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di TONINO PERNA
Chi conosce Beppe Baldesarro sa che si tratta di un giornalista di qualità, serio professionista, apprezzato dai lettori quanto dai suoi colleghi. Nessuno si aspettava che potesse arrivargli una minaccia così esplicita dalla ‘ndrangheta locale. Così come è accaduto ad Antonino Monteleone, un giovane e brillante giornalista e blogger a cui hanno bruciato l’auto o a Michele Albanese, impegnato da tempo nel seguire le inchieste giudiziarie nella piana di Gioia Tauro. E’ un’escalation che è partita il 3 gennaio con la bomba alla sede della Procura generale ed è proseguita con minacce di morte al pm della Dda Giuseppe Lombardo, e poi la mano nera della ‘ndrangheta si è abbattuta sui giornalisti. Non era mai successo che in così poco tempo ci fosse un duplice attacco alla Magistratura ed alla stampa locale, con una particolare predilezione per i cronisti del “Quotidiano”. Nemmeno durante la guerra di ‘ndrangheta degli anni ’80 , che costò più di settecento morti ammazzati nell’hinterland Reggino , si è avuto un attacco di questo tipo. A differenza della mafia siciliana la ‘ndrangheta calabrese non aveva mai preso di mira la stampa.
Ci si può chiedere se la ragione stia nel modo diverso di fare il giornalismo oggi , sull’esistenza di più organi di stampa regionali rispetto agli anni ’80, su come sia cambiato il rapporto tra la stampa ed i poteri politico-criminali. Ma un fatto è certo: si è aperta una nuova, inquietante, fase in cui sembra essere precipitata la città di Reggio e la sua provincia. Reggio, che pure ha conosciuto momenti di rinascita in questi ultimi venti anni, soprattutto rispetto alla consorella Messina caduta in uno stato di coma profondo, è entrata oggi in una fase estremamente delicata e pericolosa.
La crisi economica sta falcidiando quello che restava del suo tessuto produttivo, decine di migliaia (sic!) di esercizi commerciali sono sull’orlo del fallimento, soggetti ad un attacco concentrico – stretta creditizia, caduta della domanda e taglieggiamenti vari- e persino una fabbrica di prestigio e alta produttività come le Omeca rischia di entrare nel ciclone infernale della crisi globale. Anche l’Università Mediterranea, malgrado i progressi compiuti, appare soprattutto una fabbrica di disoccupati, come testimoniano gli ultimi dati dell’Alma Laurea che mostrano come, a tre anni dalla laurea, meno di un terzo abbia trovato un lavoro “vero” . Ed i giovani , laureati e non, non trovano più lo sfogo nel Nord Italia colpito da una crisi industriale gravissima , anzi ritornano. Come gli immigrati che espulsi dalle fabbriche del Nord cercavano a Rosarno di sopravvivere come braccianti ed abbiamo visto come è finita. Insomma, siamo finiti in una trappola per topi , dove la sopravvivenza è legata alla lotta di tutti contro tutti. Ed è in questo contesto che la borghesia criminale ci sguazza , rafforza il suo potere politico ed economico ed è portata ad eliminare quelle forze che si oppongono al suo dominio assoluto. Stiamo scivolando verso una situazione di tipo moscovita, della Russia di Putin, dove il potere politico ed economico è concentrato in poche mani e chi pensa di usufruire della libertà di stampa viene barbaramente ammazzato. E Reggio è solo la punta di iceberg , il soffio di un vulcano in ebollizione dove sta seduto il nostro paese, dove il modello Putin , grande amico del nostro premier, sta emergendo con forza. Un modello che trasforma profondamente la stessa democrazia riducendola al rito inutile di elezioni scontate, a pura farsa mediatica. Per fortuna c’è ancora una parte delle istituzioni e della società che resiste. Anche a Reggio, anche in questa città di frontiera che tante volte ci ha stupito, nel bene e nel male, per la sua capacità di reagire. La marea di attestati di solidarietà che ha ricevuto Peppe Baldessarro , ed anche gli altri giornalisti, fa sperare che ci sia una presa di coscienza sulla gravità della situazione. Purtroppo, l’area grigia , l’area dell’indifferenza è ancora maggioritaria , mentre occorrerebbe creare un “frente amplio” che spacchi le aree di collusione, che ponga in chiaro chi sta da una parte , del potere politico-mafioso, e chi dall’altra. Come sarebbe altrettanto importante costruire “un’altreconomia” fondata sui principi del fair trade, della finanza eticamente orientata, del rapporto stretto e fiduciario tra produttori e consumatori. Sappiamo bene che se non costruiamo socialmente un’altreconomia qualunque ricambio di ceto politico sarà insufficiente. Ma, decisiva, per qualunque superamento di questo sistema di potere, è la libertà di espressione. Questa è la risorsa più preziosa, che un tempo era il cavallo di battaglia dei partiti della destra liberale ed oggi è diventato il punto nodale della resistenza del popolo democratico e di sinistra. Reggio da “città della gioia”, come l’aveva definita il sindaco Scopelliti – generalizzando il fascino della movida sul lungomare – sta diventando città dell’angoscia e della disperazione. La gran parte dei reggini vorrebbe che fosse semplicemente una città vivibile, libera dai poteri criminali, ricca di cultura e di occasioni di lavoro qualificato per i giovani. Che diventasse la punta di diamante in questa regione: nel campo dell’arte, della ricerca scientifica, dell’accoglienza dello straniero. Sogno o possibile realtà? Sta ai cittadini deciderlo.

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