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di LUIGI NIGER
A me il Crocifisso piace. E’ sempre piaciuto. Non solo perché è un simbolo di sofferenza, di pace, di amore per l’umanità. Mi piace perché l’ho sempre associato a un uomo di grande nobiltà, a una straordinaria testimonianza di sacrificio, alla donazione di sé. Mi piace perché Cristo fu decisamente un uomo di parte, anche nel linguaggio (che il tuo parlare sia no, no, sì, sì). E la sua parte furono gli ultimi, i deboli, i miseri, gli oppressi (.). A questa parte il Crocifisso, da tempo, forse, è stato già tolto nel nome dei valori, della sicurezza, della difesa della civiltà cristiana. Dall’adolescenza il Crocifisso è stato per me un motivo di speranza, ma anche di turbamento. Quarant’anni fa, da poco laureato, in una piovosa sera d’inverno, in una cattedrale, invitato dal vescovo, feci una relazione dal titolo “Se Cristo non agita il tuo cuore, sei un uomo senza speranza”. Ricordo, ancora oggi, il mio timore e tremore e, infine, gli attimi di commozione intensa. Quanti altri ricordi legati al Cristo crocifisso e, quindi, alla sua Passione! Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ordina all’Italia di togliere i Crocifissi dalle scuole pubbliche, sento parlare e scrivere di polemiche violente, di battaglie, di guerre, di barricate in difesa del Crocifisso, soprattutto, da parte di chi ha continuato a crocifiggerlo con scelte e con comportamenti. Chi ha il diritto, oggi, di difendere il Crocifisso? Chi è credibile, mentre sprofondiamo in un mare di corruzione, di egoismo, di ipocrisia, di violenza e di volgarità? Non sarebbe il caso di pensare con celerità anche alla costituzione di bande armate in difesa del Crocifisso? Da una parte bastoniamo clandestini, gay, barboni, genericamente diversi e dall’altra ammazziamo qualcuno in difesa di Cristo. Cristo continua a morire quotidianamente da circa duemila anni e noi, un giorno, scopriamo il valore del simbolo, non di ciò che sta dietro il simbolo, nel simbolo. I mercanti del tempio sono sempre in prima fila, con i loro comportamenti loschi, a difesa del simbolo, continuano a fare affari sporchi. Ipocrisie, doppiezze, menzogne fanno scuola, sono i messaggi educativi di oggi in dispregio del povero uomo Cristo. Nel dicembre del 1965, in un paese freddo e innevato del Nord, un noto padre francescano, colto e appassionato, mi raccontava il seguente episodio. Nell’elezioni politiche del 1948 (le prime nella storia della Repubblica) vi fu, secondo molti studiosi, un vero e proprio scontro di civiltà (oltre che di potere) tra cattolicesimo e comunismo, tra forze del bene e forze del male, tra Madonne e Stalin. La preoccupazione e l’allarme nel Vaticano furono enormi. Non avendo fiducia nel personale politico democristiano, un certo numero di monaci, brillanti e battaglieri predicatori, fu fatto spogliare e inviato a fare comizi nelle piazze più importanti d’Italia. Tra questi vi fu un confratello del nostro francescano, il quale pochi giorni prima del 18 aprile parlò in una delle piazze più famose e più calde: Bologna. Al comizio partecipò una folla immensa ed esaltata dalla poderosa, persuasiva e penetrante eloquenza del monaco spogliato. Un vero successo in difesa del valori e dei simboli cristiani, tra grida e applausi. Alla fine del comizio i due confratelli si allontanarono. Ad appena duecento metri di distanza dalla piazza, l’eccezionale oratore prese sottobraccio il confratello e con aria soddisfatta e liberatoria disse: “e adesso andiamo a prostitute”. Per carità i simboli sono belli e significativi, ma sono un autentico inganno se non abitano sempre dentro di noi. La Corte europea nella sua sentenza ha reso, forse involontariamente, un buon servizio agli italiani, un servizio cristiano: scoprire e riscoprire il valore del Crocifisso.

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