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di MARIO CAMPANELLA
Per chi crede nella democrazia liberale il diritto al dissenso è un bene prezioso : Platone prima e Kant poi, nella ridefinizione del liberalismo, auspicavano addirittura che vi fosse una scuola di critica che incentivasse la diversità di opinione, il dibattito, l’opposizione franca ed onesta. La Calabria, purtroppo, non ha mai applicato questo principio, arrivando a perseguire il “fastidio” derivante da un pensiero franco e non sottoposto alla logica della maggioranza. Mi pare giusto, proprio per l’appartenenza politica che manifesto, riproporre l’esigenza che questo cardine di civiltà rappresenti la bussola degli orientamenti politici . Chi scrive ha vissuto un quinquennio difficile. Licenziato dopo aver vinto una selezione, cacciato dal Corecom in virtù di una legge voluta in una notte per avere difeso (insieme ad altre persone ) la correttezza dei finanziamenti pubblici (il dirigente protetto dall’ex presidente del consiglio regionale è stato rinviato a giudizio per la vicenda) denigrato per il solo fatto di lavorare in una società pubblica che non ha rapporti immediati con la Regione. Piccoli, significativi frammenti di un malcostume sostenuto da chi avrebbe dovuto separare la liceità dello spoil system dal diritto al lavoro. Eppure in questa logica di bipolarismo schizoide medici e professionisti sono passati da un condominio all’altro continuando a mal gestire società e aziende pubbliche senza che vi fosse un minimo segnale di cambiamento. Giornalisti inquietanti hanno continuato a coltivare rapporti di affari con società di comunicazione a spese della collettività. Abbiamo visto e candidati al Senato del centrodestra diventare i dominus della sanità territoriale cosentina e manager nominati in altri territori dirigenti pronti a fare la girandola pur di rimanere al loro posto. Il vero, grande problema di questa Regione è stato quello di non applicare mai il rinnovamento delle classi dirigenti preferendo, invece, colpire il dissenso manifesto che, in quanto tale, è rispettabile ed ideologicamente corretto. E così gli interscambiabili sono rimasti ai loro posti, pronti a servire pedissequamente una classe politica che alla fine dei conti si è fatta ingabbiare da clausole e da vincoli sbagliati. Sarebbe sciocco non riconoscere che l’albagia che ha contraddistinto le ultime giunte regionali era un modo totalmente sbagliato di interpretare i bisogni della comunità. Che sono quelli di libertà, di partecipazione e di rinnovamento. Che affidano alla Regione il compito di riequilibratore sociale e non il monopolio economico e fattuale. Il trasformismo che ha segnato il Meridione ha una profonda radice antropologica: è la trasformazione immediata di una passività volontaria delle classi dirigenti. Accoglierla acriticamente sarebbe un errore enorme: è questo il compito più importante che spetta al governatore Giuseppe Scopelliti. E che lui è chiamato a portare avanti forte di un consenso straordinario.

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