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di Alfonso Pecoraro
Un detto popolare dice: “non ci salva nemmeno la penicillina”. Facciamo allora il tifo per una sentenza, quella di giovedì prossimo, nella quale si spera che almeno il Tnas comprenda il distacco assoluto che c’è tra Postiglione e la comunità degli sportivi potentini e la città. Queste ultime due sono, indubbiamente, quelle che pagheranno a vita, i riflessi dei tribunali sportivi.
Quelle azioni sono solo il frutto di una persona che, per sfortuna delle vittime, era il presidente del Potenza e che ha agito esclusivamente per interessi propri, tanto da pagare sulla sua pelle le conseguenze della sua condotta e le pene della magistratura. Ma la sensazione è che “non ci salva nemmeno la penicillina”.
Proviamo a fare un discorso più generico e che tenta di analizzare con distacco, per quanto difficile, il destino verso il quale sta marciando il club, provando a metterci nella testa di coloro ai quali importa poco o niente che il Potenza resti in vita o no.
Le motivazioni che hanno spinto la Corte Federale ad accettare in toto la richiesta di Palazzi, infliggendo il massimo della pena al club, sono assai circostanziate e partono da una certezza: “La concatenazione dei fatti materiali, antecedentemente e susseguentemente acquisiti al processo sportivo, orienta la interpretazione del fine delle azioni poste in essere dal Postiglione, facendone risaltare l’univoca riferibilità al risultato illecito e non offrendo alcuno spazio ad interpretazioni alternative o incompatibili”. Ed in tal senso ci sono due organi di indagine che hanno spiattellato in faccia a tutti la tremenda verità.
Apriamo un inciso: di verità dobbiamo parlare perché, né in un senso né nell’altro, si è dato per assunto il principio della presunzione di innocenza, né tantomeno ha pesato “il ragionevole dubbio” prima di arrivare a una sentenza di condanna.
Dal lato dell’inchiesta sportiva pesano gli sms, la Berretti, la formazione alterata, i soldi ai calciatori. Già in quei giorni scrivevamo che le richieste di Palazzi erano il frutto di un discorso logico, indiziario, ipotetico che ricostruiva tutto quanto accaduto nei giorni precedenti il match con la Salernitana, ma anche in quelli successivi. Ma di prove concrete nessuna. Tanto che poi la condanna fu commisurata alla sola slealtà sportiva, ma soprattutto legata alla impossibilità che “la sussistenza dell’illecito sportivo possa essere ritenuta provata oltre ogni ragionevole dubbio”. Un po’ come dire che Palazzi si trovò a girare intorno a un muro di cinta a caccia di una porta da sfondare.
Dal lato dell’inchiesta ordinaria, la chiave per aprirla l’hanno fornita i “noviter reperta”, gli elementi nuovi: ossia, l’autoproduzione degli sms per fornirsi un alibi, le dichiarazioni di Lopiano sulla richiesta di impiegare la Berretti, la descrizione dell’incontro a Foggia fornita da De Angelis, una scommessa di Postiglione sul “2” di Potenza testimoniata da Lopiano, ma anche l’interrogatorio di Evangelisti e i motivi del no del Riesame alla sua richiesta di scarcerazione. Tutto frutto di un’attività di inchiesta che Palazzi non poteva effettuare. Una serie di produzioni investigative che cancellano quel “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Fa male dirlo, ma logicamente “non ci salva nemmeno la penicillina”. E la constatazione è ancora più pesante se il discorso si allarga a tutti i passaggi più significativi della gestione-Postiglione.
A cominciare da Potenza-Sorrento e ai dubbi che s’è portata dietro quella partita persa a favore dei costieri che vinsero il campionato, per passare ai rapporti di amore-odio-amore con Arleo, alle scelte tecniche, alle denunce nemmeno tanto velate dei calciatori sui modi di gestione del presidente, specie al momento della firma delle “liberatorie”, la serie innumerevole di squalifiche, e poi ancora quella rissa in mezzo al campo con il portiere della Juve Stabia (Soviero – la Procura ordinaria intercetta il tentativo di corruzione nei confronti del giocatore), ed ancora le reazioni verso la tifoseria che lo contestava, o anche una tribuna stampa chiusa per protesta verso chi ne criticava l’azione, senza sottacere della vicenda-Marcianise, o di quella della gara col Cosenza, dopo la quale vennero fuori i famosi contratti di immagine per i calciatori Cardinale e Lucenti (già messi in pratica per giustificare i pagamenti post-Salernitana al calciatore Cammarota).
In questo contesto chissenefrega di una promozione in C1 e della società con le casse sane. Fosse fallito il Potenza, come nel 1994, si sarebbe salvata almeno la dignità e la deturpazione di un’immagine.
In questo quadro a tinte nere, coloro ai quali non interessa nulla della sorte del Potenza effettuano un pari e dispari partendo da un punto iniziale fondamentale: il Potenza è ancora di Postiglione. E’ vero, quote sequestrate, proprietà a Minici, ma mai in tempi non sospetti, il patron ha detto “lascio”. Sempre e solo “fatemi un’offerta”. Che non è mai arrivata.
Tenendo ben distinti i ruoli e le magnanime intenzioni mostrate in questi giorni, anche Galigani e Arcieri sono espressione di quella proprietà. Anche se santamente e giustificatamene hanno dichiarato il loro totale distacco: la nomina resta. E per l’osservatore esterno, che deve giudicare un contesto globale, pesa anche questo.
Oltretutto, ed è l’ultima osservazione, la condotta di Postiglione potrebbe aver svelato “strategie operative” del mondo del calcio in genere.
“Se accade a Potenza potrebbe accadere anche altrove”, si è detto in giro, per cui rischia di essere seriamente minato il campo da una serie di dubbi che metterebbero pressione a quanti, al contrario, si sforzano di far credere che quello del calcio sia un modo dorato, lindo e pinto.
Se, con questa prospettiva, il Tnas fa passare il principio del “puniamo uno per educarne molti”: “non ci salva nemmeno la penicillina”.

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