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MILANO – A Raffaele Ciriello, reporter ucciso il 13 marzo 2002 a Ramallah da una raffica di mitra partita da un tank israeliano, è stato riconosciuto, con sentenza del Tribunale civile di Milano, lo status di «vittima del terrorismo internazionale», con i conseguenti benefici di legge in favore della vedova e della figlia, che aveva 18 mesi al momento della morte del padre.
Il riconoscimento, che costituisce – a quanto si è appreso – un’assoluta novità nell’ambito delle attività dei giornalisti free lance che operano in aree di guerra, è arrivato nella ricorrenza dell’ottavo anniversario della morte di Ciriello e a conclusione di una lunga battaglia giudiziaria portata avanti dalla vedova, assistita dall’avvocato Fausto Maniaci dopo il rigetto di ogni sua richiesta da parte degli organi competenti.
Infatti, nè lo Stato di Israele aveva mai ufficialmente riconosciuto la propria responsabilità, nè lo Stato italiano aveva riconosciuto di poter elargire le provvidenze previste dalla legge per le vittime di mafia e terrorismo, e tanto meno per quelle del terrorismo internazionale.
Secondo il ministero dell’Interno, che si è costituito nel giudizio, mancavano sia la riconducibilità dell’evento ad una causale propriamente terroristica, sia la possibilità di invocare i benefici previsti dalla Legge 206 del 2004, in quanto ritenuta applicabile solo per eventi risalenti al massimo al 2003.
A questa limitazione, si è posto rimedio con la Finanziaria 2008 (legge 244/2007), che ha esteso i benefici anche agli eventi verificatisi all’estero e risalenti ad epoca anteriore.
Di conseguenza, la sentenza ora emessa dalla decima sezione del Tribunale di Milano, ha potuto tenere conto sia della nuova legge intervenuta durante la causa, sia dell’interpretazione evolutiva da parte dai giudici del primo processo milanese sul terrorismo islamico, la cui sentenza era stata frattanto confermata in Cassazione, i quali hanno chiarito che la «matrice terroristica» di un evento sia configurabile non soltanto di fronte a veri e propri attentati terroristici, ma anche quando le condotte che hanno attinto soggetti incolpevoli siano state comunque compiute nel contesto di conflitti armati di contrasto al terrorismo».

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