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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Il piano ‘ndrangheta in 10 punti varato dal Consiglio dei ministri a Reggio Calabria, giovedì scorso, è un evento che ha catalizzato l’attenzione non soltanto nella nostra regione. Non essendo irretito da un antiberlusconismo aprioristico non ho esitazioni a esprimere, per quanto possa valere, il mio consenso. Combattere la criminalità organizzata colpendo anzitutto i patrimoni da essa accumulati è efficace via da percorrere, posto che mantenere e accrescere la ricchezza è una finalità essenziale della ‘ndrangheta, assieme all’acquisizione di maggiore potere e prestigio, valori fortemente interscambiabili e cumulativi. La decisione di istituire nella città di Reggio la sede dell’Agenzia Nazionale per censire e gestire sequestri e confische dei patrimoni della criminalità organizzata, è estremamente significativa. Non può, inoltre, essere disconosciuto il forte valore simbolico che riveste l’aver tenuto il Consiglio dei ministri proprio a Reggio Calabria, dopo le ultime sfide che la ‘ndrangheta ha rivolto allo Stato sia con la bomba alla Procura, sia con la macchina piena di armi ed esplosivi lasciata sulla strada per l’aeroporto il giorno della visita del Capo dello Stato. Certo, la coincidenza della seduta reggina del Consiglio dei ministri con l’apertura di fatto della campagna elettorale per il Governo regionale che vede candidato alla carica di governatore il Sindaco diellino della città sullo Stretto fa pensare anche a una finalità propagandistica, com’è stato del resto sottolineato da più parti. Possono essere utili, forse, alcune altre considerazioni. La ‘ndrangheta non è un settore totalmente separato da tutti gli altri ambiti della vita associata, per cui è suscettibile di interventi esclusivamente a essa diretti. Lottare contro la ‘ndrangheta come dichiara solennemente di voler fare il Governo con il Consiglio dei ministri a Reggio comporta necessariamente un assoluto potenziamento delle forze dell’ordine, della magistratura costrette ad acquisire i risultati comunque importanti della loro azione in condizioni di carenza di elementi e di fondi e, per quanto riguarda la magistratura, di sostanziale delegittimazione della sua funzione. Data l’intersecazione strettissima della ‘ndrangheta con gli altri settori, se non si interviene contemporaneamente con adeguati provvedimenti sul lavoro, sull’economia così fragile e precaria della nostra regione, la ‘ndrangheta continuerà a esercitare una carica di aggregazione alla quale è sempre più difficile sottrarsi. Nell’incontro istituzionale a Reggio Calabria e nella presentazione e nei commenti che a esso si sono accompagnati, soprattutto in sedi mediatiche, si è più volte ripetuto quanto sia necessaria la diffusione di una cultura della legalità. Certo, la ‘ndrangheta va combattuta conoscendola nella concretezza sia delle sue articolazioni specifiche che in quelle della cultura, in senso antropologico, della nostra vita associata, che presenta valori notevolmente simili a quelli dell’organizzazione criminale. In questa prospettiva è stata istituito proprio a Reggio Calabria quel Museo della ‘ndrangheta sul quale mi sono più volte soffermato in questa rubrica e che ha avuto un primo essenziale sostegno dall’assessorato alle Politiche Sociali e Giovanili della Provincia di Reggio Calabria, retto da Attilio Tucci, e che sta per avere anche quello della Regione Calabria, per cui si potranno finalmente avviare quelle ricerche che sono parte integrante del progetto del Museo così come venne da noi ideato alcuni anni fa. Totalmente d’accordo dunque sulla necessità di conoscere la cultura dell’illegalità e di impegnarsi per una cultura della legalità. A questo punto, però si impongono alcune domande. I politici, e in particolare quanti hanno la responsabilità di governare il Paese, non costituiscono, forse, modelli di comportamento, non testimoniano con la loro vita pubblica valori che vengono assunti come esemplari? Tale funzione di modello non è sempre più evidente oggi che la personalizzazione della politica obbliga i leader a una sovraesposizione mediatica, d’altronde la loro inseguita con una sorta di ansia patologica? In una situazione siffatta, i nostri governanti – con l’assoluta priorità data all’esigenza di proteggere dalla giustizia il premier; con l’attacco sistematico a quanti la giustizia, per dovere costituzionale, amministrano nel nostro Paese; con una politica fiscale di fatto così generosa e tollerante con quanti hanno esportato all’estero i capitali per sollecitare il rientro di essi con tutte le garanzie di anonimato possibile – costituiscono una testimonianza valida per la cultura della legalità? Qualche dubbio al riguardo è, forse, legittimo avanzarlo.

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