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dall’inviato
FABIO AMENDOLARA

SALERNO – Quella sera, in via Livorno, nel quartiere residenziale di Parco Aurora a Potenza, oltre al nipote di Pinuccio Gianfredi e alla sua fidanzata c’era un’altra persona: una donna. Che avrebbe assistito al delitto. E che ne avrebbe parlato con don Marcello Cozzi, il sacerdote di Libera molto attivo sul fronte della legalità. Per individuare la donna la procura antimafia di Salerno, qualche mese fa, ha ordinato alla polizia giudiziaria di intercettare il telefono cellulare del prete.
Il giudice per le indagini preliminari, Attilio Franco Orio, che ha esaminato gli atti inviati dai magistrati della procura ritiene che ci sia «un nuovo slancio investigativo» nell’inchiesta sull’omicidio dei coniugi Gianfredi.
Dopo le rivelazioni dell’ex boss dei basilischi Gino Cosentino detto “Faccia d’angelo” l’indagine coordinata dai pubblici ministeri Rosa Volpe, Valleverdina Cassaniello e Vincenzo Montemurro si arricchisce di nuovi particolari.
Come quelli che don Marcello avrebbe appreso da Carmine Guarino, l’imprenditore che aveva assicurato una copertura lavorativa fittizia a Pinuccio Gianfredi. Nel documento che il Quotidiano ha potuto consultare in esclusiva si legge: «Le intercettazioni ambientali nella sala colloqui del carcere in cui è detenuto Guarino potrebbero rivelarsi molto utili, stante il canale comunicativo e confidenziale instaurato con il sacerdote don Marcello Cozzi, che proprio di recente aveva appreso da Guarino particolari nuovi e significativi sulle due più ambigue, delicate, inquietanti e irrisolte indagini delittuose del territorio potentino». Ma, continuano le valutazioni dell’investigatore, «potrebbero anche rivelarsi utili in caso di commenti su quanto Guarino sa in merito ai collegamenti di Gianfredi con la criminalità organizzata potentina».
E’ negli ambienti della mala, infatti, che gli investigatori stanno indagando.
I quattro sospettati, per il momento, sono il boss Antonio Cossidente, che per la procura antimafia di Salerno è l’organizzatore dell’omicidio, il suo ex braccio destro Franco Rufrano, il trafficante di coca Carmine Campanella, e Leonardo Numida Stolfi, un appassionato di caccia e di armi risultato positivo allo stub la sera del delitto.
«In particolare – osserva il giudice Orio – le modalità operative dell’efferato crimine, le armi utilizzate, il coinvolgimento della vittima negli ambienti della criminalità organizzata, le molteplici fonti informative sui collegamenti dei personaggi coinvolti con apparati criminali ben radicati sul territorio e contrapposti con altri in ascesa, le strategie di copertura e la molteplicità degli interessi coinvolti, costituiscono aspetti oggettivamente illustrativi della sussistenza di sufficienti indizi di reato in ordine al delitto di criminalità organizzata per il quale si procede». Secondo il gip «un muro di omertà circonda tutta la vicenda».
Testimoni reticenti, dichiaranti che ritrattano e «conclamate opere di depistaggio» confermerebbero «la peculiarità dell’ambiente delinquenziale in cui è maturata la scelta» di eliminare Pinuccio Gianfredi.
Secondo il giudice «alcuni dati storici erano convergenti sul numero di persone che avrebbero partecipato all’agguato, sulla loro presenza a piedi sul luogo del delitto, sulla loro descrizione somatica e su alcuni particolari del loro abbigliamento».
Altri dati tecnici, inoltre, «si sono rivelati – scrive il gip Orio – incontestabili, come la presenza di inequivoche tracce di sparo sui tamponi da stub effettuati nelle ore immediatamente successive al fatto su alcuni pregiudicati sospettati, e come anche la presenza di tracce biologiche di riferimento per gli utilizzatori di un’ato abbandonata di provenienza furtiva ritrovata due giorni dopo il delitto in un’area contigua alla zona che fu teatro del delitto, probabilmente impiegata dagli autori del duplice omicidio per allontanarsene».
I particolari più importanti ora potrebbe fornirli la nuova testimone.
f.amendolara@luedi.it

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