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di ANDREA DI CONSOLI
TURSI -QUALCHE giorno fa, verso sera, mentre presento un libro a Roma, mi arriva un sms dell’attore lucano Antonio Petrocelli. Mi scrive: “Richiamami. E’ urgente”. Dopo un po’ lo chiamo, e Antonio mi dice che devo telefonare al più presto il giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Salvatore Verde, perché uno dei protagonisti della storia di Luca e Marirosa ha deciso di parlarmi, di dire quel che sa. Il protagonista in questione è Francesco Caldararo di Tursi, colui che, secondo le cronache giudiziarie, portava le prostitute e la droga ai “festini” orgiastici del metapontino. Il giorno dopo parlo con Salvatore Verde, e il giornalista tursitano mi conferma che Caldararo vuole incontrarmi. Prima di fissare una data, chiedo a Salvatore conferme sul “movente” di questa decisione – cerco di capire, insomma, se si tratta di una trappola, o di un’imboscata. Salvatore mi rassicura, e mi dice che verrà con me all’incontro, e che Francesco Caldararo è mosso soltanto dall’esigenza di dare un contributo alla ricerca della verità. Quindi ci diamo appuntamento a Tursi, a casa di Francesco Caldararo.
Nel frattempo raccolgo informazioni su Caldararo, e quel che capisco è che Caldararo non è propriamente un “boss” della malavita, ma un soggetto border-line, cioè un truffatore, uno che però conosce molto bene l’ambiente malavitoso.
Arrivo a Tursi. Parcheggio la macchina in centro – dove mi aspetta Salvatore Verde – e, con la sua macchina, saliamo nel centro storico, dove abita Francesco Caldararo. In macchina siamo io, Salvatore Verde e L., un amico fidato di Caldararo. Per salire con la macchina il centro storico di Tursi bisogna attraversare stradine strette strette, ma Salvatore Verde lo fa con agilità, tanto che più di una volta non sfiora i muri solo per pochi millimetri. Poi, a un certo punto, parcheggiamo, e il resto della strada lo facciamo a piedi.
Quando arriviamo davanti alla porta della casa di Caldararo, ne esce un uomo giovane, sportivo, con la faccia furba e sorridente.
Ci fa entrare, e subito ci tiene a dirmi che la casa l’ha ristrutturata lui stesso, con le sue mani. E’ una casa molto bella, in stile rustico. Intanto lo vedo che armeggia ai fornelli, e dopo un po’ scopro che sta cucinando per noi. Ci fa accomodare, e ci serve spaghetti al pesce, spigole al cartoccio, insalata mista, castagne al forno, frutta.
Quando gli chiedo dove ha imparato a cucinare, Caldararo mi risponde sornione “in collegio”, vale a dire in carcere. L’atmosfera è molto amichevole, quasi goliardica – e, con la porta aperta sul vicolo, non sembra proprio di stare a casa di un “boss”. Dopo il pranzo, accendo il registratore e inizio l’intervista. Per tutto il tempo dell’intervista, oltre a me e Francesco Caldararo, ci sono anche L. e Salvatore Verde. L’intervista prosegue, a eccezione di una sola interruzione, fino a notte fonda.
Quando e dove è nato Francesco Caldararo.
«Sono nato a Tursi il 28 marzo del 1970».
Hai sempre vissuto a Tursi?
«No. All’età di sette anni mi sono trasferito a Policoro, dove ho sempre vissuto».
Come mai ti sei trasferito a Policoro?
«Mio padre ha avuto problemi con mia madre. Si sono separati. Mia madre ha passato tanti guai a causa di mio padre. Poi mia madre ha preso la decisione di andarsene da Tursi, e quindi ci siamo trasferiti a Policoro. Mio padre invece ha vissuto a Tursi fino al 1993, anno in cui è morto. Perciò io a Tursi non venivo nemmeno, ecco perché non conoscevo bene la realtà di Tursi».
Tua madre lavorava?
«Eccome! Ha lavorato e ha tirato avanti la famiglia numerosa. Ha fatto tutto lei».
Tu che studi hai fatto?
«Io ho fatto ragioneria. Poi mi sono iscritto a giurisprudenza a Bologna».
Quanti esami hai fatto?
«Ho fatto tre esami».
Senti Francesco, voglio farti una domanda precisa: quando inizia la tua attività criminale?
«Mai. Mai».
Sai bene che non ci crede nessuno.
«Non ho nessunissima condanna, io. Anche se la cronaca su di me è stata ampia, i fatti che mi hanno addebitato non sono mai stati provati».
E lo sfruttamento della prostituzione, lo spaccio di droga, ecc.?
«Io le schifo proprio, queste cose. Io non fumo, non bevo, certo, vado a donne, ma questi sono cazzi miei».
E le condanne?
«Non ne ho. Ci sono gli archivi. Si può tranquillamente riscontrare».
