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di FRANCO BARTUCCI
Il mondo universitario italiano è in fermento per il disegno di legge, presentato dal ministro Mariastella Gelmini ed approvato dal governo Berlusconi, in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario, di personale accademico e di diritto allo studio. Un decreto che comprende quindici articoli suddivisi in tre titoli: organizzazione del sistema universitario; norme e delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario; norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernente il reclutamento. Un disegno di legge atteso e molto discusso, a seguire il dibattito mediatico sviluppatosi nel nostro Paese nell’ultimo anno, ai fini di una migliore organizzazione del sistema universitario e scolastico italiano, quanto nel dare alla società un reale segnale di cambiamento e di innovazione nel nome dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della trasparenza del sistema burocratico, amministrativo e politico del mondo universitario e non solo, guardando all’appartenenza del settore pubblico italiano. Prima di entrare nei contenuti dei titoli e degli articoli del disegno di legge in questione è bene precisare subito un concetto chiave importante e strategico che si trova alla base dei fini e degli obiettivi assegnati, fin dalle loro origini e venuti a galla negli ultimi anni, sia al mondo scolastico che universitario e che riguardano: la formazione delle nuove generazioni; l’impegno e la diffusione di una ricerca di qualità; l’acquisizione di concetti culturali civili, morali, etici per una convivenza sociale ed equilibrata in nome di una democrazia matura e reale; il tutto legato allo sviluppo e alla crescita economica e sociale del Paese. In sostanza, sia il mondo della scuola e soprattutto quello dell’università, sono le palestre per dare un senso e un contenuto di valori al sistema Paese. Fatta questa necessaria premessa entriamo nei contenuti del disegno di legge in questione e, soprattutto, nel titolo primo che affronta l’organizzazione del sistema universitario in tre articoli che riguardano i principi ispiratori della riforma, gli organi e l’articolazione interna delle università, la federazione e fusione degli atenei e la razionalizzazione dell’offerta formativa. Sancito il diritto alle Università di promuovere formazione e saperi per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica, dando loro la piena autonomia, di cui all’articolo 33 e al titolo V della seconda Parte della Costituzione, sperimentando anche modelli organizzativi e funzionali sulla base di specifici accordi di programma con il ministero dell’università e della ricerca per una concreta realizzazione del diritto allo studio; nel quarto comma del primo articolo lo stesso ministero invoca per se il diritto di fissare obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti, come di verificare e valutare i risultati degli atenei secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, per garantire una distribuzione delle risorse pubbliche coerente rispetto agli obiettivi e indirizzi nonché ai risultati conseguiti. Un articolo che dice alle Università: «Difendete i vostri modelli sperimentali, organizzativi e funzionali, ma soprattutto attuate i vostri programmi basandoli su criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito». E’ facile individuare le formule e i percorsi che portano alla qualità dei servizi; ben più difficile è la scelta che conduce alla trasparenza del buon governo e della gestione amministrativa e politica delle istituzioni universitarie, se non c’è il senso della informazione e comunicazione istituzionale (legge 150/2000); mentre ancor più difficile diventa il percorso del riconoscimento del merito, se chi ne ha la responsabilità della direzione e guida non è dotato di uno spirito libero e rispettoso dei valori umani, oltre che di una conoscenza delle regole amministrative e del codice deontologico professionale. Un primo articolo, quindi, che va specificato meglio ed arricchito di riferimenti integrativi. L’articolo due, che tratta la composizione degli organi e l’articolazione interna delle università, ci dice che questi sono individuabili nel rettore, nel consiglio di amministrazione, nel senato accademico, nel direttore generale, nel collegio dei revisori dei conti, nel nucleo di valutazione. Un articolo rivoluzionario e di cambiamenti forti, tutti da interpretare in quanto vengono limitati i mandati del rettore a non più di due per un totale massimo di otto anni, che crea nelle università un nuovo spirito di rinnovamento e di ricambio generazionale