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di PAOLO ALBANO

Una famiglia tedesca trascorre una vacanza marina in una località balneare della Toscana. Una vacanza di vari contrattempi. Il peggiore capita quando un giorno i nostri vacanzieri assistono ad uno spettacolo nel quale il cavalier Cipolla ipnotizzatore e occultista di fama, grottesco e affascinante, tiene in pugno l’uditorio con le sue arti magiche. Aiutandosi con l’ipnosi e con un frustino, Cipolla domina il pubblico e trionfa. Nel suo massimo, il mago chiama sul palcoscenico a caso il cameriere Mario che ama Silvestra. Il ripugnante illusionista si fa baciare dal giovane, dopo averlo convinto di trovarsi al cospetto della sua amata. Quando si risveglia, Mario viene preso di mira dall’ilarità generale e umiliato, turbato e fuori di sé, uccide il mago con una rivoltella.
Questo tragico e attualissimo racconto di Thomas Mann mi è venuto in mente all’uscita di un incontro molto atteso: amici, moltissimi socialisti, vecchia e nuova classe dirigente, un ex ministro ancora affascinante ed un conduttore salace che si diverte, tutti davanti all’analisi impietosa della Basilicata e del Sud di Nino D’Agostino. L’isola felice che non c’è, il centro sinistra da un po’ non all’altezza del suo progetto, programmazione finita, presidenti, assessori, consiglieri tutti presi dalla stessa Regione che, secondo l’autore non dovrebbero più rientrare nei loro posti (e perché non i medici, gli avvocati, i commercialisti, gli operatori della sanità, i funzionari di altri enti pubblici), la trappola del consenso, i bisogni dei lucani che esaltano il clientelismo, valutazione e merito mai comparsi, la povertà di almeno un quarto della popolazione della Basilicata: questo s’è detto. Alla fine sono uscito di corsa perché avevo voglia allo stesso modo di Mario il cameriere che in ipnosi baciava la sua amata impossibile, di riprendermi con il vento della piazza un barlume di speranza, per liberarmi dall’ipnosi dell’analisi, delle cifre, della foto così nera della nostra regione. Ed ho deciso di sparare parole mentre sapevo subito (le accuse e le denunce fanno presto ad arrivare dal Park Hotel a Piazza Prefettura) che in un’altra sala, anche questa affollata, si erano dette le medesime cose, fatte le stesse foto. Tutte le tinte più fosche per tutti tranne per se (un vizio antico da queste parti dove chi denuncia è sempre bravissimo, perfettissimo e se ci fosse lui o lei al comando allora si che le cose cambierebbero).
Per ogni cosa c’è il suo momento
Ma per ogni cosa c’è il suo momento e per favore che finisca al più presto “il tempo per gettare sassi” e pure quello “per stracciare” e che inizi quello “per cucire” perché “c’è un tempo per ogni cosa e per ogni azione” (Ecclesiaste). Si lavora in stato di urgenza, si vive in stato di urgenza, si pensa in stato di urgenza (il che equivale a non pensare affatto) e non è più sopportabile. Ora è, invece, il momento di assumere un’altra responsabilità che deve appartenere prima di tutto a chi fa analisi, a chi si premura di caricarci di cifre, a chi ci consegna nessuna incitamento, a chi fa calcoli, magari elettorali, solo per se stesso o si contorce nella rivalsa e gode nel distruggere non avendo amore, se non finto, per la sua terra. Un responsabilità che deve appartenere, naturalmente, a chi governa, dirige, è classe dirigente. La responsabilità della proposta è quella che nasce dalla consapevolezza del tempo che stiamo vivendo, di ciò che determina il paesaggio che abbiamo difronte, delle debolezze che viviamo e di cui ognuno si deve far carico. Il tempo della proposta vuole un altro stato d’animo, esige cambiamento profondo dei nostri comportamenti, ricerca ciò che di buono c’è per usarlo come una leva preziosa per programmare, progettare e fare. Come potremmo altrimenti far immaginare e far desiderare ai giovani, a tutti coloro che nella debolezza e nella marginalità ma anche nelle situazioni favorevoli di creare opportunità e lavoro, il futuro migliore possibile della Basilicata? La Basilicata si può raccontare e ciò che serve sapere è sapere se c’è ancora chi potrà restituirle passioni ed emozioni, quelle che servono non per un’isola felice ma per un luogo dove sia possibile elaborare e pensare cose nuove e, magari, dove sia possibile arrischiarsi a farle. Questo appartiene all’idea di sviluppo che tutti, proprio tutti, dovremmo avere, quella che dice che lo sviluppo non è fatto solo di cifre, di pil che salgono e scendono e quando salgono mentre tutti ci aspettiamo che qualcosa muti in bene, magari la disoccupazione aumenta. Lo sviluppo che cerchiamo è, soprattutto, parte di una mobilitazione collettiva. E ciò significa rompere con ciò che stiamo facendo e creare una nuova mentalità, una disposizione attiva con tutte le persone con le quali abbiamo a che fare. Per questo ci vogliono le ragioni storiche e non solo quelle economiche, le emozioni, le passioni, la cultura, l’identità e la fiducia. Tutte insieme fanno la strada dove i legami si compiono,l’unità della gente si rinsalda e lo sviluppo si realizza. Solo i legami nella comunità e tra le comunità consegnano valore al territorio, alle sue risorse, alle sue persone, al mercato, ai soldi. La loro mancanza finisce di uccidere le speranze e noi dobbiamo gridare a tutti che i peccati contro la speranza sono i più terribili, i più catastrofici. E allora ci vuole una rinnovata responsabilità della pubblica amministrazione, è necessario, fare scelte forti ed anche non gradite al dio consenso, ci vuole la nuova politica e nuovi politici per dirla con Mons. Superbo, il quale precisa che il nuovo non coincide con l’anagrafe, con il cambiare persone. Il nuovo chiama al gradino più alto della disposizione che ciascuno deve avere verso l’altro e verso la crescita armonica di un territorio. Solo a queste condizioni possiamo pensare alla Regione Meridionale, quella che avrebbe i numeri per competere in Europa. Ma ciò non avverrà mai sommando territori ma valorizzando le differenze, le singolarità di ogni regione. Sviluppo vuol dire, infatti, il crescere di una comunità secondo un comune disegno unitario di economia, socialità, istituzioni, diritto, cultura che devono fondersi e fecondarsi reciprocamente. La Basilicata ha tutte le energie per fare questa scelta e su questa scelta ci siano pure confronti duri purchè ciò serva perché essa resti il laboratorio che è sempre stata, al centro del Sud, piccola ma capace di tracciare per prima il percorso del Mezzogiorno che ci deve essere. E allora? Facciamo i cittadini, buttiamo i panni che ci vogliono fare indossare, non facciamoci ipnotizzare i portatori di cifre (per il momento mettiamoli da parte), stiamo attenti ai cavalier Cipolla e diamoci da fare. Pensare, proporre, partecipare, sacrificarsi, raccontare la nostra grandezza.

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