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di VINCENZO FOLINO*

Nel marzo scorso ho firmato una proposta di legge di Adeltina Salierno, con la quale si intende riformare la legge elettorale regionale abolendo il cosiddetto “listino” (con la conseguente attribuzione del premio maggioritario attraverso la quota proporzionale) e prevedendo l’assegnazione di una seconda preferenza per la piena affermazione della parità di genere.
Si tratta di due proposte chiare e, almeno per quanto mi riguarda, pienamente condivisibili, che puntano a correggere e migliorare l’attuale sistema elettorale frutto della riforma costituzionale del 1999 sull’elezione diretta del presidente della Regione.
Scopo originario dell’istituzione del listino era probabilmente quello di portare in Consiglio regionale professionalità e competenze presenti nella società, come valore aggiunto delle coalizioni che avrebbero così potuto arricchire l’offerta politica delle liste proporzionali dei partiti. Ma è indubbio che questo istituto si è nei fatti trasformato in una sorta di “camera di compensazione” degli equilibri politici. E’ cioè diventato uno strumento desueto, che non ha quasi mai svolto la funzione originaria per la quale era stato creato. Ed è quindi giusto abolirlo.
Quanto alla rappresentanza di genere, Salierno riprende quanto è previsto dalla recente legge elettorale della Regione Campania (impugnata dal governo davanti alla Corte costituzionale), che propone di risolvere l’annoso e a volte inconcludente dibattito sulla presenza delle donne nelle istituzioni attraverso l’obbligo per l’elettore che intende assegnare due preferenze di indicare almeno una donna. Una scelta che aiuterebbe certamente il rinnovamento delle istituzioni, e offrirebbe nel contempo un’occasione per arricchire la qualità della rappresentanza politica attraverso la sperimentazione di inedite alleanze fra generi, territori e categorie sociali.
Fin qui le proposte e le motivazioni che il Consiglio regionale nella sua interezza e il centrosinistra in particolare avrebbero potuto cogliere per avviare il confronto sulle riforme. Purtroppo, distratti dalle continue scadenze elettorali e congressuali, i partiti sono riusciti solo ad avviare il percorso delle riforme, con l’istituzione della quinta Commissione di controllo presieduta da un esponente dell’opposizione, ma hanno perso l’occasione di riformare lo Statuto e la legge elettorale.
Avendo mancato l’obiettivo, risulta più difficile fare le riforme in questi ultimi mesi della legislatura. Ma comunque ben venga la discussione che si preannuncia per i prossimi giorni nella Commissione Affari istituzionali del Consiglio regionale. Con l’auspicio che questo dibattito non si trasformi in uno scontro fra quanti (partiti di media consistenza, innanzitutto) vedono nel listino una possibilità per ottenere un seggio in più e quanti (i partiti più piccoli) con l’abolizione del listino pensano, invece, di poter trarre quale beneficio nel proporzionale.
Per me, lo ripeto, la scelta migliore sarebbe quella dell’abolizione del listino, che probabilmente contribuirebbe anche a rendere più sereno il confronto nelle coalizioni. Magari prevedendo, per evitare l’impugnativa Costituzionale che proprio su questo punto il governo ha avanzato alla legge della Regione Campania, la seconda preferenza facoltativa (e non obbligatoria) e valida solo se viene affermata la parità di genere (con l’indicazione di una donna e di un uomo) per aumentare la presenza delle donne in Consiglio regionale.
Se per ragioni tecnico – giuridiche, relative anche alla oggettiva difficoltà di riformare la legge elettorale senza aver prima riformato lo Statuto, non fosse possibile fare questo, credo che il tema vada comunque assunto in sede politica. Penso cioè che il candidato presidente del centrosinistra debba proporre alla coalizione che si va formando la composizione del listino al di fuori da logiche di spartizione politica, e riportando invece questo istituto alla sua originaria funzione: quella di arricchire la rappresentanza democratica con la candidatura di persone che siano espressione del mondo delle professioni, delle associazioni, del lavoro, della cultura. Non una sterile contrapposizione fra “società civile” e partiti, ma partiti che riconoscono il valore delle competenze candidando persone qualificate e rappresentative nelle proprie liste e aprendosi ad altri contributi nel listino, se proprio questo istituto deve continuare ad esistere. Magari compiendo una scelta netta: prevedendo cioè una presenza qualificata di donne nel listino, così da assicurare, anche con l’attuale legge elettorale, un’adeguata presenza femminile in Consiglio regionale.
*Consigliere regionale del Pd
e Vicepresidente della Commissione Affari Istituzionali
del Consiglio regionale

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