per una vivacità dell’azione e del pensiero operativo adeguato ai tempi. C’è poi la scomparsa della figura del preside di Facoltà con una maggiore valorizzazione della figura del direttore del dipartimento, da leggere nell’ottica dell’efficienza dei servizi e del risparmio economico, che prevede una aggregazione più ampia degli insegnamenti da parte dei professori, ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo determinato in ambito del dipartimento, da un minimo di trentacinque a un massimo di quarantacinque, a secondo dell’organico complessivo afferenti a settori scientifico – disciplinari omogenei. C’è ancora il senato accademico senza i presidi di Facoltà, ormai depennati e fuori dalla storia, composto, su base elettiva, per almeno due terzi da docenti di ruolo dell’università e, comunque, da un numero di membri proporzionato alle dimensioni dell’ateneo e non superiore a trentacinque unità, compresi il rettore e una rappresentanza elettiva degli studenti, con il mandato di formulare proposte e pareri in materia di didattica e di ricerca, di approvare i regolamenti e di svolgere funzioni di coordinamento e di raccordo con i dipartimenti che possono denominarsi, se raggruppati, facoltà o scuole. Un concetto e delle funzioni organizzative poco chiare e confuse che non vanno nella direzione della semplificazione e dell’efficienza tanto invocata. Ci vuole una maggiore conoscenza ed esperienza già maturata, come nel caso del Comitato di coordinamento e programmazione, previsto dal primo statuto dell’Università della Calabria. Per rompere con il passato, a questo punto, sarebbe opportuno abolire la denominazione “senato accademico” e chiamarlo proprio “comitato di coordinamento e programmazione”, dove i direttori di dipartimento hanno una funzione preminente e di guida consapevole e decisa. C’è poi il Consiglio di amministrazione rivisto nella composizione (undici componenti compreso il rettore ed una rappresentanza elettiva degli studenti) con presenze accademiche non superiore al quaranta per cento, ed altre figure esterne scelte tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale e di un’esperienza professionale di alto livello. Un consiglio che non potrà essere presieduto dal rettore, com’è stato finora, bensì da un presidente che dovrà essere eletto dai componenti dello stesso consiglio. E’ una bella sfida tra due figure politiche – governative, il rettore e il presidente del consiglio di amministrazione, per dare all’università livelli di efficienza ed eccellenza nel campo della ricerca e della formazione, ma soprattutto di bilanci economici sani e produttivi. E’ una sfida tra università del Sud e Università del Nord Italia per effetto della diversa condizione economica e sociale, ma soprattutto della cultura vigente nel rapporto pubblico – privato. C’è poi la sostituzione della figura del direttore amministrativo con la figura del direttore generale, da scegliere tra personalità di elevata qualificazione professionale ed esperienza in campo organizzativo e gestionale. Una indicazione che appartiene alla precedente normativa di riforma universitaria senza che abbia trovato in questi anni una diffusa applicazione, privilegiando nella maggior parte dei casi scelte interne al mondo universitario. Ma, comunque, può essere di rottura per entrare meglio nella organizzazione del lavoro per una incisiva azione mirata a creare piena efficienza e trasparenza nella gestione, con in primo piano il riconoscimento del merito dovuto all’attaccamento al lavoro del personale ed ai risultati ottenuti in materia di efficacia dei servizi svolti in spirito di collaborazione e rispetto delle persone. C’è un grande lavoro da svolgere per sconfiggere l’assenteismo e il disinteresse per costruire motivazioni di appartenenza e senso sociale del lavoro, ricchezza per una società progredita e solidale. Il disegno di legge prevede che entro sei mesi dall’approvazione del testo, e qui bisogna lavorare molto per migliorarlo in Parlamento (è auspicabile un leale confronto ed apertura con le forze di minoranza), ogni università deve rivedere il proprio statuto intervenendo ad adeguarlo secondo le indicazioni che vengono impartite dalla legge. C’è poi l’assoluta mancanza del coinvolgimento del personale non docente e non solo negli organismi di gestione dell’università creando una situazione di disparità molto pericolosa che potrà far mancare quel supporto essenziale al cammino di riforma delle università e di questo se ne potrà parlare in un prossimo servizio dove approfondire gli altri titoli del disegno di legge.

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