Quindi per la legge sei pulito?
«Pulitissimo».
Non mi dire che sei un cittadino comune. Francesco Caldararo è sempre stato considerato un personaggio della malavita lucana.
«Io sono stato piombato in questo primo processo denominato “Turris” perché praticamente serviva la persona giusta per colpire a mio avviso Buccico e Labriola, e per fare numeri, per fare un blitz, come si usava negli anni 93/94, e questo blitz è stato ordito e fatto da Paternò, Serio e Toscano. Praticamente si sono inventati il “Turris”, come le sentenze hanno dimostrato. Andrebbero lette tutte le carte per rendersi conto che il “Turris” è stato tutta una bufala, che è stato tutto scritto con i piedi».
Da uomo a uomo: come fai a dire che non hai una storia criminale alle spalle?
«Non ne ho. Ti sfido a trovare qualcuno o qualcosa che possa dimostrare il contrario».
Rapine, estorsioni?
«Zero. Zero assoluto».
E tuo fratello Vincenzo?
«E’ chiaro, che c’entra? Mio fratello ha pagato. Ha fatto otto anni. Ora è uscito. Sta a Lugano. E’ fidanzato e fa l’elettricista. Ma che c’entro io con mio fratello?».
Non ti credo.
«E’ chiaro che io conosco tutti i soggetti. Ci conosciamo tutti. Ma non vuol dire che io sia un criminale. Io ho sempre vissuto, e anche Paternò lo sapeva bene, di truffe alle assicurazioni, di truffe alle banche e di evasione fiscale. A tuttora. Emetto fatture a più non posso. E la finanza lo sa. Ogni tanto vengono a perquisirmi. Mi conoscono. Ora non ci vengono neanche più».
Anche adesso vivi di truffe?
«Adesso vado proprio a ruota libera. Assegni a vuoto, fatture false. Dopo il processo “Turris” ho iniziato a farlo per ripicca. Non pago niente e nessuno. Non pago le tasse, evado l’Iva. Sono un evasore totale».
E perché non paghi niente?
«Siccome lo Stato mi deve risarcire per l’ingiusta detenzione di un anno e otto mesi, intanto mi prendo l’acconto».
Non paghi proprio niente?
«Non pago l’autostrada, non pago a nessuno».
E con i bollettini come fai?
«Ci accendo il fuoco. Ripeto: non pago a nessuno. Sono un evasore totale, e sono fiero e contento di esserlo».
Pesante.
«Se fossero stati giusti non avrebbero dovuto permettere questo scempio. La cosa grave è che questi signori sono stati anche promossi. E a me questo fatto mi rode».
Cioè tu sostieni che i carabinieri si sono inventati a tavolino un criminale?
«Inventato di sana pianta. Posso fare un confronto con loro, con la Biasini, con chiunque. Si sono inventati a tavolino un criminale».
Quando inizia la tua disavventura giudiziaria?
«Incomincia quando arriva questo mandato di cattura il 16 aprile del 1996. Io all’epoca ero in Grecia».
E cosa ci facevi in Grecia?
«Lavoravo con il dottor Camardo di Tursi. Stavo tranquillissimo per i fatti miei».
E in Grecia ti arriva una telefonata che ti avverte del blitz?
«No, dalla Grecia telefono io. Già lo sapevo, del blitz».
E perché lo sapevi?
«Perché qualcuno me l’aveva detto.»
Qualcuno chi?
«Qualcuno delle forze dell’ordine».
E come l’hai presa la notizia?
«L’ho presa a risate. Ero innocente, e quindi stavo tranquillo».
Senti Francesco, non sarai stato un grande criminale, ma comunque qualcosa di grave l’avrai fatto. Sei comunque una “testa calda”. Qualche problema ce l’avevi o no con la giustizia?
«Con la giustizia? Sì, c’è un fatto storico. Siccome il perseguitato a giusta ragione era mio fratello, io abitavo con lui. Una volta ebbi un corpo a corpo col maresciallo Serio, per la storia di una moto. E testimone di questo fatto storico è tale Aurelio Vitelli di Policoro, che assistette alla scena. E Serio in quell’occasione mi disse: “Te la farò pagare”. E io gli risposi queste testuali parole: “Tu per farmela pagare te lo devi solo inventare”. E in effetti così ha fatto».
E perché hai picchiato il maresciallo Serio?
«Per una questione di moto, di alta velocità. E’ successo sotto casa mia».
Quando è accaduto questo scontro?
«E’ accaduto non ricordo bene se nel 1990 o nel 1991».
I carabinieri ti tenevano d’occhio, è anche normale, no?
«Sì, perché avevo bellissime macchine, bellissime moto».
Eri un truffatore.
«Te l’ho detto. Io facevo queste cose: le truffe all’assicurazione, gli incidenti finti, ecc. All’American Express una volta gli ho fottuto 80 milioni di lire».

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