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Tre settimane soltanto, ventuno giorni e poi le urne, le feste dei vincitori e gli sproloqui inopportuni dei perdenti, ma, più che elettricità, nella Calabria elettorale si respira soltanto una profonda, immensa noia, si sbadiglia a destra, si dorme a sinistra, si sonnecchia nel terzo polo, in una ninna nanna fatta di strofe banali, concetti e pensieri triti e ritriti, battaglie già perse e promesse fantascientifiche imbottite di “rilanci”, “scommesse”, “rivoluzioni” e quant’altro la retorica obamiana del “yes, we can” abbia potuto insegnare ai nostri Peppe, Pippo ed Agazio, con una sola, sostanziale differenza, però: i candidati alla presidenza di questa nostra regione allo sfascio riprendono slogan di cinque anni fa, di dieci anni fa, sempre inneggiando al cambiamento che verrà, o agli ultimi treni che passeranno, ma la realtà è che di programmi, di progetti seri, di carte (almeno all’apparenza) vincenti, non vi è nemmeno l’ombra, in giro non si vede neanche un contratto con i calabresi da stilare durante qualche comparsata televisiva. Fra un convegno ed un’intervista, fra una festa ed un dibattito, eccoli là, i soliti venditori di fumo, che straparlano, al solito, e vicendevolmente si accusano, come sempre, un film visto e rivisto dal sottoscritto sin dalle soglie del terzo millennio, quando Chiaravalloti preparava il suo malgoverno ed io ero ancora uno studente delle medie. Altri tempi, altri credo, altri compiti a casa, ma la noia, sì, è sempre quella, per le stesse facce, per gli stessi nomi, forse sono cambiati i simboli, le etichette, tutto è più colorato e sgargiante, ma non la sostanza, che è sempre quella del partito unico del riciclo, dei premiati fallimenti, della clientela, dell’amico degli amici. Quanti di noi ricordano le due serate di “Pane e Politica” in cui Riccardo Iacona ci fece vergognare di essere calabresi (ed, in particolar modo, catanzaresi), di essere partecipi di un sistema politico ed elettorale osceno, immondo, corrotto? Nessuno, certo, ma oggi si riempiono pagine su pagine con propositi di riscossa in tal senso, con una questione morale che sorvola sugli intrallazzi dei vari consiglieri ed assessori, e che serve, con molta probabilità, a deviare l’attenzione dalla mancanza di proposte concrete, fattibili, incisive. E quanti di noi ricordano le nove colonne del Corriere della Sera in cui Loiero chiedeva scusa ai turisti incappati nel mare sporco, nei depuratori rotti e nelle vacanze peggiori della loro esistenza? Nessuno. Anche perché l’anno dopo il problema si sarebbe ripresentato, puntualissimo, un altro successo ed un altro strazio della sinistrata giunta targata Agazio. Già, Loiero, il battagliero, l’uomo dei numeri, del libro dei fatti, il garibaldino che unisce la Calabria, contrariamente a quel brutto borbonico retrograda reggino di Scopelliti. Certo, forse il presidente dimentica la sua prima squadra di governo, decisamente Cosenzacentrica, ma queste sono quisquilie, perlopiù bazzecole, dopo anni d’amministrazione contano i risultati, come quelli conseguiti nell’ambito della programmazione europea. Un successo, vero, adesso l’impegno di spesa per i Por è enorme, ma, certo, sarebbe bene sottolineare che “impegno di spesa” è diverso da “spesa”, o che la spesa può essere assolutamente improduttiva (cosa che centinaia di capannoni tanto nuovi quanto abbandonati ci rammentano), ma queste sono sottigliezze, nuovi prenditori apriranno con soldi di Bruxelles nuove fabbrichette che presto chiuderanno, e così via, perché Loiero dimentica i dati più importanti, quelli incontrovertibili ed allo stesso tempo innominabili che dipingono la Calabria come ultima regione d’Europa, e non per fattori storici ed antropologici, come sostiene il buon Agazio, ma per manifeste incapacità politiche, non solo sue, ovviamente, ma di tutti quelli che da centocinquant’anni a questa parte lo hanno preceduto. Inutile continuare ad elencare le lotte interne al Partito Democratico, la barzelletta delle primarie e gli insuccessi in materia di infrastrutture, di sanità, di ambiente, perché un presidente che ritiene le lodi ed i cortometraggi di un regista tedesco come miglior risultato del suo governo, insomma, si commenta abbastanza da sé. E Peppe, il brutto borbonico reggino di cui sopra? È giovane, aitante, sorridente, non ha la faccia di un untuoso democristiano o di un grigio socialista, è il sindaco più amato d’Italia, ha ottenuto per Reggio l’area metropolitana, è senz’altro benvisto dal governo nazionale, e, dulcis in fundo, in pochi si ricordano della sua esperienza fallimentare nell’altrettanto disastrosa giunta Chiaravalloti. Ed allora? Non perché è stato parte di una delle pagine politiche, economiche e sociali più brutte della storia calabrese, non perché la sua parte politica non ha mai fatto opposizione alle scelte scriteriate del loierismo, non per la mancanza assoluta di programmi, non per l’imbastire la sua campagna elettorale in pieno stile berlusconiano, con la demonizzazione dell’avversario sinistrorso: il problema di Scopelliti, nell’agone elettorale, è diventato incredibilmente, paradossalmente, assurdamente, ridicolmente la città Reggio Calabria, lo si accusa e lo si controbatte usando la carta d’identità, il certificato di nascita, l’attestato di residenza. A Catanzaro, ad esempio, secondo un consolidato stile molto in voga fra gli urlatori politici del capoluogo, già si grida allo scippo e si fanno gli scongiuri affinché non vengano spostate le realtà più improduttive dell’economia regionale, gli uffici pubblici, dimenticando forse che cinque anni fa entrambe i candidati alla presidenza fossero nati sui tre colli: personalmente, non ho la minima idea di come un territorio massacrato, quale quello calabrese, possa ancora essere in preda a sterili campanilismi o a lotte di quartiere. Infine, il terzo non dato che finalmente si dà, l’alternativa che oppone promesse vaghe alle vaghe promesse, la “ricetta Callipo” per la “rivoluzione”, belle favole che abbiamo già ascoltato e di cui abbiamo provato, tristemente, sulla nostra pelle, la morale del niente: certo, rispetto ai veterani Peppe ed Agazio, Pippo risulta essere molto più credibile, non avendo mai sgovernato, né governato, la Calabria, è effettivamente il nuovo, ma la preoccupazione che alle parole non corrispondano i fatti è molto più che fondata, visti i precedenti (chi non c’ha promesso una metamorfosi, nell’ultimo secolo?), così come il terrore che le stanze dei bottoni lo facciano arruolare giocoforza in quel partito unico calabrese da lui tanto avversato, favorendo, magari, solo e soltanto l’imprenditoria, a scapito dei cittadini. Ma poi, senza pacchetti elettorali già preconfezionati, quante speranze di vincere ha? Poche, forse, ma buone, direbbe qualcuno. Comunque sia, comunque vadano queste elezioni, vista la situazione complessiva, visto il sempiterno ritorno al passato, visti i furbetti ed i politicanti, ancora una volta non trovo un valido motivo per ritornare, per scommettere sul mio futuro in questa terra. Io come tanti altri, semplici studenti universitari, da sempre con la valigia in mano. No, non ho paura che vinca qualcuno in particolare. Ho timore che, per l’ennesima volta, perda la Calabria.

Fabrizio Ansani

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