università della Calabria, il prof. Giuseppe Chidichimo, che, chiamato dal sindaco di Cetraro a fare parte di un comitato, aveva chiesto al veterinario di inviargli un campione di pesci da sottoporre ad analisi nel suo laboratorio per accertare la presenza o meno di sostanze pericolose. Questi pesci però non gli sono mai arrivati perché al veterinario è stato impedito, così almeno gli ha riferito, dai suoi superiori di prelevare il campione. Qualcuno, ai vertici della sanità regionale e dell’Arpacal, dovrebbe dare una qualche spiegazione e fornire le prime certezze anche sulla qualità dell’acqua del mare.
La nave Mare Oceano inviata a Cetraro dal ministero dell’Ambiente, quella che non ha trovato traccia del mercantile (che il pentito di ’ndrangheta dice di avere affondato al largo della cittadina tirrenica) e che ha localizzato invece un piroscafo colpito da un siluro tedesco nel 1917, avrebbe accertato l’assenza di radioattività fino a 300 metri di profondità. Una notizia rassicurante finita, tuttavia, nel tritacarne di un’informazione costruita sulle mezze verità, quelle naturalmente lasciate finora trapelare, e che andrebbe approfondita e verificata.
Anche perché c’è chi ritiene che i bidoni, nascosti nella stiva della nave a perdere, sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso di 500 metri d’acqua, pari a 50 atmosfere, e avrebbero perso il loro contenuto che si sarebbe così sparso nell’immensità del Mediterraneo senza incidere più di tanto sui livelli di radioattività. E’ evidentemente un’ipotesi che sarà possibile verificare soltanto recuperando almeno qualcuno di questi bidoni e approfondendo le analisi dell’acqua.
Quello che appunto finora non sembra sia stato fatto con il rigore che la gravità del caso richiede. Insomma appare abbastanza singolare che, mentre si tenta – almeno questo è il sospetto – di impedire l’individuazione delle responsabilità, si indugia nell’accertamento della qualità del pesce e del mare. Delle due l’una, o si ha paura dei risultati e si traccheggia in attesa di tempi migliori (quali?) o si vogliono sfruttare incertezze e ambiguità per finalità inconfessabili, difficili da individuare.
Nell’uno o nell’altro caso è un gioco perverso che mette a dura prova la vita e la tenuta di un’intera comunità. Comunque un modo assai discutibile di affrontare quella che è fra le più gravi emergenze abbattutesi su questa disgraziata regione.

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