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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Ci accingiamo a festeggiare il Capodanno. Nella notte di San Silvestro buttiamo dalle finestre stoviglie e ciarpame di vario tipo per eliminare dalla nostra esistenza il vecchio e accogliere liberi il nuovo tempo, con la sua sperata positività. Mortaretti, colpi di pistola, piccoli razzi, bombe carta e “botti” dagli effetti spesso tragici (vedi il triste esempio dato da Napoli con le vittime della sua annuale “esuberanza” rumorosa) allontanano con il loro fragore – si ritiene – gli spiriti del male che altrimenti irromperebbero nel nuovo tempo, contaminandolo o deturpandolo. Esso potrà essere a noi favorevole e potrà costituire spazio tranquillo per la nostra operosità se lo accoglieremo pronti alla gioia, agli auguri e a tutte le altre forme rituali con le quali ritmiamo il passaggio dal vecchio al nuovo anno. Gennaio, simboleggia, appunto, l’inizio del nuovo tempo. Esso mutua il suo nome da Giano, divinità romana (termine collegato con ianua «porta»), signore di tutti i passaggi, dio che apriva e chiudeva. Da lui fu denominato il primo mese dell’anno (ianuarius) e gli si facevano sacrifici nel giorno iniziale di ciascun mese. Era rappresentato bifronte, a simboleggiare i due aspetti di ogni passaggio e, in quanto dio del corso del sole, il sorgere e calare dell’astro. Il tempo a lui sacro nel Foro romano si chiudeva solo quando Roma non era in guerra con alcun nemico. I rituali di Capodanno costituiscono, in questa prospettiva, una gigantesca forma di “renovatio temporis”, di “rinnovamento del tempo”, appunto. Tempo straordinario, dunque, questa notte, come la notte tra il 5 e il 6 gennaio, spazio disponibile perché si dispieghino il meraviglioso, il ribaltamento delle norme che reggono il quotidiano cadenzando il tempo della fatica, delle opere. Fontane da cui scorrono olio e miele come nei fiumi; acqua di fiumi che si ferma e si trasforma in oro (così a Pettorano in Abruzzo); alberi che fioriscono, animali che parlano ( la vigilia dell’Epifania a essi viene dato da mangiare a sazietà dai loro padroni, a evitare che essi ne parlino male, per cui tale notte è detta dell’”abbuttu”) e numerose altre credenze analoghe, che non è possibile all’uomo verificare pena la morte, concorrono a delineare un tempo straordinario dove tutto è possibile e la vita può ritrovare il suo significato fondante, la sua assoluta libertà. Per molti versi tutto il tempo natalizio è predisposto per l’irruzione di tale dimensione a partire dai giorni precedenti il 24 dicembre, dalle modalità con le quali commemoriamo una divina nascita che ha reso possibile, secondo la teologia cristiana, il superamento da parte dell’umanità del peccato e quindi della morte. La esemplificazione potrebbe essere estremamente ampia e riferirsi sia ad aree folkloriche che a società etnologiche. A Brindisi vigeva l’usanza di mangiare cose minute come riso e lenticchie ( auspicio di guadagno). Nel Niger si gettavano sulla via pezzi di legno ardente; altrove si usava battere con un bastone ogni angolo della casa per scacciarne i cattivi spiriti, gettando poi il bastone in un fiume (Votiaki); nel Siam si sparava con armi da fuoco per tutta la città per allontanare gli spiriti maligni e quindi venivano cinte le mura con una corda consacrata per impedirne il ritorno; nel Tibet e in Corea venivano bruciati fantocci di carta raffiguranti lo spirito del male. Con analoga funzione nella Roma antica, il 14 marzo, veniva espulso dalla città Mamurio Veturio, un vecchio rivestito di pelli che rappresentava Marte vecchio (cioè, l’anno). In Belgio si facevano auguri di buon anno agli alberi e al bestiame; in Scozia si procedeva in processione, da est a ovest come il sole, dietro un uomo coperto da una pelle di bue il cui tocco garantiva la salute e la prosperità; in Irlanda si accendeva il nuovo fuoco dal quale poi si accendevano tutti gli alri; nelle pagode dell’Aos si pregava per la fertilità della terra, gettando in apposite buche acqua per provocare la pioggia; nel Borneo si chiedeva agli spiriti di essere favorevoli al re e al gruppo, sacrificando loro maiali dalle cui visceri si traevano auspici; analogamente, nel giudaismo si pregava dio perché scrivesse il nome del fedele nel Libro della vita; in Estonia si distribuiva alla servitù e al bestiame una focaccia in forma vi verro quale mezzo di fecondazione. La cultura folklorica italiana nelle sue varie articolazioni presenta numerosissime forme di festeggiamento del Capodanno. Così è, ad esempio, la “maitunata” a Ferrazzano (Campobasso). La sera del 31, poco prima di mezzanotte, si radunano nella piazza del paese gruppi di ragazzi e qualche adulto. Ognuno è dotato di strumenti musicali, chitarre, fisarmoniche, trombe e altri ancora di diffusione popolare come due grossi chiodi che quando vengono scossi emettono un suono simile a un campanello: il bufù. Si tratta di uno strumento fatto con un vecchio barile ricoperto a una estremità da una pelle di capra, al cui centro vi è un bastone o una canna che viene sfregata con la mano. I gruppi si avviano per le strade del paese fermandosi dinanzi a qualche porta per cantare delle frasi scherzose ovvero la famosa maitunata. Così, a Capri, nella cui famosa piazzetta bande di putipù (un tamburo con un bastone che viene sfregato) si esibiscono in una serie di motivi popolari. A Sezze (Latina) era presente la tradizione del sasso. Gruppi di ragazzi e ragazze giravano per le stradine del paese suonando tamburi, coperchi di pentole, bidoni di latta, brocche di coccio, bastoni. Bussavano a ogni porta offrendo un sasso. La grandezza del sasso era proporzionale all’augurio dell’anno nuovo: tanto più era grande, tanto più l’anno sarebbe stato felice. Se il padrone di casa non offriva niente gli auguri si trasformavano in maledizioni. Ancora, potrebbero essere ricordate numerosissimi altri rituali e credenze: si pensi, a titolo semplificativo, alla Festa di San Silvestro a Poggiocatino (Rieti) che si rifà alla leggenda di San Silvestro che scaccia da una caverna un grande drago che scendendo trecentosessantacinque gradini (per quanto sono, appunto, i giorni dell’anno) scacciò da una caverna con un segno della croce un grande drago. Si pensi, ancora, alla fiaccolata di La Thuile (Aosta) alla quale partecipavano maestri di sci e amanti di questo sport; manifestazioni analoghe si svolgevano a Courmaieur e a Valtournanche. Si pensi, infine, alla grande sfilata di bande folkloriche che sfilavano la notte del 31 dicembre ad Amalfi (Salerno) o alla festa della Stella di San Silvestro a Palù (Belluno), dove un gruppo di giovani intonava canti nazalizi dinanzi ad ogni casa dove era posta una lanterna, ricevendone doni. Altre culture, altre religioni hanno elaborato numerosi sistemi di calendarizzazione del tempo e gli esempi potrebbero riferirsi alle epoche e agli spazi più differenziati. Tale estrema varietà, può costituire un utile richiamo a non considerare le nostre modalità rituali valide universalmente per tutti gli uomini. Questa varietà, nella sua differenziata fenomenologia, testimonia l’esigenza comune a noi uomini di assumere il tempo e di padroneggiarlo, conferendogli senso, per rendere possibile la vita, per poterne affermare comunque le sue ineludibili ragioni.

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