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di FRANCO BARTUCCI
In questi giorni, a seguito delle pesanti accuse che hanno coinvolto alcuni personaggi della Protezione civile, con in primo piano il sottosegretario Bertolaso, ritornano di moda alcune parole chiave e strategiche di lotta alla corruzione, quali legalità, trasparenza e buon governo. Si parla di nuovi provvedimenti legislativi mirati ad accrescere le pene e questo per dire che “il governo c’è e fa sentire il suo peso” nel condannare tutti quei comportamenti immorali e poco civili vigenti nella società italiana, in ambito politico, economico, lavorativo, per non dire nella stessa società civile, lì dove sono assenti il comune sentire e vivere, quei valori morali ed etici, forza e linfa vitale per una comunità e un popolo maturo, consapevole, laborioso e solidale. Eppure questa parola “corruzione” si può dire che nel nostro paese sia di casa, dopo la brutta esperienza di tangentopoli che ha portato, agli inizi degli anni novanta, ad adottare quale strumento di lotta un’altra parola chiave e miracolosa, “trasparenza”, legandola al diritto d’informazione al cittadino, sia da parte dell’istituzione pubblica che del mondo dell’impresa, portando così a galla due formule e indirizzi ben definiti: informazione e comunicazione istituzionale per le istituzioni pubbliche, comunicazione d’impresa per tutto il settore privato del mondo del lavoro. Fu proprio l’attuale presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, che nel 1994, per la prima volta in Italia, dopo la legge 241/90 e il decreto legge 29/93, che affrontavano il problema della trasparenza e del diritto d’informazione al cittadino, emanava un disegno di legge sulla informazione e comunicazione istituzionale, quale strumento di garanzia della “trasparenza” della Pubblica Amministrazione prevedendo al suo interno l’istituzione di un ufficio stampa, lo sportello della comunicazione attraverso l’utilizzo dei mezzi informatici e la figura del portavoce per la massima autorità politica dell’ente o istituzione pubblica. Un progetto ambizioso e innovativo per il nostro Paese ch’ebbe un “sostenitore fervente” nella figura del ministro Franco Frattini, fino agli inizi degli anni duemila, quando il tutto si concretizzò con l’approvazione, un po’ mediata, della legge 150/2000, ben conosciuta quale testo legislativo in materia di informazione e comunicazione istituzionale. Ci sono voluti sei anni – qualcosa dovrebbe ricordarsi il nostro sottosegretario Marco Minniti – per arrivare ad approvare un testo, che definirei rivoluzionario per una reale riforma della pubblica amministrazione, con la mediazione di tutte le componenti politiche di quel tempo, ma negativo per altri aspetti in quanto non prevedeva l’obbligatorietà per le pubbliche amministrazioni ad applicare la legge con l’attivazione dell’ufficio stampa o della figura del portavoce, legando il tutto alla disponibilità finanziaria dell’ente. Poi arriva il regolamento con il dpr 21 settembre 2001, n. 422 e la direttiva del dipartimento della Funzione Pubblica 7 febbraio 2002 del ministro Franco Frattini senza però stabilire le regole e il profilo professionale, come il contratto di lavoro, per i giornalisti o dipendenti impegnati nella gestione dell’ufficio stampa delle varie istituzioni pubbliche. Una situazione imbarazzante sia per l’istituzione che per il dipendente pubblico, giornalista dell’ufficio stampa (garante della trasparenza e titolare dell’informazione), che deve garantire la massima correttezza nel dare e fare informazione istituzionale nel rispetto dei codici etici del giornalista e del dipendente pubblico. Una situazione imbarazzante pure per lo Stato che, a distanza di dieci anni, anche per la disattenzione e disinteresse delle organizzazioni sindacali del Pubblico Impiego, raccoglie al suo interno una sacca di lavoro “in nero”, pensando allo stato economico e giuridico non garantito in base alla reale funzione svolta dai comunicatori istituzionali; nonché per il fatto stesso che non si è riusciti, mediante le varie azioni di riforma adottate dai vari governi, a incidere realmente sui percorsi della trasparenza della Pubblica Amministrazione in ogni senso e direzione e sulla valorizzazione dell’informazione istituzionale. Oggi arriva il presidente Montezemolo e rivendica a sé la denuncia nei confronti del governo e del mondo della politica di non aver fatto nulla per garantire al Paese leggi idonee a combattere la corruzione con il rispetto della legalità. Le disavventure raccontate sulla legge 150/2000 in materia di informazione e comunicazione istituzionale, considerata all’epoca lo strumento garante della trasparenza, sono una testimonianza visiva della scarsa volontà dei vari soggetti politici e istituzionali di garantire al nostro paese un “buon governo del territorio”, rispettoso della legalità e di quei valori umani che sono al centro della convivenza civile e democratica. Sulla base dell’esperienza e della conoscenza del sistema sociale, politico ed economico del nostro Paese è il caso di focalizzare tre concetti: in materia di trasparenza abbiamo tenuto congelato il paese da circa un ventennio. Al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è il caso di consigliare un ritorno alle radici piantate in materia di informazione e comunicazione istituzionale nel 1994 per riscoprire le giuste motivazioni e obiettivi di rinnovamento del nostro Paese. Al ministro Renato Brunetta, apprezzato stimolatore dell’efficienza, dell’efficacia e della trasparenza della Pubblica Amministrazione, è opportuno segnalare che da ben quattro anni è ferma all’Aran una trattativa utile a dare spazio al profilo professionale dei dipendenti pubblici impegnati nelle attività dell’ufficio stampa e conseguentemente al primo contratto di lavoro; che sia più attento nel concedere spazio a forme di buona amministrazione, tutelando i lavoratori nel contesto lavorativo come persone, quali entità umane e professionali. In parole povere un lavoro frutto di impegno, dedizione, partecipazione, condivisione, dialogo, il tutto vissuto con spirito di amore. Non è il caso di parlarne più a fondo? È questa la sfida che ci attende per godere una migliore condizione di vita nel nostro Paese, alla luce degli ultimi eventi legati a presunti atti di corruzione.

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