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di ANDREA QUATTRONE
L’andamento della crisi economica fin dal suo manifestarsi è stato costellato in Italia da comportamenti e affermazioni contrastanti del presidente del Consiglio e del ministro Tremonti da una parte e del Governatore di Bankitalia dall’altra. E’ noto l’ottimismo di Berlusconi, incoraggiante e utile psicologicamente ma estremo e deludente di fronte alla realtà, così come è stato messo in evidenza da Draghi in occasione della Giornata del Risparmio di fine ottobre: «Siamo meno sicuri che si stia avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche». E giù a sciorinare le stime dell’Istituto: 650mila posti di lavoro persi da settembre 2008 a settembre 2009; diminuzione di un quarto della produzione; Pil sceso al 6,5%. Dunque le cose vanno male, soprattutto a causa della prudenza della spesa pubblica imposta da un debito enorme dello Stato, comunque superiore a quello di paesi europei di pari influenza economica. Il ministro dell’Economia ha dimostrato con i fatti poco coraggio e scarsa visione della crisi, mettendo le tasse alle banche quando già si intravedeva il grave disastro dei derivati negli Usa. La risposta più appariscente di queste è stata il rifiuto di acquisire i bond per mettere liquidità sul mercato e aprire più agibilità di intervento al Governo. Ma in realtà le banche sono da tempo società per azioni e in questa veste riescono meglio a far prevalere l’interesse privato mirando al lucro: anziché aiutare l’economia pubblica si fanno appoggiare in maniera consistente dallo Stato quando traballano. E poi si permettono anche il lusso di lesinare sostegno alle imprese per evitare lo sfacelo che sta avvenendo con il loro fallimento e migliaia di lavoratori sul lastrico. Ci si domanda: che ruolo gioca il Sud nella crisi economica? Nessun ruolo, come sempre, né questo Governo ha il coraggio di varcare la soglia della crisi incidendo sull’economia del Sud. Certo, con infrastrutture che diano lavoro e siano utili in tempi brevi ma anche con un po’ di inventiva su una strada (che non vuole imboccare) che è quella delle energie alternative, dei trasporti su rotaie, delle nanotecnologie, dell’informatica che tuttora presenta prospettive nuove e interessanti (che ne è della fibra ottica?). Quando parliamo di infrastrutture intendiamo, è opportuno e utile ribadirlo, la messa in sicurezza degli edifici pubblici, incominciando dalle scuole, dagli ospedali e dallo stesso territorio con norme che impediscano di costruire nel letto dei fiumi usati anche da pattumiere e ai piedi delle colline franose. Attualmente c’è pochissima attenzione per la geologia in Italia, specie nella grande parte della superficie soggetta ai terremoti come la nostra bella Calabria. Oggi come oggi si costruisce e basta: i grandi magazzini senza parcheggi e così le altre strutture pubbliche o frequentate dal pubblico. Il patrimonio edilizio non viene aggiornato ai cambiamenti del suo uso e non si pone attenzione al trasferimento dal gommato alle rotaie nell’interesse della collettività e per provocare disinquinamento. La privatizzazione delle ex Ferrovie dello Stato con il capitale sociale però nelle mani del ministero dell’Economia indirizza la lobby di Trenitalia lontano dall’uso sociale di questo mezzo di trasporto. La patata bollente è stata messa in mano alle regioni che hanno la competenza ma non i soldi per il loro territorio. Le emergenze che scoppiano e fanno vittime e danni sono il risultato della pessima amministrazione pubblica e della cattiva educazione degli utenti. Nessuno si offenda ma apriamo piuttosto gli occhi all’evidenza! La Giornata del Risparmio alla quale ha partecipato il gotha istituzionale e bancario ha avuto dunque un tema predominante diverso. Com’era da prevedersi, l’obiettivo si è spostato sulla crisi economica. Al Sud andrà un’altra banca che si ridurrà al solito carrozzone pela denaro e la meraviglia del ponte sullo Stretto. Tremonti da parte sua sulle banche ha fatto un passo indietro: “Lavoriamo tutti insieme senza conflitti”, e il governatore Draghi, che ha gestito negli anni ’90 le privatizzazioni (Iri, Eni e compagnia cantando) ha letto le giuste stime dell’Istituto, ma nessuno degli attori della finanza e dell’economia ha toccato il tasto del passaggio del capitale di Bankitalia dalle banche ormai società per azioni allo Stato che le sovvenziona con il denaro pubblico quando sono in difficoltà. Non sappiamo perciò quanto queste possano essere controllate dall’organo preposto di cui hanno il capitale o favorire la politica economica di governi con pochi poteri e scarsa volontà. Quanto sia importante lo Stato in questo come in altri settori che coinvolgono la socialità collettiva lo si è visto abbastanza bene in questa crisi. Al Governo e all’opposizione si chiedono perciò cose serie: regole per la finanza a tutela del risparmio da finalizzare all’economia reale e da sottrarre alla speculazione; chiarire la situazione dell’Istituto di credito centrale e delle banche italiane. Sempre Tremonti qualche lamento lo ha fatto, ma serve poco o niente: “.una quota non marginale (del denaro erogato-ndr).è rimasta nel portafoglio delle banche e non si è trasmessa all’economia reale”.

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