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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – L’avevano chiamata «Betting», scommesse. Internet point, sala giochi e noleggio videopoker, «settore remunerativo e, da sempre, appannaggio della criminalità organizzata», scrivono i carabinieri del nucleo investigativo. Il boss Antonio Cossidente aveva deciso di entrare anche in questo settore. Un settore che gli dava la possibilità «di reinvestire – si legge in un’informativa dei carabinieri che il Quotidiano ha potuto consultare – i proventi illeciti derivanti dal traffico di stupefacenti e dall’usura». Business. Volevano fare «il boom» prima di Natale. Con le scommesse. Con le partite truccate. E con le sale «Betting». E’ la calcio connection scoperta dai carabinieri del capitano Antonio Milone.
Il boss, nella «Betting», come in tutte le altre attività a cui si era dedicato, aveva inserito un suo uomo di fiducia: Donato Lapolla. Donato sa bene con chi è entrato in affari.
Ed è convinto che spendendo il nome del boss le porte si aprano con maggiore facilità.
Al bar della stazione «vado a nome suo», dice Donato al boss. Poi, parlando del gestore di un locale che avrebbe dovuto installare videopoker, dice: «Ma questo non può fare il coglione con
me, perché sa chi c’è dietro… capito…».
Donato è convinto di essere entrato nel giro giusto. Ne parla anche con suo padre.
«Adesso deve andare anche in Calabria… mi muovo con le spalle coperte». Il padre cerca di farlo ragionare: «Figlio, devi prendere prima le…». E lui: «Ma ti dico che c’è roba grossa là dietro, roba grossa papà, grossa grossa». Il padre: «Non ti fidare… ricordati queste parole… quello è infetto… Donato, chi tiene i soldi ed è pulito se ne sta per i fatti suoi».
Donato insiste: «Ma questa è roba pulita… qua è tutto pulito». Tanto pulito che è riassunto in un capo d’imputazione: «Antonio Cossidente, Aldo Fanizzi, Donato Lapolla e Raffaele De Vita, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, sfruttando la riconosciuta caratura criminale del clan mafioso diretto da Cossidente, riuscivano a far installare in numerosi esercizi pubblici di Potenza e in provincia, apparecchiature elettroniche e videogiochi, tra cui alcune del tipo vietato. In questo modo compivano atti di concorrenza illecita nei confronti delle altre società del settore, perché si imponevano mediante l’implicita minaccia connessa alla forza intimidatrice di Cossidente, per conto del quale Lapolla chiedeva la stipula dei contratti di installazione delle apparecchiature elettroniche, agevolando così il gioco d’azzardo. Con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni d’intimidazione e assoggettamento omertoso, agevolando e l’operatività del clan capeggiato da Cossidente».
f.amendolara@luedi.it

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