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C’era chi, ieri mattina, alle parole del pubblico ministero si era solo arrabbiato e chi invece era preoccupato. Poi, nel pomeriggio, hanno tirato tutti un sospiro di sollievo. Il giudice Luigi Spina ha letto il dispositivo poco prima delle cinque. E, citando il secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale, ha assolto gli imputati Nicola Becce, 48 anni, dipendente di una ditta agroalimentare con interessi nel settore dell’assistenza domestica e dei servizi postali, Michele Cannizzaro, ex direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza, Giuseppe Spera, responsabile dell’ufficio tecnico del San Carlo, Aldo Pergola, presidente della commissione di gara, e la commissaria Angela Pia Bellettieri. Il pm aveva chiesto un anno e quattro mesi di reclusione per Becce (difeso dagli avvocati Pasquale Ciola e Incoronata Bochicchio) e Cannizzaro (difeso dall’avvocato Angela Pignatari) e due anni per Pergola (difeso dall’avvocato Sebastiano Flora), Spera (difeso dall’avvocato Spera) e Bellettieri (difeso dagli avvocati Tuccino Pace e Dino Bellettieri). Secondo l’accusa, Becce, per vincere la gara d’appalto per una parafarmacia nel San Carlo, avrebbe sfruttato la parentela «con soggetti molto vicini alla presidenza della giunta regionale della Basilicata che ebbe a nominare Cannizzaro alla direzione generale dell’azienda ospedaliera».
Un errore. Perché Becce è il cognato di Raffaele Rinaldi, ex Margherita. Cannizzaro, invece, è stato nominato direttore generale dell’ospedale San Carlo dalla giunta regionale guidata da Filippo Bubbico, ex Ds. Cannizzaro e i commissari di gara erano accusati di abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, «intenzionalmente» avevano «violato» l’articolo di legge che «obbliga la pubblica amministrazione al rispetto dei principi di trasparenza, di adeguata pubblicità, di non discriminazione e di parità di trattamento delle aziende». E avevano «abusato» delle loro «cariche» per «compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio, consistito in particolare nell’espletamento della gara d’appalto per l’apertura, a far data dal novembre del 2006 e per la durata di 15 anni, di un punto vendita per sanitari ortopedici interno alla struttura ospedaliera e nella conseguente adozione del relativo provvedimento di affidamento, avvenuto con gestione della gara d’appalto in maniera irregolare e in totale carenza dei requisiti d’urgenza che avrebbero astrattamente consentito l’indizione della gara nel periodo di ferragosto».
Secondo i magistrati della procura di Potenza, «la società che ha vinto non godeva nemmeno dei requisiti richiesti dal disciplinare di gara». Così avevevano creato un «danno ai titolari di altre strutture sanitarie ortopediche escluse dal pubblico incanto attraverso l’adozione di questa irregolare procedura»: la Tecnomedical di Vito Vincenzo Basentini e la Medical center di Giovanni Modrone. Le due società sono state individuate come parti offese. Gli imputati hanno scelto il rito abbreviato, respingendo in pieno le accuse. Il secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale citato dal giudice Spina spiega che «il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile».
Non si tratta quindi di una assoluzione per insufficienza di prove, cancellata con il nuovo codice che prevede in ogni caso l’assoluzione con la formula «perchè il fatto non sussiste». Gli avvocati sono comunque in attesa di leggere le motivazioni.
Fabio Amendolara
f.amendolara@luedi.it

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