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di SARA LORUSSO
POTENZA – Non si tratta di chiedere assessorati, «non banalizziamo, per carità». Le idee ancora sono variegate e non c’è unità di intenti sul percorso da mettere in piedi. Sul da farsi, dopo «il segnale di inciviltà» consegnato dalle urne, con un consiglio regionale composto di soli uomini, resistono ancora punti di vista diversi, come le posizioni di partenza. Ma la spontaneità del movimento (bi-partisan) “Metà di tutto” nato sull’onda della delusione è percepibile. Del resto «ci siamo organizzate con poco, auto-convocandoci» alla conferenza stampa che donne espressione dei partiti in corsa, delle associazioni o del mondo sindacale hanno tenuto ieri a Potenza. In regione l’elettorato femminile supera la metà dei votanti, «eppure non saremo rappresentante nel consiglio regionale – esordisce Antonietta Macchia, che del movimento è la portavoce – Situazione causata da un misto di arroganza del sistema e da norme che non facilitano la rappresentanza. Eppure sta scritto nella Costituzione che le Regioni devono rimuovere gli ostacoli e dare attuazione alla vera parità». In attesa di trovare, nel dibattito interno anche piuttosto acceso, la modalità da seguire, su un punto concordano più o meno tutte: in attesa che la cultura cambi, è il caso – spiegano – che almeno le normative diventino strumento utile alla rappresentanza reale. Che si tratti della doppia preferenza sullo stile Campania, che sia quota riservata in assemblea è dettaglio da definire a posteriori. «Ma è necessario partire subito con la modifica della legge elettorale e dello statuto lucano», dicono. E invocano segnali concreti, anche a partire dalla prossima composizione dell’esecutivo De Filippo, «ma non sia certo tutto lì». Chiedono di essere votate «perché capaci, non perché donne – fa eco Giovanna Cuoco, candidata con l’Api – Il nostro non è un ruolo acritico, vorremmo essere messe in condizione di usare i nostri talenti all’interno del governo della collettività».
In generale, «è limitante pensare di dover essere votata solo perchè sono donna, ma lo è anche pensare che la mia competenza debba essere relegata a temi come la famiglia», dettaglia il clima delle varie campagne elettorali Lucia Pennesi (Sel).
Ma, allora, vista la quantità dell’elettorato di genere, perché poi gran parte delle donne vota uomini? E qui il parere cambia. «Il problema del perchè le donne non ci votano – dice Magda Cornacchione (Api), anche lei esclusa eccellente dal recente risultato elettorale – non è un problema di credibilità, ma del potere maschile, di quel sistema di potere che lega l’elettorato nel momento della scelta». Se poi ci si aggiunge che «le donne sono troppo spesso ipercritiche nei confronti delle donne e ipocritiche nei confronti degli uomini», il quadro si complica. Candidate cercate perchè, ironizzano, «oggi una lista senza donne non è più presentabile, ma poi il supporto nella corsa è irrisorio».
Ma quanto conta il territorio? Secondo molte, non poco. Tra gli esempi negativi anche il comune di Potenza – come farà notare Filli Camardese, avvocato e impegnata in area centrodestra – che in giunta non ha espressione del genere, pur avendo nello statuto la promozione della parità. Analoga frequenza in molti ordini professionali. «Da noi, alle provinciali del 2004, provammo – ricorda Adeltina Salierno (Pd) – a presentare una lista di sole donne che prese pochi, pochissimi voti». Secondo l’idea che, aggiunge Cuoco, tra la «stima e il consenso c’è un abisso».
Ma se il sistema è bloccato, la prima risposta non può che venire dal potere maschile. Il punto, però, è partire da qualche parte.
Quello di ieri resta comunque «un punto di incontro e partenza», sorride Cinzia Marroccoli, presidente di Telefono Donna. Così tra quante «dobbiamo imparare a fare politica come gli uomini» e quante «non possiamo e non dobbiamo, perché non è nel nostro essere, fare politica al maschile», c’è almeno un punto fermo. Inseguire la buona politica, fatta «di metodi più vicini al nostro modo di operare – aggiunge Liliana Guarino, candidata Pd e consigliera di parità del Potentino – C’è bisogno di lavorare sulla legge elettorale, ma non per dare una garanzia alle donne, piuttosto per promuovere i soggetti».
Questo è solo l’inizio di un percorso con cui il movimento assicura che, pur nella dialettica interna, non resterà a guardare. L’idea è quella di vigilare sull’operato della prossima legislatura, sul governo e sulle politiche per il territorio in generale. Una sorta di “governo ombra”.

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