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di ROSSELLA MONTEMURRO
C’E’ anche un po’ di Matera nell’enigma delle stelle bambine, svelato nell’ultimo numero di Nature, la più ambita tra le riviste scientifiche internazionali.
L’astrofisico Francesco Ferraro, coordinatore internazionale del progetto, e uno dei giovani ricercatori coinvolti, Emanuele Dalessandro, del dipartimento di Astronomia dell’università di Bologna, hanno infatti studiato al liceo scientifico Dante Alighieri della città dei Sassi.
Ferraro, nato nel ’61 a Corsano (Lecce), per il lavoro del papà, carabiniere, ha vissuto dieci anni a Matera.
Ed è stato qui che, per caso, in quello che definisce il periodo centrale della sua formazione, è nata la passione per l’astronomia.
«Matera era molto attiva per le iniziative culturali. – spiega Ferraro – Frequentavo un corso di Archeologia amatoriale al circolo culturale e, proprio lì accanto, si svolgevano le riunioni di un gruppo di astrofili».
E’ bastato partecipare una sola volta agli incontri (era presente anche Giuseppe Bianco, attuale direttore del Centro di Geodesia) per cedere al fascino delle stelle: anni di notti passate al freddo a registrare le variazioni di luminosità delle stelle variabili lo hanno spinto a iscriversi alla facoltà di Astronomia dell’Università di Bologna dove si è laureato nel 1985 ottenendo il diploma di ricerca.
Al liceo scientifico sono state cruciali, inoltre, le lezioni del professor Sasso di Matematica e della professoressa Morelli di Scienze.
Per il ventottenne Emanuele Dalessandro, invece, si tratta di una passione innata.
«C’è chi vuole fare l’astronauta, chi il medico. Io volevo fare l’astronomo. – afferma Dalessandro – Mi piaceva pensare alle stelle».
Poi, negli anni del liceo, si è rafforzato l’amore per le materie scientifiche: «Gli insegnamenti del professor Pinto, il mio docente di Matematica, hanno consolidato questa scelta».
Utilizzando immagini ottenute con il Telescopio Spaziale Hubble il gruppo di astrofisici dell’Ateneo di Bologna (sono in tutto dieci gli scienziati che hanno contribuito alla scoperta) è riuscito a scoprire che sono due e distinti i processi con cui una coppia di stelle anziane può dar vita ad una stella più “giovane”: collisione e cannibalismo.
Nel primo caso le due stelle si fondono scontrandosi l’una con l’altra.
Nel secondo una delle due, molto vicina, “risucchia” progressivamente materia dall’altra, fino a “divorarla” completamente.
Il risultato è comunque una stella di energia e dimensioni maggiori, che assume così sembianze più “giovani” delle stelle originarie.
La scoperta svela finalmente un annoso mistero: quello delle vagabonde blu (blue stragglers), le anomale stelle “bambine” che punteggiano le regioni più antiche della nostra galassia, dove gli astri hanno da tempo smesso di formarsi, e dove pullulano ormai, o dovrebbero pullulare, solo vecchie stelle.
«E’ come vedere dei bambini in una foto di gruppo di un ospizio per anziani. Viene spontaneo chiedersi cosa ci facciano lì!» spiega Francesco Ferraro, l’astrofisico dell’Università di Bologna che ha guidato la ricerca.
«Come gli uomini -afferma Ferraro – anche le stelle nascono, crescono e muoiono. Invecchiando consumano il proprio serbatoio energetico diventando progressivamente più fredde.
Solo ad alcune, fortunate, può capitare di sperimentare una “seconda giovinezza” e tornare bambine, attraverso uno specifico trattamento di ringiovanimento».
«Il successo di questa ricerca è il risultato di un lavoro di squadra e di una stretta sinergia tra l’Università di Bologna e altri centri di ricerca, in particolare l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) – commenta Ferraro -. Il nostro è un gruppo che ha scommesso su giovani sotto i 40 anni: un team affiatato e motivato, cresciuto presso il Dipartimento di astronomia di Unibo.
D’altra parte questa è la seconda scoperta di rilievo del nostro gruppo in meno di un mese (a fine novembre sempre Nature aveva riportato la scoperta del primo fossile cosmico nel cuore della via Lattea, ndr)».
Un obiettivo prestigioso che il gruppo guidato da Ferraro ha raggiunto dopo un anno di studi.

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