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di RENATO NICOLINI
Salvatore Settis e Matteo Cosenza mi avevano fatto sperare, con i loro articoli sul “Quotidiano” del 31 dicembre, nell’anno nuovo. Finiti gli anni doppio zero, cominciava il nuovo decennio… Ed ecco la narrazione di un futuro possibile per la Calabria sotto il segno della risorsa cultura. Che la cosa Calabria torni finalmente a corrispondere ai nomi della sua storia gloriosa! La Magna Grecia, ancor oggi modello inattingibile (Karl Marx) di civiltà o le utopie (la Città del Sole di Tommaso Campanella)… Se uno studioso come Placanica ha scritto, ormai vent’anni fa, che non esistono vere città in Calabria (non lo sono ancora né Cosenza né Reggio né Catanzaro, tanto meno i “nuovi” capoluoghi Crotone e Vibo Valentia), questa non è una maledizione senza scampo. Ma bisogna avere la forza di non cedere ai luoghi comuni.
Tanti anni fa i luoghi comuni erano il centro siderurgico e l’industria chimica, l’industrializzazione del Sud per poli innescati da sovvenzioni statali… Gioia Tauro oggi non può essere presa a modello di un altro tipo di sviluppo (le sue grandi gru sono visibili da lontano, ma il porto è chiuso alla città di Gioia Tauro e a ogni visibilità di quello che succede al suo interno), ma comunque dimostra che una certa ricchezza non è arrivata dall’industria ma dal mare.
La Calabria (cito sempre Placanica), è caratterizzata dall’estesa superficie costiera, e dal fatto che lo spartiacque dei monti non dista mai più di un centinaio di chilometri dal mare. Sicuramente allo sviluppo non basta il turismo, ma nell’epoca del surriscaldamento globale, perché non lanciare in Calabria un nuovo modello, dove la sera si va a dormire in collina mentre si passa la giornata al mare? Anche il turismo, insomma, può essere subito o orientato verso l’innovazione imprenditoriale, in modo di intercettare il segmento alto della domanda, invece di subirlo nella dimensione distruttiva di massa.
Nella mia narrazione del futuro della Calabria, ha molto spazio la risorsa immateriale per eccellenza (sempre più rara nel mondo globale, dove tutto si uniforma perdendola): la capacità di generare immaginario. Il paesaggio calabrese può emozionare oggi come emozionava i viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento: nell’Aspromonte, nel Pollino, nella Sila, nel Lao, nel Savuto, nel Neto, nelle coste. L’immaginario genera produzione culturale. E industria culturale, che non deve esaurirsi nel turismo ma mirare oltre, per generare qualità, offerta e domanda alta. In Calabria, si può costruire un sistema dei beni culturali che parta dall’interazione dei musei e dei parchi archeologici con il paesaggio, che usi senza pregiudizi nuovi strumenti di musealizzazione come i parchi letterari, il teatro di paesaggio, le telecamere e l’interattività con il web, pensato come servizio offerto al mondo intero. E’ al mondo intero che ha parlato la Magna Grecia, è al mondo intero che può parlare questo “museo” della Magna Grecia oggi. Questo era il senso profondo della ricerca “Paesaggi & Identità”, che ho diretto scientificamente per l’assessore Michelangelo Tripodi.
Sono invece venute subito le esitazioni su un progetto distruttivo della bellezza delle foci del Neto come Europaradiso, e poi tanti altri passi di fianco se non indietro. Ultimi, e più gravi, i fatti di Rosarno, qualcosa di drammatico per cui la Calabria ha conquistato le prime pagine del mondo intero, ma per ragioni opposte a quelle che desidero. La Calabria non può uscire dall’arretratezza, dal trasformismo, dall’inefficacia nel contrastare la criminalità organizzata (per cui non sono certo sufficienti le misure varate dal Governo in seduta straordinaria a Reggio Calabria, con alto senso dello spettacolo, guastato dalla conferma da parte della Cassazione del mandato di cattura per il sottosegretario Cosentino, e dall’individuazione della causa prima della delinquenza non nel potere delle mafie ma nell’immigrazione), col politicismo di chi non sa tenere ferma la barra. Ma solo rovesciando le miserie che si sono imposte finora con un progetto di riformismo forte. Le priorità sono la sanità, la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, un livello decente di infrastrutture e servizi, la qualità urbana contro l’abusivismo e il fai da te. Sono progetti da una, anzi più legislature, ma comunque la risorsa cultura non può aspettare, deve essere subito rimessa in modo. Deve accompagnare, interagire con gli altri progetti. Il fattore decisivo a questo riguardo sono le Università: l’Università della Calabria, la “Mediterranea” di Reggio la “Magna Graecia” di Catanzaro.
I 520 milioni di euro che la Regione intende investire nella ricerca sono qualcosa di concreto, possono, se spesi bene, modificare anche il modo improprio con cui le Università sono oggi percepite, come uno spreco, spesa pubblica da tagliare perché improduttiva.
L’Università non è solo didattica o ricerca: è lo strumento decisivo per una nuova cultura della città. Penso in particolare a due progetti della “Mediterranea” di Reggio Calabria. La trasformazione del Teatro Siracusa in una sorta di Stabile d’innovazione regionale, capace di esperimenti innovativi per la fruizione dei parchi archeologici e letterari, dei beni culturali a partire dal paesaggio. E la Biennale di Arte e Architettura del Mediterraneo. Ho avuto modo di vedere, nei capannoni di Campo Calabro, i “palazzetti” in costruzione. Venti facciate doppie, della dimensione di sei metri per sei metri, progettati da grandi architetti, che dovranno sorgere presso la Rotonda Nervi (in un collegamento programmatico al moderno) sul Lungomare di Reggio. Che, con questa straordinaria immagine, può certo far ricordare di essere stato definito “il chilometro più bello del mondo”. Due imprese che devono superare difficoltà di bilancio, due anni fa imprevedibili, perché il ministro responsabile dell’Università ha operato tagli terribili. Se vogliamo che le università calabresi restino aperte, occorre che una grande spinta di solidarietà sostituisca quello che è venuto meno. Ma non basta che restino aperte: debbono seguitare a essere capaci di progetti innovativi e coraggiosi, come la Baam e la riapertura (come teatro della città dello Stretto, non con un’impropria gestione dell’Università – Università che dovrà però partecipare al nuovo organismo) del Teatro Siracusa di Reggio.

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