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di Fabio Amendolara

Abitava in centro. In una palazzina che affaccia sulla strada del calvario. E’ lì che l’hanno prelevato gli agenti della Squadra mobile di Potenza. Antonino Iamonte detto Nino, 56 anni, era in soggiorno obbligato a Tito, alle porte di Potenza. Il suo è uno dei 67 nomi della mastodontica ordinanza di custodia cautelare emessa contro i componenti di una organizzazione criminale dedita al favoreggiamento e alla gestione dell’immigrazione clandestina.
L’operazione, denominata “Leone”, è stata condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e dal Servizio centrale operativo (Sco).
Gli arresti sono stati eseguiti a Reggio Calabria, Milano, Brescia, Crema, Macerata, Siena, Piacenza, Avellino e Tito. Nino Iamonte ha preso casa a Tito qualche mese fa, dopo aver ricevuto la misura di prevenzione del soggiorno obbligato, secondo una legge del 1956.
La norma prevede che mafiosi o sospetti mafiosi debbano essere sottoposti a soggiorno obbligato solo nella loro regione di residenza o, in casi eccezionali, in regioni confinanti.
Per Nino Iamonte le autorità hanno indicato la Basilicata.
Le condotte che gli contestano nell’inchiesta calabrese non c’entrano nulla con la Basilicata.
Chi l’ha conosciuto, però, conferma che, oltre a ricevere visite da persone con marcato accento calabrese e a ospitare di tanto in tanto la sua compagna, aveva fatto amicizia con persone del posto.
Soprattutto ragazzi. A Tito dicono che «era un tipo tranquillo». Qualche relazione quindi ce l’aveva. Ed è l’aspetto su cui si sono concentrati gli investigatori.

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