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di ANNA PASCUZZO*
Quando ero bambina mi piaceva ascoltare mia nonna, adoravo toccarle le mani mentre parlava. Erano mani delicate ma piene di pieghe e nonna mi diceva che ogni piega conteneva una storia, poi mi metteva sulle sue ginocchia e cominciava a narrare. Ricordo come fosse adesso il piacere che provavo nell’ascoltare i suoi racconti, la sua vita attraverso le parole, attraverso le pieghe delle sue mani. Poi le sfioravo il viso e toccavo le sue rughe. Nonna mi diceva: «La faccia si chiama faccia perché è fatta, è fatta di tempi, di spazi, di fatiche, di amori vissuti o amori sognati, di lacrime versate e di sorrisi donati, di gioie immense, di figli cresciuti, di rancori sepolti e di percorsi attraversati». E io quella faccia “fatta” la sfioravo con amore e la guardavo con fierezza! Crescendo ho sempre guardato in faccia le donne e gli uomini che ho incontrato e che incontro, ho provato a scorgere quelle “pieghe” delle facce fatte di cui parlava mia nonna. Esse rappresentano la “memoria” nella vita di una persona, cancellare quelle pieghe significa eliminare l’insieme delle testimonianze date, dei ricordi, dell’esperienza fatta. Mi guardo intorno e spesso mi capita di vedere una rappresentazione distorta, assai grottesca delle donne, specie alla Tv, sulle copertine dei giornali, ma anche per la strada. Quotidianamente ci vengono comunicate immagini di donne la cui identità è cancellata. Non donne “normali” con facce “fatte” e attraversate da linee di verità, da espressioni reali di gioia o dolore, ma volti trasfigurati da chimiche iniezioni, stravolti da espressioni inumane, deformati da esigenze di “copione”. E a scrivere il “copione ” è sempre lui, il “denaro”. Restare giovani conviene. Se invecchi sei finita! Non conti più nulla! Nel vuoto della mente, nel “non-luogo” della televisione, lente d’ingrandimento della società, le donne non possono invecchiare, le loro facce “fatte” si devono “rifare”, ma non con segni di gioia, d’espressione, di esperienze e testimonianze, ma con l’uniformazione che rende le donne conformi a un unico “modello” cancellando l’identità di ciascuna, sradicando da ciascuna la propria “irripetibilità”. Donne “in serie” dunque davanti agli occhi di chi guarda e chi fra loro rifiuta di “livellarsi” è fuori dal giro. Ma che società è quella nella quale le donne a cinquant’anni devono, non scelgono ma sono obbligate a dimostrare vent’anni di meno? Che società è quella nella quale alle donne non è concesso d’invecchiare? E’ una società senza memoria, senza ricordi, senza speranza. Una società del genere è destinata a non lasciare traccia di sé. E se le donne non possono invecchiare, tutti noi saremo privati di un enorme privilegio, quel beneficio che si ottiene dall’esperienza, da quelle pieghe che sono frutto di lotte combattute, vinte o perse ma “fatte” e dunque da rivendicare! Le donne non possono e non devono più accettare che i loro volti, i loro corpi siano “usati e abusati” per denaro e profitto! Deve partire dalle donne l’intolleranza e l’indignazione verso chi quotidianamente utilizza espliciti o allusivi riferimenti sessisti nei luoghi della comunicazione, della televisione, della pubblicità. Non possiamo pensare che l’argomento non ci riguardi, che tanto “quella lo fa per soldi”, non dobbiamo più restare in silenzio davanti a chi ci vuole togliere persino il diritto di “tramontare” come tramonta il Sole, esso irradia anche al tramonto la sua luce e incanta lo sguardo di chi l’ammira!

*Commissione Pari Opportunità Catanzaro

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